Piano casa regionale senza cementificazione - QdS

Piano casa regionale senza cementificazione

Carlo Alberto Tregua

Piano casa regionale senza cementificazione

giovedì 06 Agosto 2009

Troppi abusi non sanati

Il Piano casa per l’edilizia residenziale pubblica, previsto dalla Legge 133/2008, ha fissato le linee guida per aumentare le cubature negli immobili. Prontamente, sette Regioni (Toscana, Puglia, Emilia-Romagna, Piemonte, Lombardia, Veneto e Umbria) e la Provincia autonoma di Bolzano hanno approvato le proprie leggi per dare rapida esecuzione alle norme nazionali.
è giusto che ogni Regione disciplini con gli appositi Piani il proprio indirizzo politico, perché deve raffrontare le esigenze dei singoli con l’interesse generale, consistente nel non deturpare il paesaggio, con cementificazioni inopportune.
L’indirizzo generale del Piano casa sulla bioedilizia è sicuramente positivo perché comporta risparmio energetico ed una migliore utilizzazione dei moderni sistemi tecnologici volti a dare più conforto a minor costo all’interno degli immobili. Mostra pericoli quando concede la facoltà di ampliamenti ed aumento di volumi che comporterebbero violazioni del territorio.

In Sicilia, il Governo regionale non ha un indirizzo politico deciso. Vi sono due disegni di legge piuttosto vaghi, preparati uno dall’Assemblea regionale e uno dal Lombardo primo. Sarebbe meglio, però, che prima di prendere in esame la possibilità di una nuova colata cementifera, la Regione mettesse a posto le circa 500 mila domande di sanatoria che giacciono ancora presso i Comuni e che mettono i cittadini in una situazione di sudditanza, in quanto viene loro negata, per incapacità burocratica, la risposta alle suddette istanze. Peraltro, le domande di sanatoria sono state corredate dal versamento di importi.
La non evasione di tali istanze è avvenuta per l’irresponsabilità di sindaci e dirigenti comunali. è inaccettabile che vi siano pendenze che risalgono a oltre 20 anni fa. E per queste gravi inadempienze nessuno viene mandato a Caprera.

La questione dell’ambiente in Sicilia va vista nel suo insieme. Da un canto, occorre una ferrea tutela di paesaggi, beni archeologici e monumentali, musei, biblioteche, parchi, riserve marine e via dettagliando.

 
 Dall’altra, è indispensabile che tutti questi beni siano fruibili dai cittadini del mondo, anzi bisogna promuovere flussi sempre più numerosi di turisti che vengano a godere delle ricchezze naturali della Sicilia.
Perché ciò avvenga è necessaria una forte organizzazione, efficiente e capace di raggiungere gli obiettivi programmati. Ma prima, è necessario che il Governo regionale dia un indirizzo politico fermo, chiaro e deciso.
Abbiamo più volte riportato la parabola dell’orchestra, facile da comprendere. Se il direttore non può espellere chiunque sgarri, l’orchestra stona. Fuori di metafora, il Governo governi e non si faccia distogliere dai nemici della Sicilia che, paradossalmente, sono più forti a Palermo che a Roma.

Qui non si tratta di partito del Sud o di altre divagazioni che hanno lo scopo di distogliere l’attenzione dai problemi seri. Qui si tratta di affrontare, senza colori politici, le questioni ataviche che vanno risolte una volta per tutte.
Le priorità sono note: dal taglio della spesa corrente improduttiva, per passare alla riqualificazione dei precari pubblici in modo di essere utilizzati in attività che producano ricchezza. Seconda: creare e arricchire il parco progetti regionali ed i parchi progetti delle nove Province e dei 390 Comuni, facendo capire a tutti i responsabili delle Istituzioni che senza progetti cantierabili non vi possono essere finanziamenti.
Terza: informatizzare tutte le pubbliche amministrazioni, regionale e locali, in modo che possano dialogare anche e soprattutto svolgendo procedimenti amministrativi esclusivamente per via telematica. Quarta: riorganizzare la pubblica amministrazione inserendo fortemente il valore del merito per cui vadano avanti i più bravi e preparati.
In questo quadro va salutato con favore l’accordo fra Cerisdi ed Ena (école nationale d’administration) per l’alta formazione dei dirigenti regionali, i quali dovrebbero parlare e scrivere almeno due lingue. E così purtroppo non è, in molti casi.

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