Meno male che Giorgio c’è - QdS

Meno male che Giorgio c’è

Carlo Alberto Tregua

Meno male che Giorgio c’è

martedì 23 Aprile 2013

Parlamento rinsavito, ora il Governo

In un precedente editoriale, pubblicato in tempi non sospetti, avevamo auspicato la rielezione di Giorgio Napolitano, quale unica possibilità nel marasma istituzionale conseguente al voto del 24 febbraio, a sua volta conseguente alla legge elettorarale 270/05 detta Porcellum. La pervicacia dei partiti nel non cambiarla ha condotto ad avere tre poli quasi uguali nel Parlamento e quindi all’ingovernabilità.
Il Presidente della Repubblica, confermato con 738 voti, ha posto le condizioni dell’accettazione, che costituisce un atto di generosità. Condizioni espresse nel discorso al Parlamento di ieri pomeriggio. Il primo ministro, che verrà incaricato fra un paio di giorni, dovrà provvedere all’elaborazione dei disegni di legge (o decreti legge) in linea con le indicazioni del Presidente della Repubblica. In immediata successione il Parlamento dovrà approvarli.

Napolitano ha due formidabili leve nelle sue mani: la prima riguarda la sua facoltà di sciogliere le Camere e mandare a casa i 945 parlamentari; la seconda, la minaccia delle sue dimissioni che riporterebbero la situazione a prima del 20 aprile, come nel gioco dell’oca; un vero disastro.
I partiti della novella coalizione (Pd, Pdl, Scelta civica e Lega) saranno costretti ad approvare i provvedimenti che debbono fronteggiare immediatamente la questione economica e mettere la premessa per intraprendere la crescita.
Ci vuole oltre un miliardo per sostenere la cassa integrazione in deroga e oltre quattro miliardi per evitare l’aumento di un punto dell’iva dal prossimo primo luglio. Ci vogliono dieci miliardi per mettere in moto le opere pubbliche e le infrastrutture.
Al di là di queste urgenti misure è indispensabile procedere alle riforme istituzionali, a partire dal cambiamento del Senato (rompendo così il bicameralismo perfetto) e per conseguenza la legge elettorale, in modo che alla fine di ogni tornata si sappia chi abbia vinto e chi perso, come accade in Francia, GB, USAe Russia, nonchè in tanti altri Paesi del mondo.
Urge rielaborare il bilancio e la legge di stabilità 2013 trovando risorse per attivare meccanismi di produzione di ricchezza e quindi di opportunità di lavoro, non solo posti di lavoro.

 
L’elezione di Napolitano ha disegnato una nuova mappa del Parlamento, di fatto facendo raggruppare la sinistra estrema, rappresentata dai Grilletti, da Vendola, dalla sinistra del Pd (Fassina, Fiom e soci), dagli ex di Ingroia.
Se non ci fosse l’ira del popolo che vota per M5S, non sapendo più come manifestare il grande disagio, tutti questi potrebbero arrivare al 10 per cento degli elettori.
dovrà essere perciò la grande alleanza a procedere speditamente a cambiare le regole del gioco in modo che si provveda a diffondere equità fra le varie classe sociali, conseguente alla produzione di ricchezza e lavoro.
C’è chi auspica un cambiamento delle regole dell’Unione economica e monetaria europea (17 Paesi). Ma per cambiare le regole occorrono governi forti e rappresentativi. Perciò Napolitano dovrà scegliere un primo ministro autorevole e così riconosciuto a livello internazionale.

L’intervento di Fabrizio Barca in questo ambito della sinistra estrema potrà essere un elemento riequilibratore, ma sempre sinistra estrema rimarrà. Avendo essa scelto Stefano Rodotà come proprio candidato alla Presidenza della Repubblica ha confermato una linea chiara di che cosa vuole tale sinistra estrema: statalismo, aumento della spesa pubblica, mantenimento dei privilegi, espansione dello Stato nell’economia, blocco della concorrenza, livellamento della professionalità, impedendo l’emersione di talenti e l’attribuzione di incarichi per merito.
Dal che, una burocrazia cristallizzata dentro la quale i dirigenti apicali dicono sempre di no per non assumersi responsabilità.
Tutto questo vuole la sinistra estrema. Ben diversa dalla sinistra riformista e progressista del Partito democratico che ora è costretto ad assumersi la co-responsabilità di questo periodo transitorio (forse un anno) che porterà il Paese alla normalità, conseguente ad elezioni serie, che indichino senza dubbio chi dovrà assumere la responsabilità di guidare il Paese per cinque anni.

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