Aids, non abbassare la guardia sul fronte della prevenzione - QdS

Aids, non abbassare la guardia sul fronte della prevenzione

Adriana Zuccaro

Aids, non abbassare la guardia sul fronte della prevenzione

venerdì 10 Agosto 2012

In Italia un contagio ogni due ore e 4.000 nuovi casi ogni anno. In Sicilia, oltre 2.700 casi dal 1982. Allarme lanciato da Ignazio Marino, Presid. Comm. parlamentare d’inchiesta SSN

PALERMO – Alla XIX Conferenza Internazionale sull’Aids tenutasi recentemente a Washington, l’Italia è arrivata con il peso di un debito di 260 milioni di euro nei confronti del Fondo Globale per la Lotta contro l’Aids, la Tubercolosi e la Malaria. L’impegno del nostro Paese per sconfiggere l’Aids si è infatti praticamente azzerato da quando, nel 2009, non è stato più finanziato il Fondo Globale e da allora non sono stati individuati canali alternativi.
Eppure, se è vero che le risorse finanziarie rappresentano strumenti fondamentali per la ricerca medica e lo sviluppo di terapie antiretrovirali, non si può tacere sull’importanza rivestita dai protagonisti di attività sociali, politiche e mediatiche che, dopo il silenzio in cui è stata posta negli ultimi anni l’informazione relativa all’Aids, dovranno riallineare gli obiettivi e invertire il calo di attenzione registrato nei confronti della prevenzione primaria.
Non a caso, pochi giorni fa a Roma, il presidente della Commissione d’inchiesta sul Servizio Sanitario Nazionale, Ignazio Marino, rivolgendosi a tutte le associazioni e istituzioni italiane che si occupano di Hiv, ha rimarcato l’imprescindibilità della prevenzione e la necessità di definire una strategia che indichi il ruolo che il nostro Paese intende rivestire nei prossimi anni per contribuire a sconfiggere la pandemia.
“Nonostante l’Italia abbia una buona legge sull’Hiv, da tutti i rappresentanti di associazioni e istituzioni impegnate nella lotta all’Aids auditi dalla Commissione, è stata sottolineata la necessità di un impegno maggiore per la tutela e la cura delle persone sieropositive” che, a trent’anni di distanza dal primo caso di Hiv, in Italia sono oggi fra 143.000 e 165.000. Di questi, 22.000 hanno l’Aids e almeno 30.000 non sanno di avere l’infezione; il 40% sono donne e sono in costante aumento.
In particolare, stando ai dati emersi dall’ultimo rapporto reso noto dall’Istituto Superiore della Sanità, solo in Sicilia, dall’inizio dell’epidemia ad oggi i casi di Aids sono stati 2.731, dei quali 19 nel 2010.
Durante l’audizione con i rappresentanti di associazioni e istituzioni che si occupano di Hiv – dal ministero della Salute alla Lega italiana per la lotta contro l’Aids (Lila); dagli Irccs San Raffaele di Milano e Spallanzani di Roma all’azienda ospedaliera Spedali Civili di Brescia; dall’Istituto Superiore di Sanità alla Nps Italia Onlus e alla Nadir Onlus –, secondo Marino “un dato è stato evidenziato con preoccupazione perché negli ultimi dodici anni i Servizi per le tossicodipendenze hanno potuto effettuare il test sulla sieropositività a un numero sempre minore di persone: tra il 2000 e il 2011, infatti, la percentuale di persone non testate è passata dal 60,8% al 69,5%”.
Non si ferma solo a commentare lo stato generale dei sistemi di controllo clinico il presidente della Commissione d’inchiesta sul SSN quando fa notare che “la stessa situazione di criticità è presente nelle carceri dove, di fatto, gli screening rimangono poco diffusi”.
Purtroppo, però, non sono solo i luoghi di detenzione ad essere privi di un adeguato sistema di controllo sulla potenziale trasmissione eo contagio del virus. “I numeri sulla diffusione dei test sull’Hiv nel nostro Paesi non sempre coincidono con la realtà dei fatti – afferma Marino riportando le riflessioni dei rappresentanti delle associazioni di riferimento – motivo per cui molte persone sieropositive, sfuggendo agli screening per lungo tempo, vengono curate tardivamente. Da anni, inoltre, non si investe su campagne di prevenzione e informazione sull’importanza dell’uso del profilattico”. Diviene dunque chiaro come ogni azione di controllo preventivo sia imprescindibile per evitare che continui a verificarsi un contagio ogni due ore e 4.000 nuovi casi ogni anno. E Marino lo ribadisce concludendo che “senza una corretta prevenzione, l’efficacia dei controlli e dei test sull’Hiv si annulla”.
Dal 1987, anno di attivazione del Telefono Verde Aids dell’Istituto Superiore di Sanità, le chiamate giunte fino allo scorso dicembre sono 689.969. É questo il resoconto descritto durante il Convegno “Venticinque anni di attività del Telefono Verde Aids e IST dell’ISS: dal counselling telefonico all’intervento della ReTe Aids” da cui è emerso un dato senza dubbio degno di nota. Perché a dispetto di un confuso luogo comune che ancora oggi, anche se in misura minore, definisce l’Aids quale “malattia degli omosessuali”, oltre la metà delle quasi 700 mila persone che si sono rivolte al Telefono Verde Aids sono eterosessuali. E nel tempo il loro numero è significativamente aumentato: negli ultimi sei mesi del 1987 erano il 3% di chi chiamava, nel corrispettivo periodo del 2011 sono aumentati di 15 volte. Un altro dato, che invece conferma la preoccupante disinformazione gravitante intorno alla pandemia dell’AidsHiv, riguarda il 30% delle chiamate a carico di persone che, pur non avendo messo in atto comportamenti a rischio, temono il contagio a causa di una non corretta informazione. Sempre riferendosi al totale delle chiamate, in larga parte, gli utenti sono uomini (74,2%), mentre le chiamate da parte delle donne sono diminuite nel tempo: negli ultimi 6 mesi del 1987 erano il 36%, negli ultimi sei mesi del 2011 sono scese al 12%. L’età più rappresentata, per entrambi i sessi, è compresa tra i 20 e i 39 anni (73,8%). Circa il 7% di chi chiama ha meno di 20 anni e, all’interno di questa fascia d’età, circa il 40% telefona temendo di aver corso rischi attraverso la puntura di una zanzara, attraverso il bacio o attraverso altre situazioni completamente prive di rischio. Ciò denota una preoccupante disinformazione, che come un tarlo divora i risultati della lotta contro l’Aids.

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