Noi non entreremo nella spinosa area dei modelli previsionali, ma ci teniamo a dire che i terremoti sono pressoché impossibili da prevedere e che è la storia sismica passata a dirci se una zona è ad alto rischio sismico o no.
Qual è il suo pensiero sulla prevedibilità degli eventi sismici e delle eruzioni vulcaniche?
"Il verificarsi di un terremoto è un evento impossibile da prevedere in maniera deterministica, definendo cioè esattamente il luogo e il tempo di occorrenza, nonché la magnitudo (l’energia rilasciata). La frattura della crosta terrestre (cioè la sorgente di un terremoto) è un fenomeno fisico estremamente complesso, che avviene a molti chilometri di profondità, spesso su faglie che non hanno riscontro in superficie. Il fatto di poter istallare sensori di diverso tipo sulla superficie terrestre consente di rilevare molti parametri, quali la microsismicità, le deformazioni del suolo, i campi potenziali, la geochimica delle acque e dei gas. Si possono studiare le variazioni nel tempo dei diversi parametri, ma non esiste un processo univoco per cui una volta osservate certe variazioni corrisponda poi con certezza un terremoto di una certa energia, entro un determinato intervallo di tempo e di distanza dagli strumenti considerati.
Se invece si considera la sismicità storica e strumentale che si è verificata in una certa regione è possibile applicare dei modelli di occorrenza di terremoti basati sostanzialmente sulla statistica. Cioè, definita un’area più o meno vasta, e un certo intervallo di tempo a decorrere da oggi (esempio 10 o 100 anni) è possibile stimare la probabilità che avvenga un terremoto di magnitudo maggiore di un certo valore. Sono modelli i cui risultati vanno presi con estrema cautela. In ogni caso la eventuale previsione non rappresenta una soluzione al problema della riduzione del rischio sismico. La Sicilia orientale è una zona ad elevata pericolosità sismica e in quanto tale sarà colpita da forti terremoti in futuro; non sappiamo quando, ma questo accadrà. Nel frattempo vanno intraprese tutte le iniziative possibili per ridurre il rischio. La soluzione consiste nella prevenzione, cioè nella riduzione della vulnerabilità degli edifici e delle strutture. La carta della pericolosità sismica, pubblicata non solo come lavoro scientifico, ma divenuta parte integrante di una Legge dello Stato, rappresenta la sintesi di decenni di studi sismologici, storici, geologici; essa è lo strumento principe per le politiche di mitigazione del rischio sismico.
Diverso il discorso che riguarda la possibilità di prevedere qualche tipo di eruzione vulcanica. Intanto si conosce dove è l’oggetto di studio e quindi gli strumenti per il monitoraggio sono certo sopra l’oggetto di studio. Per un vulcano come l’Etna ormai si dispone di più di trenta anni di raccolta di dati strumentali, raccolta avvenuta durante il verificarsi di molte eruzioni. Inoltre i fenomeni che precedono una eruzione laterale (sismicità e deformazioni del suolo) sono molto più evidenti rispetto a quanto si osserva (a posteriori) per un terremoto. Anche in questo caso si conoscono le eruzioni storiche che hanno interessato nel passato il vulcano, per cui è relativamente semplice applicare metodi probabilistici ai dati raccolti dalla rete di sorveglianza dell’INGV e formulare previsioni".
"Un vero scienziato dovrebbe dire in maniera chiara: “A partire da oggi ed entro X mesi (o anni), in questa definita area di Sicilia e Calabria, la probabilità che avvenga un terremoto di magnitudo 7 o 7.5 è del tot per cento”. Chi non lo fa non è uno scienziato, ma un predicatore".
"Il lavoro cui lei si riferisce non formula una previsione, piuttosto è in grado di fornire i diversi scenari evolutivi dell’attività sismica e vulcanica dell’Etna in caso di una importante intrusione di magna. Grazie alla notevole conoscenza geologica e strutturale del vulcano, abbiamo considerato: a) le principali vie di risalita del magma (sistema centrale, Rift Sud e Rift di Nord Est), b) le principali faglie del versante orientale, c) il modello maggiormente condiviso per il lento scivolamento verso il mare di questo versante del vulcano. Proprio prendendo spunto da quanto si verificò nel 2002, abbiamo simulato gli effetti che una risalita di magna induce sulle faglie, cioè un accumulo degli sforzi, che può determinare la rottura lungo la faglia, cioè un terremoto. L’energia rilasciata da un terremoto si va ad accumulare su altre faglie, che a loro volta possono dar luogo ad altri terremoti. Tutto avviene nel contesto ristretto del versante orientale dell’Etna, con terremoti locali molto superficiali, ma purtroppo in grado di produrre gravi danni sebbene su aree molto limitate. A completare i possibili scenari, subentra l’innesco dello scivolamento verso il mare del versante orientale (pochi centimetri ma sufficienti a facilitare la risalita di nuovo magma lungo una o più strutture vulcaniche. Molti dei lettori certamente ricorderanno la successione dei fenomeni che accompagnarono l’eruzione dell’Etna del 2002; fratture eruttive e terremoti sul versante Nordorientale; poi terremoti a Santa Venerina, Acireale, Milo; contestuale scivolamento (impercettibile all’uomo ma ben chiaro agli strumenti) del versante orientale verso il mare; risalita di nuovo magma ed eruzione (anche con abbondante e lunga emissione di cenere) sul versante meridionale. In sintesi una sorta di effetto domino che per la prima volta abbiamo modellato e quantificato in termini di sforzi. Col nostro lavoro pensiamo di poter fornire un contributo piccolo ma quantitativo alla definizione dei possibili scenari evolutivi nei giorni successivi all’inizio di una eruzione etnea".