Crisi economica e rischi d’investimenti. Euromoney: “Italia? Meglio la Colombia” - QdS

Crisi economica e rischi d’investimenti. Euromoney: “Italia? Meglio la Colombia”

Roberto Quartarone

Crisi economica e rischi d’investimenti. Euromoney: “Italia? Meglio la Colombia”

sabato 28 Luglio 2012

Il noto mensile britannico ha reso noti gli ultimi dati sull’Euromoney country risk: il Belpaese perde terreno. Presi in considerazione: performance economica, rating creditizio e indicatori sul debito

PALERMO – Non è solo la crisi economica che preoccupa gli investitori. E non è solo per questo che l’Italia è un Paese “a rischio”, più a rischio della Colombia, di Cipro o della Slovenia. Al fianco di Standard & Poor’s e Moody’s, famigerate agenzie che stanno condizionando il mercato mondiale, esistono altri modi per osservare gli scricchiolii del sistema globale e giudicare quante siano le possibilità degli Stati di pagare i propri debiti.
 
Recentemente, Euromoney, mensile britannico che si occupa di economia e finanza, ha reso noti i suo ultimi dati basati sull’Euromoney country risk, un indice che tiene conto del rischio politico (30%), della performance economica (30%), delle valutazioni strutturali (10%), degli indicatori sul debito (10%), del rating creditizio (10%), dell’accesso al finanziamento bancario (5%), dell’accesso al mercato dei capitali (5%). E cosa è risultato? Che l’Italia ha perso 11 punti rispetto all’anno scorso, prendendo un 58,7 su 100 che la inserisce tra i Paesi a rischio. Di più: ci sono Paesi che sulla carta hanno una situazione d’instabilità maggiore della nostra, ma che in classifica ci superano. Esempi sono la Colombia, di poco più affidabile (60/100), ma anche Cipro (61,4) e la Slovenia (66) e che si confermano tra i Paesi che dalla crisi possono trarre un giovamento in termini di investimenti esteri. Paghiamo, secondo gli esperti del sito britannico, non solo l’economia instabile (più di Thailandia, Romania o Botswana) ma anche la politica incerta (meglio di noi Lituania, Turchia e Namibia).
 
In tutto questo, non può non venire in mente un richiamo alla situazione siciliana, che tra valutazioni della Corte dei Conti, bocciature europee e grande instabilità politica può avere un suo peso all’interno di questa valutazione del “country risk”.
Anche perché proprio ieri Moody’s ha declassato il rating dell’Isola da Baa2 a Baa3. Si rimane nella zona di “media qualità, qualche elemento speculativo, rischio d’insolvenza medio”, ma con “sufficienti capacità di far fronte agli impegni di breve periodo”. I motivi sono  il debito in forte crescita e le pressioni sul bilancio regionale. 
 
“È soltanto un’agenzia di rating che ha operato questo declassamento, frutto di una canea mediatica che si è sollevata nei giorni scorsi” ha tuonato il vice presidente della Regione, Massimo Russo, dimenticando però che  nello scorso weekend è arrivata solo una conferma con riserva da parte di Standard & Poor’s. “Conferma” perché il rating è fermo ancora al BBB+ (“adeguata capacità di rimborso, che però potrebbe peggiorare”), “con riserva” dato che sono state richieste maggiori informazioni alla Regione.
A poco valgono le promesse del ragioniere Biagio Bossone (“La Regione è altresì impegnata a rafforzare il proprio quadro di politica economica, anche puntando a un miglioramento dell’affidabilità del suo debito e del livello del rating”) fin quando permarranno l’instabilità politica e il punto interrogativo sui conti siciliani.

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