Alchimie d’arte, cultura come business - QdS

Alchimie d’arte, cultura come business

Roberto Quartarone

Alchimie d’arte, cultura come business

venerdì 25 Gennaio 2013

Il patrimonio storico artistico siciliano non solo come strumento di memoria, ma anche di guadagno economico. Ponzo: “Rimodernare il concetto di evento culturale legando la formazione all’esperienza diretta”

CATANIA – Dal Grand Tour al turismo nell’era della globalizzazione, la Sicilia è terra di scoperta culturale. È anche, fin troppo spesso, una regione dalla memoria storica cortissima, che nel volgere di pochi anni dimentica personaggi, storie e meriti per far spazio alle novità o presunte tali. Dietro le quinte, tuttavia, ci sono tante persone che credono nel recupero e nella promozione della cultura e della tradizione siciliane, riuscendo anche a farne una start up e, dunque, un lavoro.
È il caso di “Alchimie d’arte” di Chiara Ponzo, giovane catanese che a breve discuterà la sua tesi per completare la laurea specialistica in Filologia moderna. E chi ha studiato ai Benedettini, sede del dipartimento di Scienze umanistiche, acquisisce quasi naturalmente un rispetto per l’arte: l’ambiente dell’ex monastero trasuda di storia e ha influenzato l’esperienza di Chiara.
“Certo – attacca la Ponzo –, perché studiando lettere moderne ho imparato cosa fosse la comunicazione e la promozione del patrimonio culturale e questi due aspetti si sono fusi quando ho iniziato a condurre le visite guidate al monastero. Ma non solo a casa ho coltivato la mia passione per il patrimonio storico-artistico: a vent’anni ho partecipato alle campagne di scavo archeologico promosse dall’Università di Verona e dall’Archeoclub di Venezia e ho guidato i soci dell’Archeoclub di Catania in diverse mostre cittadine”.
Varie esperienze che alla fine l’hanno condotta a un punto di svolta: la fondazione, insieme ad altri colleghi, dell’associazione Officine culturali. “Era il 2009, volevamo valorizzare gli incanti del monastero dei Benedettini, prendendo in mano la gestione dei beni culturali e l’organizzazione delle visite guidate. A questo punto decido di seguire il corso di Alta formazione in gestione dei beni culturali a Napoli, presso la facoltà Teologica dell’Italia Meridionale, che ha dato l’input decisivo alla fondazione di Alchimie d’Arte”.
Ma da un’associazione a un’azienda il passo è lungo. “Scommettere su un’impresa quando si proviene dall’associazionismo non è mai semplice, soprattutto per gli oneri economici e le difficoltà che si incontrano nel ricerca di partner pronti ad investire nel marketing culturale. Con il no-profit ci si presenta meglio alle istituzioni e alle grandi aziende, perché ancora purtroppo si fatica ad accostare la cultura alle start up, nella convinzione che la parola impresa faccia rima con speculazione. Creare una ditta, oggi, è un grande atto di responsabilità e coraggio, significa scegliere un percorso professionale o, se vogliamo, inventarsi un lavoro”.
Hai avuto aiuti o bastoni fra le ruote dalle istituzioni?
“Lavorare in sinergia con le istituzioni è indispensabile per chi vuole promuovere il patrimonio culturale. Mi è capitato più volte di avere patrocini istituzionali, ovviamente gratuiti, che tradotti nella concessione degli spazi, mi sono stati di grande aiuto. Certo, sarebbe bello ricevere un sostentamento economico, soprattutto perché la maggior parte delle volte gli eventi sono autofinanziati, ma è poco più che un’utopia. Voglio sottolineare che i privati mi hanno dato un grande sostegno: parlo delle multinazionali e delle piccole aziende che hanno sponsorizzato le iniziative, dei proprietari dei palazzi storici che hanno aperto le porte delle loro abitazioni e delle piccole imprese che hanno proposto la loro partnership”.
Come si può avvicinare la gente alla cultura in un periodo di crisi?
“Credo non occorra, Catania ha una grande sete di cultura, gli eventi proposti fino ad ora hanno avuto un grande riscontro di partecipanti. La crisi c’è, questo è innegabile, e nella convinzione che la cultura debba essere accessibile a tutti, le quote di partecipazione alle manifestazioni sono sempre state molto basse, quasi simboliche. ‘Patrizi e Palazzi’, il tour delle dimore nobiliari, che contiamo di ripetere a maggio, prevedeva con un ticket di 10 euro visite guidate a quattro palazzi storici, degustazioni ed esposizioni d’arte contemporanea. Questo è stato l’evento più costoso, di solito non si supera la soglia dei 5 euro”.
Chiara Ponzo organizza anche tour, giornate culturali e spettacoli, come l’ultimo con i pupi siciliani dei fratelli Napoli al teatro Machiavelli. Ma quali sono le idee innovative di “Alchimie d’arte”?
“Credo molto nella filosofia della smart culture: la conoscenza storico-artistica dei beni culturali accompagnata ad attività di laboratorio, per una più immediata accessibilità e comprensione. Il mio obiettivo è rimodernare il concetto di evento culturale, legare la formazione all’esperienza diretta, dando ai fruitori la possibilità di diventare attori. Il punto di forza è l’offerta diversificata: spazi e attività differenti per bambini, adulti, specialisti e appassionati , chiaramente low cost”.
Qual è la situazione del settore in Sicilia? Si tenta di innovare?
“I beni culturali dovrebbero essere l’asso nella manica dei siciliani, il punto da cui ripartire. Negli ultimi anni sono nate molte associazioni e poche imprese, perché è molto difficile ottenere la gestione di un bene culturale da un ente”.
Hai contatti con altri giovani che cercano di avviare un’attività nel settore culturale?
“Purtroppo conosco pochi ragazzi disposti a mettersi sulle spalle tasse, contributi e soprattutto rischi, e chi lo fa di solito investe nell’ambito del marketing, della comunicazione e della tecnologia. Nonostante si tratti di settori diversi, sto già lavorando a un progetto legato al turismo insieme ad altri startupper, sarà il prodotto di tecnologie all’avanguardia, ricerca storica e marketing”.
Si può tornare alla Primavera di Catania così o siamo ancora nell’Estate della città (come ha scritto Giovanni Iozzia in un recente libro) e della Sicilia?
“L’estate, in Sicilia, è tra le stagioni più lunghe e la sua scia resta per molti mesi. Io, però, sono positiva, ho scelto di restare nella mia terra perché credo che il cambiamento debba partire da qui e sono convinta che con un po’ d’impegno si possa già sentire l’odore della primavera”.

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