Borse di studio in calo, -24,33% in cinque anni - QdS

Borse di studio in calo, -24,33% in cinque anni

Andrea Carlino

Borse di studio in calo, -24,33% in cinque anni

mercoledì 03 Aprile 2013

Cattive notizie dall’indagine dell’Associazione italiana dei dottorandi. Nell’Università di Catania diminuzione del 68,1%

CATANIA – Sempre meno borse, con sempre più tasse da pagare e speranze ridotte al lumicino di proseguire poi la carriera all’interno dell’università italiana. Mentre aumentano, in parallelo, i posti senza copertura economica, soprattutto dopo che il governo Berlusconi ha tolto il limite del 50% del totale per i dottorati senza borsa. È quanto rivela un’indagine Adi, l’Associazione dei dottorandi.
I sussidi segnano un -24,33% negli ultimi 5 anni passando dai 5.045 del 2008/2009 ai 3.804 del 2012/2013. La media di borse per ateneo scende da 245,4 a 185,7. I dati riguardano un campione di 21 università statali e rivelano un calo molto brusco fra il 2009 e il 2010 con quasi mille borse in meno. Mentre negli ultimi due anni accademici c’è stato un leggero incremento. Il bilancio del quinquennio resta però negativo. Guardando ai dati relativi alle singole università, la variazione percentuale va da un +3,6% della Sapienza di Roma (da 585 borse a 606), al -68,1% dell’università  di Catania (da 251 borse a 80). Per il 2013 risultano poi banditi 3.030 posti senza borsa che solo in alcuni casi vengono coperti da fondi supplementari. Ci sono poi atenei tra quelli del campione (Milano Politecnico, Pavia, Roma Tor Vergata) che hanno bandito per il 2012/2013 un numero di posti senza borsa superiore a quello di posti con borsa.
Chi non gode del sussidio deve anche pagare una tassa d’iscrizione che varia da ateneo ad ateneo ed è mediamente “in crescita”. In questo quinquennio la minore erogazione di borse, secondo i calcoli dell’Adi, “ha sottratto alla ricerca 202.680.00 euro”. Dopo il dottorato per molti l’unica speranza per restare in ateneo almeno per un po’ è un assegno di ricerca. Ovviamente temporaneo. Poi il 93% degli assegnisti lascia l’università: il 78% dopo una serie di assegni di ricerca, il 15% dopo un contratto a tempo determinato. Solo il 7% viene reclutato per la ricerca a tempo indeterminato. Il confronto con l’Europa ci vede nettamente indietro: “In Italia ci sono 0,6 dottorandi ogni 1.000 abitanti, in Finlandia 3,8, in Austria 3,4 e in Francia 1,1 – spiega l’Adi -. Anche la borsa-stipendio dei dottorandi (1.035 euro) è tra le più basse d’Europa: i dottorandi norvegesi guadagnano 3.400 euro al mese, i francesi 1.500, i tedeschi 1.840 e gli inglesi 1.360.
“La gravità di questo scenario emerge soprattutto se si considera la specifica realtà italiana – spiegano dall’Adi dove il titolo di Dottore di Ricerca è difficilmente spendibile e scarsamente riconosciuto nel mondo del lavoro, incluso quello pubblico”. Esistono però anche oasi felici, come il Politecnico di Torino, quello di Milano e quello di Bari dove le possibilità di restare all’università per fare ricerca sono nettamente superiori. Fanalino di coda l’università di Macerata.

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