Evasione, ricercare l’adesione spontanea - QdS

Evasione, ricercare l’adesione spontanea

Salvatore Forastieri

Evasione, ricercare l’adesione spontanea

giovedì 22 Novembre 2012

Il 94% degli italiani ritiene che lo Stato spenda male i tributi raccolti (indagine ODCES di Milano). Sì alla tax compliance, no al vecchio ed inutile criterio repressivo adottato dal Fisco

PALERMO – Ora abbiamo anche il “redditest” per testare, con la massima riservatezza, l’adeguatezza del reddito dichiarato. Da una indagine statistica condotta per conto dell’Ordine dei Dottori Commercialisti ed Esperti Contabili di Milano, il 65% degli italiani condivide l’opportunità di incrementare i controlli fiscali, compresi quelli bancari.
Di questa fetta di italiani faranno parte sicuramente tutti i lavoratori dipendenti, ma insieme a loro ci saranno anche tantissimi soggetti “con partita Iva”, ossia imprese e professionisti i quali, ritenendosi perfettamente in regola dal punto di vista fiscale, vorrebbero che anche gli altri colleghi pagassero le tasse.
Dell’altra fetta, quella del 35%, evidentemente fanno parte tutti coloro i quali del Fisco hanno paura. Ma tra questi, però, non ci sono soltanto gli evasori veri e propri, i ben noti “parassiti della società”, che ritengono di non dovere pagare nulla alla collettività, pensando di ottenere sempre il massimo profitto, anche a danno degli altri.
Esiste, infatti, un’altra categoria, pure di evasori, indotti però non tanto dall’intenzione di rubare qualcosa al pubblico erario, ma – al contrario – dal fatto di credere di doversi riprendere quello che l’Erario avrebbe rubato a loro, spinti magari da una sorta di “spirito di sopravvivenza”, convinti cioè di essere sottoposti ad un prelievo superiore a quello che corrisponde alla propria capacità contributiva, così come previsto invece dalla nostra Costituzione.
Va ricordato, peraltro, che dalla citata indagine condotta dall’ODCES di Milano, è risultato pure che il 94% degli italiani ritiene che lo Stato spenda male i tributi che raccoglie, una opinione – quest’ultima – purtroppo molto diffusa e che, pertanto, è in grado di condizionare psicologicamente anche i cittadini che, al contrario degli altri, sarebbero meglio disposti a versare il dovuto alle casse dell’Erario.
Si tratta, comunque, di una categoria molto numerosa, alla quale sarebbe giusto che il Legislatore e gli Organi Amministrativi competenti dessero maggiore attenzione, almeno pari a quella che va rivolta all’evasore vero e proprio.
In pratica, il criterio repressivo che era alla base del sistema sanzionatorio fiscale di qualche anno fà non va più bene. La minaccia di sanzioni altissime per scoraggiare qualcuno non serve. Non va più bene nemmeno il sistema degli obblighi strumentali, ossia la previsione di tanti adempimenti formali che dovrebbero mettere l’evasore nelle condizioni “di non nuocere”.
La strategia per la lotta all’evasione deve essere invece diversa. Va colpito in maniera inesorabile l’evasore che vuole essere tale. L’altro, invece, quello che non paga perché non può o perché ritiene che il Fisco chiede qualcosa alla quale non ha diritto, va trattato in maniera differente.
In pratica occorrerebbe operare in due direzioni.
Da un lato, caccia ai furbetti, con gli strumenti sofisticati di cui il Fisco attualmente è già in possesso. Fondamentalmente attraverso l’incrocio delle banche dati che già esistono, ma anche con l’utilizzo di altri strumenti in grado di fare emergere situazioni anomale (come il redditometro), situazioni da verificare poi anche con le indagini bancarie, ma mirate e ben fatte, volte, cioè, a trovare l’evasione vera e propria e non l’evasione virtuale, come spesso accade, ossia quella che scaturisce dall’applicazione delle numerose presunzioni legali di cui il nostro sistema tributario è costellato e che molto spesso conducono ad accertamenti assolutamente non corrispondenti alla reale situazione del contribuente controllato e che, qualche volta, assumo addirittura carattere paradossale.
Dall’altro, la ricerca dei poveretti, quelli meno fortunati degli altri, che a causa della situazione personale, oppure a causa della crisi economica che è in atto e della situazione sociale nella quale operano, come quella siciliana (spesso vicina all’indigenza), non possono, come forse desidererebbero, adempiere a quanto preteso dalla legislazione tributaria vigente. E poi la ricerca degli altri contribuenti i quali vorrebbero pagare in maniera semplice e chiara quanto occorre per fare funzionare lo Stato, ma sono scoraggiati dalle difficoltà che incontrano nel tentare di adempiere nel ginepraio di adempimenti oggi esistenti, oppure dalla convinzione, spesso purtroppo confermata dalle cronache, che lo Stato non utilizza bene il denaro prelevato ai cittadini.
Praticamente, la chiave di volta del problema fiscale del nostro Paese non è solo la ricerca dell’evasione vera e propria, ma è anche la ricerca dell’adesione spontanea, la così detta “tax compliance”, che si ottiene soltanto se si lavora veramente per consolidare quel rapporto di fiducia tra fisco e cittadini che lo Statuto dei Diritti del Contribuente considera obiettivo primario, sempre che sia un rapporto di fiducia effettivo, costruito sulla lealtà di entrambi le parti e sul rispetto delle regole esistenti, sia quelle previste a carico dei cittadini, sia quelle previste a carico dello Stato, proprio come quelle regole sancite dalla “Statuto”, ossia la legge 212 del 2000, purtroppo oggi continuamente violata.
Eppure queste cose sono ben note a tutti. L’Agenzia delle Entrate, in verità, da molto tempo fa di tutto per aumentare l’adesione spontanea. Ne è prova pure la recentissima istituzione del “redditest”, un programma informatico che consente al contribuente di “testare” dal proprio PC, al riparo di qualunque occhio indiscreto, l’adeguatezza del proprio reddito rispetto alle spese sostenute.
Ma purtroppo nel sistema dei controlli fiscali oggi esistente, continuano ad esistere, principalmente per colpa dello stesso Legislatore, diffuse zone grigie nelle quali, come si è avuto modo di dire altre volte, l’evasore si trova a proprio agio.
Ma per evitarle si può fare tantissimo, anche senza il Legislatore. Vanno chiarite preventivamente tutte le questioni che possono produrre contenzioso; le controversie vanno spinte fino ad un limite ragionevole, senza portarle avanti a tutti i costi (fino in Cassazione, a Sezioni Unite) quando si tratta di questioni di dubbia interpretazione e sicuramente per niente utili per il recupero del gettito e della fiducia dei cittadini; vanno ulteriormente semplificate le procedure; va ulteriormente agevolato il pagamento da parte di coloro i quali si trovano in effettive difficoltà economiche; l’obiettivo principale che gli uffici fiscali sono tenuti a raggiungere (quello monitorato costantemente dagli Organi superiori) non dovrebbe essere quello dell’ammontare complessivo delle somme accertate o riscosse, bensì il recupero della fiducia dei cittadini attraverso una migliore qualità dei servizi resi, qualità immediatamente percepibile nell’opinione pubblica; va presa in maggiore considerazione l’”autotutela”, e non solo in presenza di errori conclamati, ma anche quando serve per evitare conflitti ingiusti e di esito assolutamente incerto. Diminuendo la conflittualità, migliorando la chiarezza, semplificando il rapporto del cittadino con gli uffici, si possono conseguire risultati che valgono più di una “finanziaria”. Principalmente, si possono porre le basi per un fisco più equo, meno invasivo e meno oneroso, in grado di dare veramente una grossa mano per la crescita del nostro Paese, purtroppo ancora intriso di quelle grosse criticità che da troppo tempo ne ostacolano la ripresa.
Ed in questo scenario ha un ruolo molto importante anche il Garante del Contribuente il quale non solo vigila sul rispetto delle regole previste dalla Legge 212/2000, ma collabora pure moltissimo affinchè tutti gli Uffici dell’Amministrazione Finanziaria svolgano il loro importantissimo ruolo nell’assoluto rispetto dei principi previsti dell’art.53 della Costituzione e dallo Statuto dei Diritti del Contribuente.

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