Quote rosa e parità di genere. Una legge non è la soluzione - QdS

Quote rosa e parità di genere. Una legge non è la soluzione

Anna Claudia Dioguardi

Quote rosa e parità di genere. Una legge non è la soluzione

sabato 05 Gennaio 2013

Valenti, assessore agli Enti locali e alla Funzione Pubblica: “La normativa serve a correggere un problema di mentalità”. La vera rivoluzione deve partire dal supporto alle donne dei servizi di assistenza

CATANIA – Emanare una legge per obbligare al cambiamento può sembrare il giusto percorso da intraprendere verso una svolta. Ma riflettiamoci, se occorre un obbligo per dirigersi verso tale direzione siamo sicuri che l’imposizione possa essere davvero efficace? Da anni il termine “quote rosa” è diventato un termine “mondano” in ambito politico, tante belle parole sono state pronunciate per promuovere il cosiddetto “equilibrio di genere”.
Senza dubbio piccoli passi sono stati fatti verso l’incremento del numero delle donne in politica, ma, dati parlano, siamo ancora be lontani  da una vera e propria parità dei sessi, visto che, secondo i dati Anci, i sindaci donna in Italia sono solo 904, 20 su 390 nella nostra Isola. La vera parità è quindi ancora distante, come distante è quel cambiamento di mentalità maschile e femminile colpevole del fatto che la promozione delle quote rosa sia un’esigenza che va purtroppo imposta anche attraverso provvedimenti legislativi.
 
Già la legge 120/2011 aveva imposto l’obbligo di riservare alle donne, una percentuale pari al 30% dei posti disponibili negli organi di controllo e amministrazione delle società quotate o a controllo pubblico. Il mese di novembre ha dato un’altra scossa all’universo delle quote rosa, con l’approvazione della legge 215/2012, pubblicata sulla GURI l’11 dicembre. Il provvedimento punta a rendere più rosa le Commissioni per i concorsi pubblici, con una verifica da parte del consigliere nazionale o regionale del rispetto della parità di genere tra i componenti della commissione. Ma le maggiori novità introdotte dalla normativa riguardano le modalità di composizione delle liste per le elezioni comunali e provinciali. Con una modifica al Tuel si introduce l’obbligo che nessuno dei due sessi sia rappresentato in misura superiore ai 2/3, pena la cancellazione dei candidati del sesso maggiormente rappresentato, e si introduce la possibilità di esprimere una doppia preferenza (obbligatoriamente per candidati di sesso opposto).
 
Per quanto riguarda i consigli regionali, con una modifica all’art. 4 della legge 165/2004, si rimanda alla Regione la promozione di misure che incentivino l’accesso del genere meno rappresentato alle cariche elettive. I primi passi verso tale direzione sono stati già mossi dalla Giunta Crocetta che, con l’approvazione di un Ddl promosso dall’assessore alle Autonomie locali e Funzione pubblica, Patrizia Valenti, che passerà adesso al vaglio dell’Ars, ha fatto da apripista nazionale.
 
Abbiamo interpellato proprio l’Assessore Valenti per commentare questa novità normativa.  In linea con la normativa nazionale il Disegno di legge ribadisce la possibilità di esprimere una doppia preferenza. Ma la vera novità è un’altra. “Abbiamo fissato al 30 % – spiega l’assessore – il vincolo obbligatorio della presenza femminile nelle Giunte ad ogni livello amministrativo e, cosa ancor più importante, abbiamo previsto una sanzione. Sindaci e presidenti decadranno dalla carica se non rispetteranno la norma, adeguandosi entro sei mesi”.
Ma, tornando al nostro quesito iniziale, un obbligo può davvero essere efficace? In risposta a tale domanda la Valenti ha sottolineato che “la normativa serve a correggere un problema di mentalità”, costringendoci a  riflettere su quello che ha definito un vero e proprio problema sociale.
“Alla base – commenta l’assessore – vi è un handicap diffuso in tutto il Paese, e ancor più nella nostra Regione: l’insufficiente sviluppo dei servizi assistenziali, dagli asili nido ai servizi di assistenza agli anziani. Per quanto siano stati fatti passi avanti, anche sfruttando i fondi europei, l’assistenzialismo familiare pesa ancora fortemente sulle donne, e ciò rende difficile portare avanti una carriera. Se si vuole davvero operare un cambiamento – continua la Valenti – bisogna innanzitutto far funzionare tali servizi perché quando il lavoro all’esterno del nucleo familiare diventa particolarmente pesante la donna necessita del supporto adeguato”.
Da madre e donna in carriera l’Assessore è testimone in prima persona delle difficoltà dell’universo femminile in carriera. “Io ho un solo figlio – ha spiegato – ma per poter andare avanti nella mia carriera ho dovuto organizzare la sua vita in modo da essere sicura che fosse adeguatamente seguito, ma ho potuto farlo poiché avevo il sostegno familiare, per questo sottolineo che occorre potenziare i servizi di assistenza”.
Promuovere l’equilibrio di genere, quindi, con il supporto della normativa ma soprattutto operare un cambiamento profondo, perché si possa cancellare l’espressione “quote rosa” e far si che le donne in politica non siano dei numeri imposti ma divengano l’espressione di una società veramente civile.

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