Vince Obama ma non è statalista - QdS

Vince Obama ma non è statalista

Carlo Alberto Tregua

Vince Obama ma non è statalista

giovedì 08 Novembre 2012

Manovra da 600 miliardi di dollari

Nel secondo mandato del 44° presidente degli Stati Uniti non si tiene più conto della possibile rielezione perché vietata. In quel Paese serio, nessuno può rivestire un incarico istituzionale per più di due mandati. In un Paese burletta come quello italiano vi sono persone che hanno accumulato anche 40 anni di presenza nel Parlamento e rivestito l’incarico di presidente del Consiglio fino a sette volte.
Barack Obama è stato eletto con una maggioranza di voti indiretti superiore a quella preventivata dai sondaggisti. Ricordiamo che l’elezione non è a suffragio universale. Infatti, in ognuno dei 50 Stati, vengono eletti i cosiddetti Grandi elettori. Ma in ogni Stato chi vince li prende tutti, cioè non sono suddivisi proporzionalmente tra gli sfidanti. La maggioranza dei Grandi elettori, infine, elegge il presidente degli Stati Uniti.
Questo meccanismo comporta un enorme dispendio di energie degli apparati tanto che questa campagna, la più costosa dal 1787, è costata, secondo cifre non ufficiali, sei miliardi di dollari.
 
Uno degli argomenti contro Obama è stato la sua definizione di statalista. L’accusa si è fondata sull’approvazione della legge che ha salvaguardato 37 milioni di americani, il 12 per cento della popolazione, consentendo loro di accedere ai servizi sanitari gratuitamente anche senza l’assicurazione. Una legge di solidarietà che nessun presidente degli Stati Uniti era riuscito a fare approvare. Ricordiamo che, nel vecchio congresso, cioè la Camera dei deputati, vi era la maggioranza repubblicana e nonostante una parte di quei parlamentari fossero contrari, la legge è stata approvata.
Poi, Obama è stato accusato di avere salvato le banche e le case automobilistiche GM, Ford e Chrysler. Meno male che l’ha fatto perché le stesse si sono riprese e hanno restituito al Governo americano i prestiti avuti a suo tempo e le banche si sono rimesse in riga. L’unico neo di Obama è stato quello di aver fatto fallire la Lehman Brothers, avendo salvato le altre: un’apparente discriminazione.
Obama si è trovato due guerre in corso, da una (Iraq) se ne è già uscito e in Afghanistan sta cominciando a far smobilitare le proprie truppe che lasceranno quel Paese nel 2014.
 
Non si deve dimenticare che il primo presidente afro-americano con la pelle ambrata si è trovato sulla schiena la peggiore crisi economico-finanziaria dopo quella del 1929. Aiutato da quel mago (criticatissimo) di Ben Bernanke, presidente della Federal reserve, è riuscito a mettere in moto l’economia che, nel terzo trimestre di quest’anno, ottiene un aumento di Pil del 2 per cento (ricordiamo che l’Italia retrocederà del 2,3 per cento) e con l’aumento del Pil sta aumentando in maniera superiore alle aspettative l’occupazione.
La questione difficile che il presidente confermato dovrà affrontare è la riduzione del debito pubblico di ben 1.200 miliardi di dollari, per evitare un appesantimento del bilancio federale, anche se dobbiamo ricordare che il costo dei titoli governativi Usa è pari a quello della Germania. Infatti fra i treasure americani e i bund tedeschi non vi è alcuno spread, contrariamente alla situazione italiana.

Bisogna tener conto altresì, che quel debito pubblico, contrariamente a quanto erroneamente affermato, è inferiore al Pil, mentre in Italia è al 126 per cento. Nonostante ciò, Obama dovrà ridurlo e potrà farlo perché diminuiranno le spese militari,  taglierà altre spese federali, in modo da fare emergere risorse per potenziare investimenti e opere pubbliche e, con essi, aumentare fortemente il numero di posti di lavoro.
In questa breve sintesi, c’è il quadro di una democrazia sana e vera, nella quale i cittadini sono chiamati a decidere chi debba governare. Ma superato l’election day, da sempre il secondo martedi del mese di novembre di ogni quattro anni, il presidente eletto si insedia alla stessa data e cioè il 20 gennaio dell’anno successivo.
Dopo di che egli è l’arbitro del buon andamento generale della Cosa pubblica degli Usa, o del cattivo. Insomma, patti chiari fra popolo e presidente. Difficile barare, ma quando questo accade, come fu nel caso di Richard Nixon, gli anticorpi istituzionali intervengano, costringendo il reo alle dimissioni per evitare l’impeachment.
Magari in Italia si riuscisse ad avere una volta a per tutte tali patti chiari! Invece, impera il democristianismo. Dio ce ne scampi!

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