Immigrati, risorsa per il nostro Paese. Arrivano in Sicilia ma poi fuggono - QdS

Immigrati, risorsa per il nostro Paese. Arrivano in Sicilia ma poi fuggono

Antonio Leo

Immigrati, risorsa per il nostro Paese. Arrivano in Sicilia ma poi fuggono

giovedì 17 Gennaio 2013

Scarsa capacità di attrazione: nel 2010 oltre 600 gli stranieri che hanno cancellato la propria residenza nell’Isola. Fondazione Migrantes: “Un apporto fondamentale per la tenuta economica e lo sviluppo”

PALERMO – Viaggio della disperazione, andata e ritorno: potrebbe essere questo il titolo dell’ingrata permanenza di tanti immigrati nel nostro Paese. Partiti dalle coste del Nord Africa o dalla Cina con negli occhi la speranza di trovare l’America in Italia, si sono dovuti svegliare bruscamente dal sogno per ritrovarsi in un incubo. “’La capacità di attrazione del nostro Paese – ha affermato mons. Giancarlo Perego, direttore generale della Fondazione Migrantes – si sta indebolendo, mentre cresce la capacità di attrazione di altre nazioni, verso le quali s’incamminano i nostri immigrati, oltre a quei 50 mila giovani italiani che hanno già lasciato il Paese nel corso del 2011”.
 
Laddove Bossi, Fini e Maroni hanno fallito, ci ha pensato la crisi a convincere gli stranieri a guardare verso altri lidi. Un fenomeno partito nel 2010, come ha fotografato l’Istat, quando circa 28 mila immigrati, di cui oltre 600 in Sicilia, hanno cancellato la propria residenza in Italia per trasferirsi all’estero. Dalle parti di via Bellerio, sede della Lega, probabilmente questi dati avranno generato manifestazioni di giubilo, ma la realtà è molto diversa dai facili populismi della banda “Calderoli and friends”. Una recente stima di Moneygram evidenzia che gli immigrati nella Penisola producono l’11% del Pil nazionale. “Va ricordato – ha sottolineato mons. Perego – che l’apporto degli immigrati risulta fondamentale per la tenuta economica e per lo sviluppo del nostro Paese.
 
Per questo c’è da augurarsi che il segnale d’allarme venga raccolto e possa essere fronteggiato attraverso una politica dell’immigrazione che sappia tutelare le persone immigrate e i loro diritti e non annulli gli sforzi d’inserimento nel nostro Paese già profusi da tanti immigrati”. Ma certo i primi fuochi della campagna elettorale non promettono bene, con un Berlusconi che già alimenta lo spauracchio dell’apertura delle frontiere “qualora la sinistra dovesse vincere alle elezioni”. E d’altro canto la stessa Amnesty International, nel dicembre scorso, ha condannato l’Italia per quello che ha definito un “diffuso” sfruttamento razzista degli immigrati.
 
“In media – scrive il giornale statunitense Newsweek – gli immigrati sono pagati il 40 per cento in meno degli italiani, quando sono pagati. In tutto il Paese si registrano situazioni di servitù a contratto, dove i migranti lavorano per pagarsi vitto e alloggio, costretti a vivere in condizioni disumane. Molti sono entrati illegalmente, per questo motivo non chiedono aiuto alla polizia o non vanno all’ospedale quando sono malati o infortunati”. Difficoltà economiche e disprezzo hanno convinto molti forestieri a scappare: l’ultimo censimento della popolazione italiana “non ha ottenuto risposta da oltre 800 mila stranieri risultati irreperibili”, mentre “il report recente del 28 dicembre 2012 dell’Istat sulle migrazioni internazionali e interne ha registrato la partenza dall’Italia tra il 2002 e il 2011 di oltre 450 mila immigrati”. Il giornalista britannico Guy Dinmore, come riporta la rivista “Internazionale” citando il “Financial Times”, ha fatto un salto in un’agenzia di viaggio della Chinatown romana ed è venuto fuori un dato sorprendente: i biglietti di sola andata superano quelli di andata e ritorno. Se anche gli stacanovisti cinesi ci abbandonano, facciamoci due domande.

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