Ponte sullo Stretto, il governo degli indecisi - QdS

Ponte sullo Stretto, il governo degli indecisi

Rosario Battiato

Ponte sullo Stretto, il governo degli indecisi

sabato 03 Novembre 2012

Gli investitori internazionali ci sono già, ma l'incertezza dell’esecutivo Monti non li convince ad intervenire. Palazzo Chigi proroga di due anni il tempo limite per l'approvazione del progetto definitivo

ROMA – Cambiano i governi, le professionalità, i visi, la carta d’identità, la rispettabilità internazionale e si stabilizza persino lo spread della morigeratezza dei costumi. Quello che non cambia è l’antico vizietto italico del rimando, delle decisioni sospese e rispedite al mittente della storia. Così accade che per il Ponte sullo Stretto, infrastruttura strategica per l’ingresso della Sicilia nei mercati nazionale ed internazionali (si veda in merito ‘Ponte sullo Stretto risorsa sprecata’ pubblicato il 25 ottobre scorso), il governo abbia deciso di prendere ancora due anni di tempo, come se i secoli di attesa di quest’opera non fossero abbastanza. L’esecutivo dei professori, senza prendersi la responsabilità di un omicidio a sangue freddo, preferisce congelare ed è intenzionato favorire l’asse infrastrutturale del nord lasciando l’Isola a semplice ruolo di comparsa negli equilibri economici d’Italia.
Nei giorni scorsi il Cdm ha deciso di “prorogare, per un periodo complessivo di circa 2 anni, i termini per l’approvazione del progetto definitivo del Ponte sullo stretto di Messina al fine di verificarne la fattibilità tecnica e la sussistenza delle effettive condizioni di bancabilità”. La nota di Palazzo Chigi prosegue dicendo che “tale decisione è motivata dalla necessità di contenimento della spesa pubblica, vista anche la sfavorevole congiuntura economica internazionale, ed è in linea con la proposta della Commissione europea dell’ottobre 2011 di non includere più questo progetto nelle linee strategiche sui corridoi trans-europei”. Il punto è che queste opere possono godere del co-finanziamento comunitario, ma se in questo periodo di tempo non si giungesse a una soluzione tecnico-finanziaria sostenibile, allora salteranno tutti i contratti in corso tra la concessionaria Stretto di Messina spa e il contraente generale, con il pagamento delle sole spese effettuate e con una maggiorazione limitata al 10%. La nuova procedura, scrivono dal governo, dovrà essere “accettata dal contraente generale tramite la sottoscrizione di un atto aggiuntivo al contratto vigente” mentre “durante il periodo di proroga, previa deliberazione del Cipe, potranno comunque essere assicurati sui territori interessati interventi infrastrutturali immediatamente cantierabili, a patto che presentino una funzionalità autonoma e siano già compresi nel progetto generale”. Il problema è che tra smobilitazione, penali e lavori già realizzati, la rinuncia potrebbe costare circa un miliardo alle casse italiane.
Un ponte, insomma, che resterà sospeso ancora per molto tempo con grave danno per la Sicilia e l’Italia. Sebbene il progetto sia stato cassato dall’Ue, che l’ha tagliato dai grandi corridoi infrastrutturali europei, gli investitori stranieri ci sono già, ma esitano a intervenire perché non ci sono ancora garanzie che l’opera si farà. Come ha dichiarato al Qds Enzo Siviero, presidente del gruppo di lavoro congiunto Cnam-Cun, ministero dell’istruzione, dell’Università e della Ricerca, “contatti anche recenti, con finanziatori stranieri, e in particolare cinesi, consentono di confermare che in grandissima parte, l’opera si può anche autofinanziare, ciò purché se ne faccia, finalmente, una valutazione strategica che vada ben al di là di Messina Villa san Giovanni e Reggio Calabria”. Anziché dare stabilità si è scelto ancora una volta di rimandare, vecchio trucco italiano che lascerà il Paese indietro di decenni.

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