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L’accusa: l’Italia regala il petrolio. Il Canale di Sicilia torna a rischio

Rosario Battiato

L’accusa: l’Italia regala il petrolio. Il Canale di Sicilia torna a rischio

venerdì 17 Agosto 2012

 Allarme degli ambientalisti: le riserve coprirebbero il fabbisogno nazionale solo per un anno. Il Piano del ministro Passera: convincere le compagnie a trivellare da noi

PALERMO – Gli ambientalisti si scagliano contro la visione energetica del ministro Corrado Passera, che vorrebbe puntare sul petrolio mentre il mondo sta andando da tutt’altra parte. A far dubitare gli esponenti di Greenpeace e Legambiente ci sarebbero la limitatezza della fonte fossile e la subalternità accordata alle rinnovabili, che invece dovrebbero costituire l’ossatura energetica, ambientale e occupazionale del futuro. 
 
Il piano energetico suggerito dal ministro Passera è semplice: puntare sul petrolio per ridurre la dipendenza energetica dall’estero. Siccome da noi petrolio ce n’è meno che altrove, bisognerà offrirlo a prezzi stracciati affinché le compagnie passino da queste parti per trivellare il territorio. Lo conferma anche Legambiente. “Secondo le ultime stime del ministero dello Sviluppo economico ci sarebbero nei nostri fondali marini 10,3 milioni di tonnellate di petrolio. Stando ai consumi attuali, coprirebbero il fabbisogno nazionale per sole 7 settimane” e anche attingendo al petrolio presente nel sottosuolo, consumeremmo tutto in appena 13 mesi. 
 
Secondo l’associazione del cigno questi dati dimostrano l’assoluta insensatezza del rilancio delle attività estrattive “volte a creare 15 miliardi di euro di investimento e 25mila nuovi posti di lavoro”. Il petrolio, insomma, non potrebbe costituire prospettiva di sviluppo né per il settore energetico né tantomeno per l’occupazione. “Il settore – hanno spiegato dall’associazione ambientalista – è destinato a esaurirsi in pochi anni, come sostiene, peraltro, lo stesso ministero dello Sviluppo economico nel Rapporto annuale 2012 della sua Direzione generale per le risorse minerarie ed energetiche” dove si scrive chiaramente che “il rapporto fra le sole riserve certe e la produzione annuale media degli ultimi cinque anni, indica uno scenario di sviluppo articolato in 7,2 anni per il gas e 14 per l’olio”.
 
Potrebbero quindi aggiungersi altre 70 trivelle alle 9 piattaforme già attive grazie anche alle possibilità della legge Sviluppo, che riapre i procedimenti autorizzativi di prospezione, ricerca e trivellazione in mare bloccati dalla norma approvata nell’estate 2010 dopo il tragico incidente alla piattaforma della BP nel Golfo del Messico. 
 
Le 9 piattaforme petrolifere attive nel nostro Paese – ricordano gli ambientalisti – sono operative sulla base di concessioni che riguardano 1.786 kmq di mare situate principalmente in Adriatico, a largo della costa abruzzese, marchigiana, di fronte a quella brindisina e nel Canale di Sicilia. Le nuove richieste e i permessi per la ricerca di petrolio in mare riguardano soprattutto l’Adriatico centro meridionale, il Canale di Sicilia e il mar Ionio e il golfo di Oristano in Sardegna. I dati attuali dicono che oltre 10 mila chilometri quadrati di mare italiano sono oggetto di 19 permessi di ricerca petrolifera già rilasciati, oltre 17 mila e mezzo sono minacciati da 41 richieste di ricerca petrolifera non ancora rilasciate ma in attesa di valutazione e autorizzazione da parte del ministero dello Sviluppo Economico. 
 
Inoltre ci sono ancora 7 richieste di estrazione di petrolio dove le fasi di ricerca hanno portato ad un esito positivo (3 nel canale di Sicilia, 2 davanti alle coste abruzzesi, 1 di fronte alle Marche e 1 nel mar Ionio), 3 istanze di prospezione (si tratta della prima fase dell’iter autorizzativo, seguita da quella relativa alla ricerca di petrolio ed poi da quella che porta alla sua estrazione).
 

 
Greenpeace: il mercato spinge verso le fonti rinnovabili
 
PALERMO – Anche Greenpeace non ci sta. Secondo l’associazione ambientalista il Piano energetico del governo che prevede di raddoppiare la produzione nazionale nei prossimi anni non avrebbe prospettiva. Nel settore delle rinnovabili lavorano già oltre 34 mila unità, e si abbassano gli incentivi al settore proprio mentre il solare in Italia è diventato protagonista di un vero e proprio boom con il mercato che spinge verso le rinnovabili come via d’uscita dalla crisi e dall’inquinamento. 
“Cambiando strada – ha spiegato Alessandro Giannì di Greenpeace all’Adnrkonos – rischiamo di perdere in competitività”. Secondo l’esponente ambientalista non ci sarebbe tantissimo petrolio in Italia, ma le compagnie preferiscono venire in Italia perché rappresenta per loro un paradiso fiscale. Basti pensare che anche l’incremento delle royalties, passate dal 4 al 7%, è comunque inferiore, spiegano da Greenpeace, a quanto esiste nel resto del mondo dove viaggiano tra il 20% e l’80%. 
Nel mirino ci sarebbe proprio il Canale di Sicilia territorio già invaso dalle trivelle, ma particolarmente richiesto dalle compagnie per la presenza di quantitativi di petrolio. (rb)

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