Necessario investire nel “Born in Sicily” - QdS

Necessario investire nel “Born in Sicily”

Francesco Sanfilippo

Necessario investire nel “Born in Sicily”

venerdì 05 Aprile 2013

Forum con Dario Cartabellotta, assessore regionale Risorse agricole

Quali sono le tre criticità dell’agricoltura siciliana?
“La prima criticità è che la Sicilia ha un appeal alimentare riconosciuto in tutto il mondo, ma che non sa utilizzare. Poi, manca la cultura dell’aggregazione che permetterebbe di fare tutte quelle azioni sinergiche che danno valore ai prodotti. Un’altra criticità è l’isolamento, poiché la nostra cultura alimentare non è trasmessa in chi vive nell’isola e ciò si nota con i consumi alimentari. L’agricoltura siciliana produce quasi 4 miliardi di beni, ma la Sicilia consuma 10 miliardi di prodotti e la percentuale delle sue materie prime impiegate è minima”.
Come superare queste criticità?
“Occorre puntare sul prodotto “born in Sicily” che significa la valorizzazione di tutta l’agro-biodiversità, non solo un marchio commerciale. La nostra deve essere valorizzazione di tutte le risorse come nel caso, ad esempio, del vino. Il Nero d’Avola e il Grillo erano dei vini sottovalutati fino a pochi decenni prima, mentre oggi, sono conosciuti in tutto il mondo. Non solo ma le aziende vitivinicole hanno investito in altri prodotti di successo come l’Albanello e il Perricone. Tanta piccola produzione ha avuto successo perché ha investito nella biodiversità e i risultati si vedono anche con l’introduzione del marchio Doc che qualifica il vino, evitando truffe. La Sicilia, sempre per la valorizzazione dei suoi prodotti, ha più di 100 comuni che legano il proprio nome al prodotto stesso, come appare chiaro nel caso del pistacchio di Bronte. I comuni stessi devono fornire i loro prodotti tipici alle mense scolastiche e agli ospedali. In questi luoghi, si deve mangiare “Born in Sicily”, basta pensare che il valore degli appalti dei cibi non siciliani è di 250 milioni di euro e che questi possono essere sostituiti dai prodotti tipici siciliani. L’Assessorato sta inserendo in un albo tutte le aziende che fanno prodotti esclusivamente siciliani, eliminando ogni mistificazione. Il mio auspicio è che il marchio s’identifichi con tutti i siciliani immigrati che potrebbero consumare i nostri prodotti nel mondo attraverso un progetto strategico di valorizzazione agroalimentare a livello internazionale, aprendo, così, mercati enormi. La Sicilia non può sfamare il mondo, ma lo può gratificare con i suoi prodotti legati al territorio d’origine ed è il tema che si sta ponendo con l’Expo 2015 a Milano”.
Come si possono creare aggregazioni tra i coltivatori, evitando la frammentazione?
“Per anni l’agricoltore è stato l’anello debole e non c’è stata l’inter-professione come in Francia. L’Assessorato ha così promosso accordi di filiera dove da un lato c’è il produttore di base, dall’altro chi lo trasforma. Con questi accordi, codifichiamo prezzi e qualità, in modo che chi trasformerà questi prodotti, riconoscerà l’equo prezzo ai produttori, ottenendo di essere incluso nelle politiche “Born in Siciliy” dell’Assessorato stesso. Ciò avvicinerà produttori e consumatori, ricostruendo il rapporto di fiducia così com’è avvenuto col vino”.
Che cosa sta facendo l’assessorato per realizzare questo progetto?
“L’Assessorato sta individuando tutti i produttori “Born in Sicily” e quest’albo sarà messo a disposizione dei comuni, delle mense scolastiche e degli ospedali. Inoltre, gli accordi di filiera saranno messi nel nuovo piano di sviluppo rurale. Infatti, non ci saranno più investimenti per aziende che non useranno ingredienti “Born in Siciliy”. Così, nessuno potrà usare prodotti stranieri che poi sono passati come siciliani”.
 
Quali provvedimenti di sviluppo sta preparando il vostro assessorato?
“I due filoni d’intervento della Politica Agricola Europea per il 2014/2020, approvati di recente a Strasburgo, saranno gli stessi, ma l’Europa sarà più attenta all’identità territoriale, anche se alcuni Paesi europei, come la Francia, si prenderanno il grosso dei finanziamenti. In realtà, non possiamo più limitarci ad accogliere ciò che è deciso a Bruxelles, ma occorre avere una nostra politica agricola regionale che punti alla nostra identità che è multiforme e differente, usando i fondi comunitari. La Sicilia, nel precedente programma 2007/2013 ha ottenuto 2 miliardi di cui uno è stato speso. Con il nuovo piano di sviluppo rurale, che attende le disposizioni comunitarie riguardo i finanziamenti, si punterà sul “Born in Sicily” e su maggiori garanzie e credito e meno conto capitale”.
Può spiegarci quest’ultimo punto?
“In passato ciò che si valutava, erano i capitali materiali degli agricoltori come i trattori, oggi, invece, conta il capitale immateriale come innovazione, marketing, crediti e garanzie. Perciò, si avranno progetti più piccoli, dove si ritornerà al conto interessi, nei quali l’agricoltore avrà la copertura degli interessi, ma non ci sarà il contributo a fondo perduto come un tempo si faceva con la Cassa della Piccola proprietà contadina. Non ultimo, l’agricoltura dovrà coniugarsi con l’ambiente, vista la tendenza di Bruxelles. In questo caso, l’Assessorato si sta battendo con forza perché passi il principio che l’agricoltura ben diretta sia la prima attività che tuteli l’ambiente. Infatti, la mancanza di cura del territorio è ciò che provoca il dissesto idrogeologico. Infine, saranno potenziate le infrastrutture come l’acqua e la viabilità agricola”.
 
Come sarà ristrutturato l’assessorato?
“L’assessorato è composto, ad oggi, da 4 dipartimenti e 36 enti giuridici. Per riformarlo, si ridurranno i dipartimenti, perciò uno si occuperà di agricoltura, un altro mirerà allo sviluppo rurale e territoriale, mentre l’ultimo punterà alla pesca. Sul dipartimento di sviluppo rurale e territoriale, si allocherà la questione dei forestali. Ci sono 25 mila unità, di cui 7 sono adibite allo spegnimento degli incendi e 18 mila per gestire i boschi, una separazione che va contro ogni logica organizzativa. Ora, si vuole lasciare all’Agricoltura la gestione, mentre al Territorio e Ambiente resterebbero i militari della forestale. Così, la legge 16 del 1996 sarà cambiata e i forestali non militari saranno impiegati in altri compiti. Poi, si rimoduleranno i fondi europei per impiegare questa forza-lavoro solo nella reale manutenzione del territorio. Infine, si realizzeranno progetti per la valorizzazione di tutta l’area forestale sia a scopo turistico-economico sia energetico”.
Che cosa accadrà ai consorzi di bonifica?
“Nel caso dei consorzi di bonifica, una prima riforma sarà di carattere infrastrutturale, dove il nucleo di aggregazione potrebbe essere l’Ente di sviluppo agricolo. I consorzi di bonifica, poi, saranno tre e dipenderanno da questo dipartimento, ottenendo una governance unica di gestione del territorio. Un’altra riforma riguarderà le produzioni vegetali, mentre un’altra concernerà le produzioni animali”.
Questa riforma sarà inserita nella legge Finanziaria?
“Sì, questa riforma è inserita in Finanziaria”.

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