Tumore all’ovaio, diagnosi tardiva per quattro pazienti su cinque - QdS

Tumore all’ovaio, diagnosi tardiva per quattro pazienti su cinque

redazione

Tumore all’ovaio, diagnosi tardiva per quattro pazienti su cinque

sabato 09 Febbraio 2013

Paolo Scollo, presidente SIOG: “Determinante la collaborazione tra ginecologi e oncologi”. Se la malattia viene scoperta in tempo la sopravvivenza raggiunge il 90%

Milano – Otto diagnosi di tumore all’ovaio su 10 giungono quando il cancro è ormai in fase avanzata. In questi casi, la sopravvivenza delle pazienti è solo del 30%. Dato che si inverte radicalmente se la malattia viene scoperta in tempo. Allo stadio iniziale, infatti, la probabilità di vincere il cancro raggiunge il 90%. Per una neoplasia come quella all’ovaio, che non presenta sintomi chiari e uno screening efficace, l’intervento precoce è fondamentale.
“In Italia siamo all’avanguardia nella gestione di queste pazienti, ma registriamo una scarsa comunicazione fra ginecologo e oncologo e le altre figure chiave coinvolte e non abbiamo percorsi condivisi, al contrario di quanto accade per altri tumori, come quello della mammella – commentano i Presidenti della Società di Ginecologia e Ostetricia (SIGO), prof. Nicola Surico e dell’Associazione di Oncologia Medica (AIOM), prof. Stefano Cascinu, che hanno presentato a Milano il 4 febbraio, in occasione della Giornata mondiale contro il cancro, i risultati del lavoro congiunto AIOM-SIGO-SIOG –. Partendo da questa base e sollecitati dai nostri stessi soci, come società scientifiche ci siamo riuniti ed abbiamo elaborato un documento ufficiale con proposte concrete per favorire la creazione di veri e propri team collegiali, un numero minimo di interventi per essere indicati come centri di riferimento e la collaborazione fra le diverse strutture: ora potremo garantire la migliore assistenza alle 4.900 italiane colpite ogni anno dal tumore all’ovaio”.
È la prima volta che nel nostro Paese le Società scientifiche, oltre a AIOM e SIGO anche la SIOG (Società di oncologia ginecologica), decidono di mettersi insieme per un lavoro di questo genere. “Abbiamo definito, sul modello delle breast unit per il cancro alla mammella, una serie di indicatori per i centri di riferimento sulla neoplasia dell’ovaio – spiega il prof. Paolo Scollo dell’Ospedale “Cannizzaro” di Catania, presidente SIOG –: deve essere sempre presente, ad esempio, un’équipe multidisciplinare dedicata, con professionisti che lavorano fianco a fianco in perfetta integrazione. Il problema della comunicazione è infatti centrale, come rilevato dai nostri stessi soci in un recente sondaggio: ben il 63% degli oncologi e il 32% dei ginecologi ritengono che il livello di cooperazione non sia sufficiente. Per l’86% di loro, una collaborazione continua è determinante per definire percorsi guidati e codificati uniformemente in tutta la Penisola. Non possiamo perdere altro tempo, soprattutto ora che dopo quindici anni disponiamo di nuove terapie, purtroppo ancora in attesa di approvazione nel nostro Paese”.
Il documento tecnico fissa competenze ben precise all’interno dei team di intervento. “Abbiamo predisposto una serie di indicatori che le Unità Operative di riferimento sul territorio dovranno rispettare, considerando sia il loro carico di lavoro annuale che la multidisciplinarietà. Ad esempio, ogni chirurgo ginecologo-oncologo dovrà trattare almeno dieci casi di carcinoma ovarico all’anno e non potranno passare più di 14 giorni dalla prima visita della paziente all’intervento”.
Il documento ufficiale è già stato consegnato alle Istituzioni sanitarie del Paese, anche se – aggiungono i 3 Presidenti delle Società – “già noi lo diffonderemo ai nostri soci perché possa diventare operativo a tutti gli effetti”. Il cancro dell’ovaio rappresenta il 3% del totale delle neoplasie femminili, il decimo più diffuso tra le donne, ma rientra tra le prime 5 cause di morte per tumore nella fascia di età tra i 50 e i 69 anni. A causa proprio della sintomatologia tardiva e senza segni specifici, circa 4 pazienti su 5 presentano alla diagnosi una malattia in fase molto avanzata (III – IV stadio). Queste caratteristiche condizionano negativamente la prognosi della patologia, per sua natura già aggressiva: solo il 41% delle donne colpito da un tumore dell’ovaio nella prima metà degli anni 2000 risulta ancora in vita a 5 anni dalla diagnosi (72% a 1 anno e 50% a 3 anni).
“Grazie al nostro lavoro riusciremo nel tempo ad agire in maniera sempre più efficace sul tumore – concludono i Presidenti –, sia dal punto di vista clinico-terapeutico, che dell’assistenza sul territorio. Per una malattia così complessa, infatti, il supporto delle associazioni di pazienti diventa fondamentale. AIOM e SIGO godono già da tempo di ottimi rapporti con molti gruppi e reti di malati. Creare un link con le persone che vivono sulla propria pelle la terribile esperienza di un tumore rappresenta un valore aggiunto e rende il percorso terapeutico sempre più ‘umano’ e sostenibile”.

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