Cervelli siciliani, 5 miliardi in fumo in 10 anni 40.000 giovani in fuga dall’Isola - QdS

Cervelli siciliani, 5 miliardi in fumo in 10 anni 40.000 giovani in fuga dall’Isola

Liliana Rosano

Cervelli siciliani, 5 miliardi in fumo in 10 anni 40.000 giovani in fuga dall’Isola

sabato 12 Gennaio 2013

Negli ultimi 10 anni 40.281 giovani tra i 20 e 40 anni hanno lasciato l’Isola. L’istruzione di ognuno di loro è costata 124.000 euro. Nelle 4 Università dell’Isola solo 1.961 ricercatori contro 4.700 amministrativi

Sono 40.281 i giovani siciliani che negli ultimi dieci anni hanno lasciato l’Isola verso destinazioni oltreconfine. Una vera e propria migrazione di massa del ventunesimo millennio che è costata alla Sicilia 5 miliardi di euro, andati in fumo perché a lasciare l’Isola sono giovani, tra i 20 e i 40 anni, che nell’Isola si sono formati e hanno studiato.
A calcolare i costi ci ha pensato l’Ocse che ha tirato fuori la somma di 124 mila euro come il totale che lo Stato spende per consentire a un giovane di raggiungere il diploma in circa 13 anni di studi. A questi anni vanno ad aggiungersi i cinque anni (nella migliore delle ipotesi) che occorrono per conseguire la laurea. Il costo totale va a moltiplicarsi al numero dei siciliani, 40.281, che sono andati via negli ultimi dieci anni.
Soldi investiti in formazione e istruzione che vanno altrove, rispettando il copione del “cervello in fuga” che dopo aver conseguito diploma e laurea lascia il proprio paese andando a cercare fortuna altrove. Un danno economico al quale si dovrebbe aggiungere anche la perdita di competitività del nostro sistema produttivo che deve fare a meno dei suoi cittadini più attrezzati.
Soltanto nel 2011, secondo l’Aire (Anagrafe italiana dei residenti all’estero), il flusso dei giovani siciliani tra i 20 e i 40 che nel 2011 hanno lasciato la Sicilia per trasferirsi all’estero è stato di 2.418. L’emigrazione più numerosa dopo quella lombarda che è al primo posto con 4.768 espatri e quella del Veneto da dove sono partiti 2.568 giovani.
E questi sono numeri che certamente si potrebbero raddoppiare considerando il fatto che ad iscriversi all’Aire sono obbligati tutti i cittadini che trasferiscono la propria residenza all’estero per periodi superiori a 12 mesi oppure quelli che già vi risiedono, sia perché nati all’estero che per successivo acquisto della cittadinanza italiana a qualsiasi titolo. Nel calcolo non vanno compresi quei giovani, sicuramente tantissimi, che vivono all’estero per periodi determinati, come ad esempio i ricercatori con contratti a scadenza che non cambiano definitivamente residenza in attesa di una situazione lavorativa più stabile.
Sulle cause che spingono i siciliani a trasferirsi fuori non ci sono dubbi: la mancanza di lavoro. Di certo non si può dire che c’è un esubero di talenti in Sicilia. Anzi.
Secondo gli ultimi dati dell’ufficio statistica del Ministero dell’Istruzione, università e ricerca scientifica, i ricercatori nelle università siciliane sono in tutto 1.961 contro 4.701 personale tecnico-amministrativo sia di ruolo che non. Un dato che lascia riflettere sulla gestione della ricerca sia in Italia che in Sicilia. Un fenomeno, quello dei talenti in fuga che non accenna a diminuire.
Negli ultimi 10 anni, secondo l’Istat, è quasi triplicato in numero dei giovani laureati italiani che ha lasciato il Paese verso mete più appetibili, mentre è diminuita l’emigrazione italiana classica, quella fatta di lavoratori con appena la licenza media. Le principali mete dei “cervelli” italiani sono la Germania, Svizzera, Regno Unito e Francia, che ne “assorbono” il 44%. Fuori Europa, i giovani sono attirati da Stati Uniti e Brasile. Ma dietro la partenza di ogni giovane c’è anche una motivazione personale, al di là della mancanza di lavoro, quella che fa riferimento alla voglia di fare nuove esperienze per potenziare il proprio background.

Ricerca frammentata in molte realtà locali, scarsi fondi burocrazia fortemente limitante: la sconfitta dei talenti

Da Palermo alla California passando per Monaco di Baviera. Una carriera internazionale e piena di successi quella di Marco Ajello, 37enne ricercatore palermitano, laureato in ingegneria meccanica, oggi a capo di un progetto di ricerca sulla luce extragalattica all’Università di Berkley in California.
La sua non è semplicemente la storia di un “cervello in fuga” ma quella di un giovane che a soli 37 anni conquista un articolo su Science, una delle riviste scientifiche più importanti al mondo. Marco studia i raggi gamma di origine cosmica e coordina un importante progetto lanciato da “Fermi” il telescopio spaziale della Nasa dedicato proprio allo studio dei raggi gamma di origine cosmica.
La luce emessa dalle stelle nelle varie epoche cosmiche riempie infatti lo spazio, interagendo con i raggi gamma provenienti dalle galassie più lontane e creando così un "effetto nebbia" osservato in maniera scrupolosa dagli strumenti di Fermi. Questo risultato, pubblicato su Science, fornisce una misura della luce emessa dalle differenti generazioni di stelle, aiutando a esplorare meglio le fasi di formazione stellare nella storia dell’universo.

Marco, se le condizioni fossero ottimali, ritorneresti a lavorare in Sicilia?

“Certo che lo farei, ne sarei felice. Purtroppo in Italia manca un solido programma per riportare i “Cervelli in Fuga”. Esiste il programma Montalcini (ed altri) che prevedono l’istituzione di borse di studio per ricercatori che sono stati all’estero per un numero di anni. Queste borse hanno una durata minore di 5 anni. Dopo la fine di esse si ci si ritrova alla mercé del sistema italiano con cui giovani amici miei (ricercatori) combattono da anni: il precariato.
Una vita fatta di assegni di ricerca la cui durata è misurata in mesi, code per vincere un concorso (dove chi vi partecipa, io non l’ho mai fatto, mette in discussione la meritocrazia). Sinceramente tutto questo non incentiva chi come me ha una posizione semi-stabile (cioè rinnovabile ogni certo numero di anni) e ha a disposizione fondi per la ricerca (e per assumere del personale). L’Italia dovrebbe creare (come esiste in Germania, Stati Uniti ed altri Paesi) posti per Junior Professor, professori cioè con età minore di 40 anni, che hanno tempo, voglia e forza di fare la differenza. Posizioni che dovrebbero essere date su base meritocratica, possibilmente creando un comitato giudicante fondato da professori che risiedono all’estero (e quindi non hanno interessi).
Potrebbero anche creare posizioni per ricercatori (a tempo indeterminato, o tenure-track cioè con periodo di prova) riservate a persone che sono state all’estero. Anche 10 l’anno avrebbero un impatto notevole. Stiamo parlando di riportare in Italia gente molto motivata.
Quali sono le principali differenze tra il sistema di ricerca americano e quello italiano?
“La ricerca in Italia è frammentata in molte realtà locali, la disponibilità di fondi è molto limitata, la burocrazia fortemente limitante. In generale è difficile trovare in Italia una centro di ricerca che abbia una congregazione di scienziati come quella che c’è a Stanford o Berkeley. Singolarmente, esistono molte figure di rilievo in Italia, ma sono sparse su tutto il territorio. Bisognerebbe fare un po’ di massa critica ed aumentare compatibilmente con la crisi il livello di risorse economiche destinato alla ricerca”.

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