La crisi miete vittime indifese. A pagare sono i bambini - QdS

La crisi miete vittime indifese. A pagare sono i bambini

Chiara Borzi

La crisi miete vittime indifese. A pagare sono i bambini

martedì 08 Gennaio 2013

E' quanto emerge dal primo Rapporto sull’Infanzia realizzato dall’associazione Peter Pan Onlus. Il 60% dei minori che vivono sotto la soglia di povertà si trova al Sud

PALERMO – Oggi, tra le vittime inermi della crisi, sappiamo di dover annoverare anche i bambini.
Nell’anno appena finito la fascia d’età tra gli 0 e i 14 anni è entrata a far parte delle sfere più colpite dalle carenze economiche e finanziarie che ci attanagliano negli ultimi anni. Le difficoltà che vivono bambini e giovanissimi d’oggi vanno di pari passo con il ridimensionamento delle capacità finanziarie e quindi di cura delle famiglie, specialmente se numerose, per questo il campanello di allarme suonato dai dati percepiti assume dei contorni inquietanti.
Da quanto emerge dal primo rapporto sull’infanzia realizzato dall’associazione Peter Pan Onlus, sono 300 mila i bambini italiani che vivono al di sotto della soglia di povertà. Appartengono per lo più a nuclei familiari con un reddito inferiore ai diecimila euro annui e il 60% di loro vive al Centro-Sud. Non smorza i toni neppure riscontrare che “solo” il 40 % vive invece nell’area del Centro-Nord, perché le percentuali italiane, cosi come presentate, non sono assolutamente all’altezza di un paese europeo.
Da dove si noti quest’abbassamento del tenore di vita è presto detto.
 
L’assenza di partecipazione sociale, quella di un corretto cammino scolastico, la scomparsa del tempo libero da impiegare in attività sportive o secondarie alla scuola, sono tutti segnali che parlano dell’incapacità delle famiglie italiane di sostenere concretamente i bisogni dei suoi giovani. Al Sud nel 2011 il rischio povertà ha interessato il 34,5% delle famiglie. Secondo gli ultimi dati Istat sulle condizioni economiche generali delle famiglie meridionali, all’aumentare della quantità di figli minori nel nucleo, aumenta il rischio povertà. Rispetto l’anno passato è aumentato il rischio di povertà nella famiglia con appena un minore a carico (dal 20,4% al 22,3%), ed è diminuito di un punto il rischio delle famiglie con tre o più minori presenti (39,8 a 38,7). Ciò che molto negativamente è rimasto immutato è l’assenza sul nostro territorio di un’ adeguata prestazione di servizi per l’infanzia. La Sicilia ne è carente come poche regioni in Italia.
Dove dunque non arriva una famiglia ampiamente provata dalla crisi, non arriva neppure lo Stato. La nostra isola ha la seconda più bassa percentuale d’Italia per diffusione di servizi a favore dell’infanzia (36,2% al 2010). Dopo di noi si trovano solo Basilicata (24,4%) e Calabria (16,4%), maglie nere della categoria. Può consolarci solo la sorprendentemente bassa percentuale del Lazio (30,4%) ma sembra comunque scoraggiante pensare che Abruzzo e Marche vadano al di la del 60% di diffusione, o che l’Emilia Romagna sfori il 90% e il Friuli si avvicinino all’89%. Va attribuita invece alla cultura di tener i propri figli in casa, almeno nei primissimi anni di vita, lo scarso utilizzo del nido. Non lo frequenta il 79,3% dei bambini italiani di 0-2 anni. La quota di presenze è maggiore ancora una volta al Centro-Nord, con un picco del 27,1% nel Nord-est, mentre nel Sud e nelle Isole la percentuale scende sotto il 14% (il 13,5% nelle Isole e il 7,6% nel Sud).
Dando ancora uno sguardo al mondo della formazione, tra scuole primarie e secondarie i dati riscontrati sono tutti vicini al 100% di frequenza, ma esistono piccoli discostamenti che producono risultati significativi. Gli iscritti alla scuola primaria sono il 92,9%, meno che alla scuola secondaria di primo grado (95,9%) e della secondaria di secondo grado (94,7%). Facendo una media di questi dati, incluse le percentuali degli iscritti al nido, ci rendiamo conto che in Italia i giovani iscritti a scuola sfiorano appena il 90% (l’89,2%), mentre dovrebbero almeno sorpassare questa percentuale per rispettare le aspettative.
Concluso l’impegno scolastico, per l’infanzia di oggi pare non esserci più spazio neppure per l’attività sportiva. Il 30% dei giovani ha dichiarato di praticare sport solo saltuariamente. In cambio la diffusione dell’utilizzo del computer pare in arrestabile. Tra i 6 e i 10 anni il 57% dei bambini italiani ha dichiarato di aver utilizzato internet negli ultimi 12 mesi, dagli 11 ai 14 lo ha fatto l’80% dei giovani. Nell’uso quotidiano le stime cambiano e di molto, 8,7% e 34,7% nelle stesse fasce d’età prima considerate, ma è indubbio che l’ambito telematico sia un riferimento per le generazioni di oggi, agevolate da un’accessibilità verso la tecnologia basilare economicamente più alla portata.
Accettare questi dati non è facile, specialmente pensando alle tante speranze che si ripongono sulle generazioni future. In Sicilia la diminuzione delle risorse destinate al sociale nel corso degli anni, insieme a quella degli stessi Fondi europei per lo stesso settore scesi di circa il 9%, restituiscono un quadro che non da prospettive per una soluzione veloce dei problemi dell’infanzia del XI secolo.

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