“Impossibile prevedere i terremoti” - QdS

“Impossibile prevedere i terremoti”

Bartolomeo Buscema

“Impossibile prevedere i terremoti”

venerdì 26 Ottobre 2012

Etna e sismi: a colloquio con Stefano Gresta, presidente dell’Istituto nazionale di geofisica e vulcanologia. La stoccata: lo scienziato è colui che dichiara la percentuale di un possibile evento

CATANIA – Una riduzione del rischio vuol dire anche previsione dei diversi scenari di  rischio. C’è, però, un adagio anglofono che recita: “to predict is not to forecast”: illuminante per cogliere che qualsiasi previsione scientifica ha un margine di errore e d’incertezza.
Non v’è dubbio che la nuova carta vulcano-tettonica, che ha disegnato, dopo trenta anni, la struttura aggiornata del più grande vulcano attivo d’Europa, frutto di una collaborazione dell’INGV di Catania con l’Istituto di ricerche planetarie del centro aerospaziale tedesco, sia già uno strumento importante per la pianificazione territoriale e la riduzione del rischio sismico e vulcanico in un’area sulla quale vivono circa 700 mila persone.
Ma è anche fondamentale riuscire a prevedere il comportamento dinamico dell’Etna per una migliore e pronta organizzazione delle azioni da parte della Protezione Civile.
Noi non entreremo nella spinosa area dei modelli previsionali, ma ci teniamo a dire che i terremoti sono pressoché impossibili da prevedere e che è la storia sismica passata a dirci se una zona è ad alto rischio sismico o no.
La Sicilia è ad alto rischio sismico perché e stata teatro di eventi catastrofici: nel 1693 fu rasa al suolo la Sicilia sud orientale, nel 1783 una scossa devastò la Calabria e Messina, e nel 1908 un altro sisma catastrofico colpì Messina e Reggio Calabria facendo quasi 100 mila morti. Tutti terremoti vicini o superiori alla magnitudo 7. In tale contesto crediamo debba essere letta la recente pubblicazione firmata da un team di vulcanologi dell’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia (INGV) e dell’Università di Catania.
Il lavoro, dal titolo: “Triggering mechanisms of static stress on Mount Etna volcano. An application of the boundary element method”, firmato da Eugenio Privitera, Amalia Bonanno, Stefano Gresta, Giuseppe Nunnari, Giuseppe Puglisi è apparso sull’ultimo numero della prestigiosa rivista internazionale Journal of Volcanology and Geothermal Research.
Si tratta di un’indagine scientifica che correla la risalita del magma all’interno delle principali strutture vulcaniche dell’Etna al conseguente stress che si determina sui sistemi di faglia che intersecano l’edificio vulcanico e, in particolare, su quelli che interessano l’instabile fianco orientale. Più in dettaglio, si tratta di un modello matematico computerizzato di simulazione dell’interazione tra il magma di risalita e le faglie, che da un lato spiega l’evoluzione delle maggiori crisi eruttive e sismiche degli ultimi decenni all’Etna, dall’altro ci restituisce, più che una previsione vera e propria,  gli scenari possibili sia eruttivi sia sismici del maggiore vulcano attivo d’Europa.
Abbiamo incontrato il professor Stefano Gresta, uno degli autori, e presidente dell”Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia (INGV), per porgli alcune domande.
Qual è il suo pensiero sulla prevedibilità degli eventi sismici e delle eruzioni vulcaniche?
"Il verificarsi di un terremoto è un evento impossibile da prevedere in maniera deterministica, definendo cioè esattamente il luogo e il tempo di occorrenza, nonché la magnitudo (l’energia rilasciata). La frattura della crosta terrestre (cioè la sorgente di un terremoto) è un fenomeno fisico estremamente complesso, che avviene a molti chilometri di profondità, spesso su faglie che non hanno riscontro in superficie.  Il fatto di poter istallare sensori di diverso tipo sulla superficie terrestre consente di rilevare molti parametri, quali la microsismicità, le deformazioni del suolo, i campi potenziali, la geochimica delle acque e dei gas. Si possono studiare le variazioni nel tempo dei diversi parametri, ma non esiste un processo univoco per cui una volta osservate certe variazioni corrisponda poi con certezza un terremoto di una certa energia, entro un determinato intervallo di tempo e di distanza dagli strumenti considerati.
Se invece si considera la sismicità storica e strumentale che si è verificata in una certa regione è possibile applicare dei modelli di occorrenza di terremoti basati sostanzialmente sulla statistica. Cioè, definita un’area più o meno vasta, e un certo intervallo di tempo a decorrere da oggi (esempio 10 o 100 anni) è possibile stimare la probabilità che avvenga un terremoto di magnitudo maggiore di un certo valore. Sono modelli i cui risultati vanno presi con estrema cautela. In ogni caso la eventuale previsione non rappresenta una soluzione al problema della riduzione del rischio sismico. La Sicilia orientale è una zona ad elevata pericolosità sismica e in quanto tale sarà colpita da forti terremoti in futuro; non sappiamo quando, ma questo accadrà. Nel frattempo vanno intraprese tutte le iniziative possibili per ridurre il rischio. La soluzione consiste nella prevenzione, cioè nella riduzione della vulnerabilità degli edifici e delle strutture. La carta della pericolosità sismica, pubblicata non solo come lavoro scientifico, ma divenuta parte integrante di  una Legge dello Stato,  rappresenta la sintesi di decenni di studi sismologici, storici, geologici; essa è lo strumento principe per le politiche di mitigazione del rischio sismico.
Diverso il discorso che riguarda la possibilità di prevedere qualche tipo di eruzione vulcanica. Intanto si conosce dove è l’oggetto di studio e quindi gli strumenti per il monitoraggio sono certo sopra l’oggetto di studio. Per un vulcano come l’Etna ormai si dispone di più di trenta anni di raccolta di dati strumentali, raccolta avvenuta durante il verificarsi di molte eruzioni. Inoltre i fenomeni che precedono una eruzione laterale (sismicità e deformazioni del suolo) sono molto più evidenti rispetto a quanto si osserva (a posteriori) per un terremoto. Anche in questo caso si conoscono le eruzioni storiche che hanno interessato nel passato il vulcano, per cui è relativamente semplice applicare metodi probabilistici ai dati raccolti dalla rete di sorveglianza dell’INGV e formulare previsioni".
Che ne pensa dei “profeti di sventura” che annunciano catastrofi sismiche come quella di un imminente terremoto in Calabria e Sicilia di magnitudo 7.5?
"Un vero scienziato dovrebbe dire in maniera chiara: “A partire da oggi ed entro X mesi (o anni), in questa definita  area di Sicilia e Calabria, la probabilità che avvenga un terremoto di magnitudo 7 o 7.5  è del tot per cento”. Chi non lo fa non è uno scienziato, ma un predicatore".
Quali prospettive apre la formulazione di diversi scenari sismici ed eruttivi per i paesi che costellano l’Etna?
"Il lavoro cui lei si riferisce non formula una previsione, piuttosto è in grado di fornire i diversi scenari evolutivi dell’attività sismica e vulcanica dell’Etna in caso di una importante intrusione di magna. Grazie alla notevole conoscenza geologica e strutturale del vulcano, abbiamo considerato: a) le principali vie di risalita del magma (sistema centrale, Rift Sud e Rift di Nord Est), b) le principali faglie del versante orientale, c) il modello maggiormente condiviso per il lento scivolamento verso il mare di questo versante del vulcano. Proprio prendendo spunto da quanto si verificò nel 2002, abbiamo simulato gli effetti che una risalita di magna induce sulle faglie, cioè un accumulo degli sforzi, che può determinare la rottura lungo la faglia, cioè un terremoto. L’energia rilasciata da un terremoto si va ad accumulare su altre faglie, che a loro volta possono dar luogo ad altri terremoti. Tutto avviene nel contesto ristretto del versante orientale dell’Etna, con terremoti locali molto superficiali, ma purtroppo in grado di produrre gravi danni sebbene su aree molto limitate. A completare i possibili scenari, subentra l’innesco dello scivolamento verso il mare del versante orientale (pochi centimetri  ma sufficienti a facilitare la risalita di nuovo magma lungo una o più strutture vulcaniche. Molti dei lettori certamente ricorderanno la successione dei fenomeni che accompagnarono l’eruzione dell’Etna del 2002; fratture eruttive e terremoti sul versante Nordorientale; poi terremoti a Santa Venerina, Acireale, Milo; contestuale scivolamento (impercettibile all’uomo ma ben chiaro agli strumenti) del versante orientale verso il mare; risalita di nuovo magma ed eruzione (anche con abbondante e lunga emissione di cenere) sul versante meridionale. In sintesi una sorta di effetto domino che per la prima volta abbiamo modellato e quantificato in termini di sforzi. Col nostro lavoro pensiamo di poter fornire un contributo piccolo ma quantitativo alla definizione dei possibili scenari evolutivi nei giorni successivi all’inizio di una eruzione etnea".

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