In Italia, un’impresa ogni cento abitanti - QdS

In Italia, un’impresa ogni cento abitanti

Anna Claudia Dioguardi

In Italia, un’impresa ogni cento abitanti

sabato 23 Febbraio 2013

Forum con Ferruccio Dardanello, presidente di Unioncamere

Qual è la situazione delle Imprese italiane?
“Il nostro è un Paese che vive di impresa. Su 60 mln di cittadini, in Italia vi sono 6 mln 98 mila imprese, l’equivalente di un’impresa ogni 100 abitanti ossia il concentrato di imprenditoria più rilevante d’Europa. I nostri 150 anni di Storia sono stati costruiti sulle piccole imprese, dal momento che il 90 percento delle imprese italiane ha meno di 10 dipendenti.   
Ci ricordiamo sempre dei grandi brand, ma sotto c’è un oceano di “invisibili” cui vanno riconosciuti grandissimi meriti. Quest’anno Unioncamere ha festeggiato i 150 anni dall’istituzione delle moderne Camere di commercio. Uno dei primi grandi decreti del regno, dopo l’unità, fu infatti quello di costituire una rete istituzionale a supporto dell’economia, ossia le Camere di commercio. Con quell’idea, partorita dalla mente di Cavour, il neonato Stato unitario riuscì ad unire in un progetto condiviso le economie di tutti i territori creando le premesse per lo sviluppo del Paese.
Oggi questo tessuto sta vivendo un passaggio molto difficile, ma sta anche dando straordinarie prove di tenuta. Se è un dato di fatto che in Italia ogni giorno chiudano mille imprese, è anche vero che ne nascono altrettante. Il 2012 si è chiuso con un saldo in attivo per 19 mila imprese. La differenza rispetto al passato è che chiudono imprese con 100 anni di storia e ne aprono altre legate per lo più ai giovani, alle donne, e all’immigrazione”.
Quali sono le condizioni secondo lei determinanti per la crescita delle imprese nostrane?
“L’imprenditoria italiana ha fino ad oggi fatto miracoli, poiché è cresciuta senza grande assistenza da parte dello Stato. Oggi questo non è più possibile.
L’importanza della nostra economia e la qualità delle sue produzioni sono riconosciute in ogni parte del mondo. Da un’analisi condotta di recente su scala mondiale è emerso che il terzo brand più conosciuto, dopo Coca cola e Visa, è Made in Italy: un concentrato di emozioni e di produzioni, dal tessile all’agroalimentare, dalla meccanica al cinema che non ha rivali.
Abbiamo un patrimonio produttivo straordinario da mettere a valore, da proporre sempre più in modo integrato e complementare da Nord a Sud, da abbinare a questo straordinario scrigno ancora da aprire completamente che è il nostro territorio”.
Come fare? Quali politiche?
“La politica di Unioncamere in questo secondo triennio di mia presidenza, viaggerà su quattro grandi asset: semplificazione, innovazione, internazionalizzazione e credito.
Partiamo dalla semplificazione. La complicazione dei processi produttivi e distributivi in Italia non ha paragone con nessun nostro competitor economicamente avanzato a livello mondiale. Da un’indagine Ocse emerge che, in quanto a complicazione delle cose semplici, l’Italia è all’88° posto nella classifica mondiale. Una vera svolta potrà avvenire solo a condizione che si dia avvio da parte del Governo e del Parlamento ad una grande stagione di delegificazione e di armonizzazione delle poche leggi realmente necessarie.
Il sistema camerale ha dato un contributo importante in questi anni. Attraverso i nostri strumenti informatici realizzati da InfoCamere, come ComUnica – la comunicazione unica telematica con cui le imprese possono inviare i propri dati ad una sola amministrazione (le Camere di commercio) raggiungendo anche Inps, Inail e Agenzia delle Entrate in modo trasparente – abbiamo già fatto passi avanti verso la semplificazione e la diminuzione macroscopica dei tempi della burocrazia. La consegna dei bilanci ne è un esempio. Altro esempio è la giustizia conciliativa sulla quale mi auguro il nuovo Governo vorrà tornare a lavorare poiché comporta un risparmio, in termini di tempo e costi, non indifferente. Per risolvere un contenzioso attraverso il meccanismo della mediazione nelle Camere di Commercio bastano oggi circa 56 giorni, in tribunale ne servono 1.300, spendendo qualcosa come il 30% del valore della causa. Quando con la mediazione nelle Camere di commercio la spesa si ferma al 3%”.

Oltre alla semplificazione, gli altri tre vostri grandi obiettivi sono internazionalizzazione, innovazione e credito. Qual è la vostra azione a riguardo?
“L’internazionalizzazione è il nostro secondo grande obiettivo. La realtà conferma l’importanza di questo settore: in questi anni di crisi, infatti, gli unici dati sempre positivi per la nostra economia provengono dal mercato internazionale. Non ci sono trimestri in negativo anzi, vi è una crescita costante dovuta anche all’alta qualità dei prodotti italiani. Sono 200 mila le imprese nostrane coinvolte nell’export. L’impegno di Unioncamere, di concerto con il Ministro Passera, la nuova Ice e il Comitato delle Regioni, è quello di portare, nel 2013, altre 20 mila nuove imprese a sfidare il fronte internazionale. Credo che la Sicilia sarà una delle grandi protagoniste in tal senso, per alcuni settori specifici, quali l’agroalimentare, in particolar modo.
Certo, per poter investire in export e in innovazione, ma non solo, sono necessarie le risorse economiche e dunque un accesso al credito adeguato. E’ il nostro terzo grande obiettivo. Le Camere di Commercio stanno continuando ad investire, con risorse proprie, a sostegno dello strumento dei Consorzi Fidi. Il nostro sistema nel 2012 ha investito 150 milioni di euro a sostegno dei confidi italiani, in modo particolare per garantire alle piccole e medie e imprese, che non riescono a trovare risorse nel mondo bancario, di avere quella co-garanzia che permetta loro di fare investimenti in favore dell’innovazione”.
 


Una rete che mette insieme un vasto tessuto di Pmi

L’importanza del fare rete per le imprese italiane?
“Viviamo nell’epoca delle reti e, anche sul fronte dell’imprenditoria, questo è un fattore di competitività dal quale non si può prescindere. Soprattutto per l’Italia che non vanta grandi gruppi imprenditoriali come altri Paesi nostri competitor, ma si affida ad un tessuto di micro-piccole e medie imprese che, da sole, fanno fatica a fare massa critica sui mercati. Basti pensare alla ricerca, per esempio. Fino a poco tempo fa solo i grandi gruppi avevano finanze tali per poter investire in ricerca. Oggi tante piccole imprese, attraverso lo strumento della rete, hanno la possibilità di mettersi insieme e portare avanti una strategia comune.
Unioncamere è la rete delle reti, non solo in Italia. Il nostro sistema infatti è costituito anche da 76 ambasciate economiche disseminate in ogni angolo del mondo. Le nostre camere di commercio all’Estero sono figlie dell’affermazione italiana all’estero. Sono infatti costituite da imprenditori italiani  emigrati o figli di emigrati che, in questi paesi, hanno costituito delle aggregazioni associative, cominciando poi sempre più a dialogare con il Paese d’origine”.
Questo aiuta sul fronte dell’internazionalizzazione?
“Assolutamente si. Ma il nostro obiettivo primario sul fronte dell’internazionalizzazione è quello di dare un forte imprinting in termini di coerenza all’offerta di italianità. Fino ad ora infatti le imprese italiane sono arrivate sui mercati globali spesso divise, ed è difficile far comprendere all’estero che in Italia ci siano così tanti modi diversi di vivere e di pensare. Sarà questa dunque, nel prossimo triennio, la politica di Unioncamere: mettere insieme le nostre ricchezze e complementarietà. Abbiamo un “catalogo” di proposte straordinarie che, se accompagnate dalla passione potrà guidarci verso un  futuro ricco di grandi soddisfazioni”.
 


Crescita sul territorio legata al rispetto delle regole

Sul fronte estero quali sono i Paesi ai quali guardare con maggiore attenzione?
“L’Italia, e in particolare la vostra area, deve guardare con interesse a quattro Paesi in particolare: Tunisia, Marocco, Libia ed Algeria. Lì vivono circa 120 milioni di giovani che vogliono crescere e hanno interesse per il nostro modo di vivere e per la nostra cultura. Dobbiamo quindi aiutarli, anzitutto nella formazione, dotandoli delle infrastrutture e degli strumenti necessari per crescere e competere”.

Ci sono camere di commercio in questi territori?

“Sono previste a breve. Il nostro Paese dà l’idea di una portaerei all’interno del Mediterraneo. Facciamo in modo che da essa possano decollare le nostre imprese, i nostri prodotti, il nostro stile di vita. È una metafora che rende bene l’idea di Unioncamere sul fronte internazionale”.

Qual è l’azione di Unioncamere riguardo al tema della legalità?

“L’imprenditoria può continuare a crescere a condizione che vi sia una forte presa d’atto che senza il rispetto delle regole il mercato non funziona. Stiamo lavorando accanto alle istituzioni, mettendo a disposizione di chi ha il compito di salvaguardare l’imprenditoria onesta le nostre banche dati. Stiamo inoltre per aprire in ogni camera uno sportello per la legalità, per essere a fianco delle imprese per tutelarle e garantirle dalle infiltrazioni che distruggono il bene più prezioso per le imprese e i cittadini: la fiducia reciproca”.

C’è un indirizzo di politica economica generale dell’Ente nei confronti delle Camere di Commercio?

“La nostra struttura è formata dalle 105 Camere presenti in tutto il territorio italiano e dalle 20 unioni regionali. Le camere aderiscono direttamente all’Unioncamere nazionale e, insieme con le nostre agenzie e le altre strutture operative, formano il sistema camerale. Fino a qualche anno fa l’adesione delle singole camere alle unioni regionali era volontaristica, con la riforma del 2010 è diventata obbligatoria”.
 

 
Curriculum Ferruccio Dardanello
 
Ferruccio Dardanello è nato a  Mondovì, in provincia di Cuneo, il 29 giugno 1944. E’ coniugato e ha una figlia. Laureato in Scienze politiche, dal 9 giugno 2009 è presidente di Unioncamere. Dal 1993 è presidente della Camera di Commercio Industria Artigianato e Agricoltura della provincia di Cuneo e dal novembre 2008 è presidente di Unioncamere Piemonte. Commerciante, dal 1984 è presidente dell’Unione del Commercio, del Turismo e dei Servizi della provincia di Cuneo. Dal 1988 al 1993 è stato Consigliere Regionale del Piemonte.

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