Depuratori, condanna confermata - QdS

Depuratori, condanna confermata

Rosario Battiato

Depuratori, condanna confermata

sabato 21 Luglio 2012

La Corte di giustizia dà ragione alla sentenza sulla normativa che regola le acque reflue: Sicilia fuorilegge. La sanzione può arrivare a 700 mila € per ogni giorno di ritardo nell’adeguamento

PALERMO – È successo quanto già in parte previsto. Nei giorni scorsi la Corte di giustizia europea ha stabilito che l’Italia ha violato le norme Ue sulla raccolta, trattamento e scarico delle acque reflue urbane non rispettando i tempi stabiliti per la loro applicazione. I giudici comunitari hanno così dato ragione alla Commissione europea che nel 2009 ha avviato una procedura d’infrazione contro l’Italia per il mancato rispetto delle norme Ue in decine di comuni italiani con una popolazione uguale o superiore ai 15.000 abitanti. La Sicilia è terra ricca di queste realtà, anche se sta cercando di correre ai ripari tramite un miliardo di fondi Cipe.
A questo punto il rischio di una sanzione pecuniaria è sempre più concreto. E le sanzioni Ue sanno essere assai salate visto che in caso di condanna (art. 260 del Trattato Europeo) si prevede “una penalità di mora, che per l’Italia va da un minimo di 11.904 € ad un massimo di 714.240 €, per ogni giorno di ritardo nell’adeguamento a decorrere dalla pronuncia della sentenza emessa ai sensi dell’art. 260 del Tfue” e “una somma forfetaria che viene calcolata sulla base del Pil e che per l’Italia è pari come minimo a 9.920.000 €”.
A tal proposito la Commissione Ue si rivarrebbe su Roma direttamente presso il ministero dell’Ambiente. Tuttavia proprio il dicastero che fu della Prestigiacomo, e che ora è guidato da Corrado Clini, aveva già espresso la sua posizione in materia di sanzioni Ue tramite una nota nella quale si legge che in caso di condanna intende e “ha diritto  di rivalersi sui soggetti responsabili delle violazioni degli obblighi” cioè Regioni, Aato, e via dicendo. Quindi sulla Sicilia, che vanta un centinaio di Comuni non in regola.
La Corte di giustizia europea del Lussemburgo ha confermato “la violazione da parte di alcuni agglomerati” urbani italiani delle norme comunitarie, in otto regioni italiane, anche se la stragrande maggioranza risiede proprio in Sicilia. Secondo la Corte la Repubblica italiana “è venuta meno agli obblighi discendenti dalla direttiva”. Nel mirino ci sarebbero la “variazione del carico generato, dichiarazione di un carico inferiore a quello precedentemente dichiarato senza giustificare la riduzione del carico, insufficienza del sistema fognario e sistemi individuali non appropriati, mancanza di trattamento, capacità Organica di Progetto insufficiente, livello di trattamento non adeguato, valori allo scarico non conformi, assenza /insufficienza/ non conformità dei controlli”.
La Sicilia sta tentando di uscire da questa impasse che avvelena le acque isolane e corrompe l’economia grazie all’intervenuto del Cipe che ha stanziato per l’Isola un intero miliardo per la depurazione siciliana su una somma complessiva per interventi in tutta Italia pari a 1,8 miliardi complessivi. Il Comitato interministeriale ha sbloccato un Piano di interventi prioritari nel Mezzogiorno nei settori della depurazione acque reflue urbane, e della bonifica di discariche. Si tratta di 223 mini-interventi proposti dal Ministro per la Coesione territoriale Fabrizio Barca per superare in totale tre procedure di infrazione comunitaria. Ci saranno 133 milioni con risorse già disponibili da parte delle Regioni (Basilicata, Calabria, Campania, Puglia, Sardegna, Sicilia) mentre 1.686 milioni con risorse assegnate dal Cipe.

 


 
Solo il 28% delle acque è depurato in Sicilia il peggior dato italiano
 
PALERMO – La Sicilia depura poco e male. Ci sono circa un centinaio di Comuni nel mirino Ue, perché non hanno depuratore o non depurano adeguatamente. I dati, in tal senso, sono impietosi. A fronte di una media nazionale di conformità della depurazione pari al 79%, in Sicilia si riesce ad ottenere appena il 28%, in assoluto il peggior dato italiano. I problemi più evidenti si verificano a livello dei Comuni capoluogo dove la situazione è veramente al limite da diversi anni. A Catania, ad esempio, secondo dati Istat, c’è una percentuale di popolazione residente nel comune connessa a impianti di depurazione delle acque reflue urbane pari al 24,6 per cento. Si tratta del peggiore dato siciliano, a livello di comuni capoluogo, che comunque non vanta, in generale, risultati eccellenti: Agrigento è al 63% e solo Ragusa e Siracusa piazzano il 100%. L’Ue pretende un livello standard vicino al 100%, quindi da queste parti siamo ancora in alto mare. E a proposito di mare questi risultati preoccupanti si riversano direttamente sulla qualità delle acque isolane, e quindi sulla balneabilità che poi è direttamente collegata al settore turistico, oltre che a quello ambientale.

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