Sindacati e imprese uniti contro la crisi - QdS

Sindacati e imprese uniti contro la crisi

Luca Salici

Sindacati e imprese uniti contro la crisi

sabato 28 Luglio 2012

Giovanni Centrella, ospite del QdS per il 2411° forum con i Numeri Uno: serve una riforma fiscale in cui paghi di più chi ha più soldi

 Quali sono le azioni che potrebbero fare bene all’economia italiana?
“Noi chiediamo innanzitutto una vera riforma fiscale: è arrivato il momento di far pagare chi i soldi li possiede. In secondo luogo chiediamo l’applicazione di un quoziente familiare, con imposte differenziate a seconda della composizione del nucleo. Infine dobbiamo snellire la burocrazia. L’Italia da quando è nata ha messo i burocrati nei posti più alti. Ai tempi di Cavour forse poteva andare anche bene, ma oggi il mondo è cambiato e i burocrati continuano ad avere potere decisionale. In Italia passa tutto per il pubblico: dobbiamo togliere di mezzo tutte le farraginosità del sistema, sveltire le procedure, accorciare i tempi di risposta, tagliare le consulenze”. 
 
Cosa serve al Paese per uscire dalla crisi?
“La situazione dell’Italia è sempre più allarmante. Serve in primo luogo creare un fronte comune, almeno tra imprese e sindacati, per far capire al governo e soprattutto all’Europa che continuando di questo passo l’Italia rischia grosso. Il ceto medio si trova continuamente sotto pressione: lavoratori, pensionati e famiglie vivono una condizione insostenibile a causa della pressione fiscale, delle leggi che regolano il lavoro, del taglio delle pensioni.
L’unica via d’uscita dalla crisi consiste in una risposta politica data in maniera unitaria all’interno di ogni singolo Stato in sintonia con un’Europa unita. Senza una vera unità d’intenti, partendo dalla politica fino ad arrivare al sindacato e alle imprese, tutti i sacrifici imposti solamente al ceto medio-basso italiano saranno vanificati. E in questa maniera il Paese sarà costretto a rincorrere la propria credibilità con decisioni, sempre più improntate al rigore, che ci porteranno ad un’implosione economica. 
Il premier Monti si sta rendendo conto in queste settimane che la risposta alla crisi può arrivare dall’economia reale. Allora smetta di tartassarla e inizi a sostenere l’economia di oggi e incentivare quella di domani, con un piano nazionale di grande respiro, condiviso e di lungo periodo”.
 
Lei ha quindi un giudizio fortemente critico nei confronti del Governo Monti.
“Non sono entusiasta dell’azione dell’esecutivo tecnico. Hanno fatto delle scelte che servono a risanare il bilancio, non ponendo alcuna attenzione al cittadino. Scelte che, nel tempo, si ritorceranno contro gli italiani.
Per dare una dimostrazione di autonomia e capacità dovevano fare fin da subito una vera patrimoniale. Poi dedicarsi ad una riforma fiscale e al taglio dei costi della politica. Una attenta revisione delle spese pubbliche, sforbiciando i consigli di amministrazione delle società partecipate, in cui alcuni dirigenti guadagnano più dei deputati.
I costi della politica incidono fortemente sulla vita del cittadino. Perché un deputato francese guadagna la metà di uno italiano? Il governo avrebbe dovuto rispondere anche a queste domande.
Penso che questo esecutivo stia facendo peggio del precedente, che pure tanto male aveva fatto. Le manovre economiche, la spending review, sono forse necessarie per risanare il bilancio, ma stanno creando enormi problemi al ceto medio-basso. Noi dobbiamo innanzitutto affrontare le questioni interne, preoccupandoci della nazione e dedicandoci al bene degli italiani. Dopo queste priorità potremo pensare allo spread e alla moneta unica”.
 
Questa crisi globale si sente molto di più nel Sud Italia, in cui è difficile creare occupazione.
“Siamo consapevoli delle condizioni in cui vivono lavoratori e famiglie nel Mezzogiorno, soprattutto operai in cassa integrazione e non solo. Proprio per questo da tempo stiamo chiedendo ai governi una riforma fiscale che restituisca soldi in tasca a chi le tasse le paga, le ha sempre pagate e non ha altre risorse per farlo che dare fondo al proprio reddito, sostenuto nei casi più fortunati solo da una casa di proprietà. Contemporaneamente occorre porre fine ad una politica di rigore asfissiante con l’obiettivo di incentivare, oltre ai consumi, anche le produzioni. Solo in questo modo si può verosimilmente sperare di combattere la disoccupazione e rimettere a posto i conti pubblici”.

 
Detassare le buste paga e lasciare maggiore disponibilità economica nelle tasche degli italiani
 
Come si rende più competitivo il Paese?
“Da tempo chiedo ai tecnici del governo di mettersi nei panni della gente comune e di pensare a quanto sia difficile oggi arrivare a fine mese con meno di 1.000 euro in tasca o con una pensione ancora più irrisoria. Per questo motivo ho chiesto la detassazione delle buste paghe, perché solo lasciando maggiore disponibilità economica nelle tasche del ceto medio-basso si può sperare di salvare il nostro Paese. Se l’obiettivo reale del governo fosse stato davvero quello di rendere il nostro Paese più competitivo e capace di attrarre investimenti, non avrebbe dovuto iniziare da una riforma del lavoro, ma da un piano nazionale di rilancio e di sviluppo. 
Fino a quattro anni e mezzo fa ero in catena di montaggio e facevo l’operaio in fabbrica. Lo stipendio allora si aggirava intorno ai 1.200 euro. Oggi supera di poco i 700. Dove andremo a finire se continueremo a tassare i lavoratori? Non è possibile che una crisi creata dalle banche la debbano pagare i cittadini. C’è poi naturalmente un aspetto psicologico che riguarda questa crisi: gli stipendi di molti dipendenti pubblici non sono diminuiti, eppure anche le loro spese si sono bloccate. Il terrorismo mediatico, la tendenza a sparare titoloni, creano allarmi spesso ingiustificati. Si pensi a quello che si dice sulle pensioni che, in effetti, non sono assolutamente a rischio. Eppure ci si autosuggestiona e questo atteggiamento aggrava la situazione”.
 

 
La centralità del lavoratore è il nostro punto di partenza
Di cosa si occupa l’Ugl, Unione Generale del Lavoro?
“È una organizzazione sindacale che riconosce primaria la centralità dei lavoratori. Una associazione unitaria, di carattere confederale, che riconosce la peculiarità di ciascuna categoria e territorio, ma rinuncia ad ogni tipo di rivendicazione esclusivamente settoriale.
Siamo tra i sindacati più rappresentativi del Paese: associamo operai, impiegati e pensionati, tutelandone i diritti nel mondo del lavoro. Una delle principali attività è la promozione di associazioni di autotutela e solidarietà.
Nell’attuale fase dei modelli di produzione ribadiamo la centralità insopprimibile dell’organizzazione sindacale per il raggiungimento di ogni conquista del lavoro e per la trasformazione sociale dell’economia attraverso strumenti concentrativi. 
Lavoriamo al superamento definitivo della concezione politica di classe sociale e delle sue conseguenze ideologiche; alla corresponsabilizzazione dei lavoratori nelle scelte dell’impresa; alla riaffermazione concreta ed operativa dell’unità del mondo del lavoro”.
 
In che quadro politico si colloca il vostro sindacato?
“L’Ugl nasce a destra ma ha seguito l’evoluzione dei tempi. Oggi il nostro sindacato non fa politica. Tant’è vero che tra i nostri iscritti ci sono sia elettori di destra che di sinistra. A noi interessa il lavoro, non la politica. Del resto noi ci siamo sempre espressi contro il governo Berlusconi. Questo perché non ha mai preso alcun provvedimento utile per i lavoratori, per i cittadini, per i pensionati o per gli impiegati”.
 

 
Investire in infrastrutture, agricoltura e turismo
Quali devono essere per voi le prossime azioni del Governo?
“Pensiamo che fino a questo punto siano state sbagliate le priorità. La riforma del lavoro a nostro avviso non serviva. Urge piuttosto una riforma fiscale vera che porti più soldi in tasca agli italiani, agli operai, agli impiegati e ai pensionati. Se non c’è produzione non c’è crescita e non ci sono posti di lavoro. Dobbiamo invece rilanciare l’economia dando potere d’acquisto. 
Oggi purtroppo abbiamo un fisco non equo. Paga di più chi ha di meno. Per questo motivo il nostro sindacato crede molto nel quoziente familiare. Dobbiamo ridurre l’impatto delle imposte sulla famiglia, tenendo conto del numero del nucleo. C’è una profonda differenza tra un operaio single e uno sposato con due figli”.
 
Cosa pensa delle gabbie fiscali? 
“L’Italia purtroppo non è tutta uguale. Ma nello stesso tempo non si può parametrare lo stipendio al costo della vita.
Il costo della vita al Nord è maggiore perché godono di servizi e infrastrutture migliori. Io, da cittadino del Sud, non ho gli stessi vantaggi ma continuo a pagarli con il mio lavoro.
Dobbiamo puntare a un Paese che sia uguale, da Sud a Nord, dal punto di vista del tasso infrastrutturale. Investire a Bolzano o a Caltanissetta, a parità infrastrutturale, deve essere conveniente alla stessa maniera”. 
 
Come si generano nuovi posti di lavoro?
“Abbiamo una nazione a due velocità. Il Nord continua, bene o male, ad attrarre investimenti. Al Sud invece scarseggia tutto ciò che serve per essere appetibile: mancano le infrastrutture e quindi non ci sono reti informatiche, stradali, ferroviarie. Gli imprenditori che vogliono investire nel Mezzogiorno molto spesso si ritrovano in un deserto. 
Serve un grande piano infrastrutturale e soprattutto investire nella valorizzazione delle risorse locali: agricoltura, artigianato e turismo”. 
 

 
Curriculum
 
Giovanni Centrella ha 45 anni e vive a Prata di Principato Ultra (Av). Inizia la sua attività sindacale nel 1997 come rappresentante sindacale. Nel 2000 è eletto segretario provinciale della Ugl Metalmeccanici, nel 2003 diviene dirigente nazionale, nel 2006 segretario nazionale della stessa. Con Centrella l’Ugl Metalmeccanici ha sottoscritto tre rinnovi contrattuali nazionali e vari contratti integrativi. È stato eletto all’unanimità segretario generale dell’Ugl, Unione Generale del Lavoro, il 29 maggio 2010. 

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