La festa del lavoro, festa dell’inutilità - QdS

La festa del lavoro, festa dell’inutilità

Carlo Alberto Tregua

La festa del lavoro, festa dell’inutilità

venerdì 03 Maggio 2013

Senza riforme il Paese è bloccato

Per organizzare le manifestazioni del primo maggio, sindacati, enti pubblici e privati cittadini hanno speso una montagna di soldi. Si tratta di manifestazioni folkloristiche che dovrebbero celebrare il più importante obiettivo della Repubblica (fondata sul lavoro), ma che invece è diventata una fiera di inutili parole.
Sul piano ludico tutte le manifestazioni aiutano la gente a svagarsi e ad annegare i problemi dietro l’umano divertimento, che serve anche come valvola di scarico delle lagnanze individuali.
Poi si arriva ai discorsi semiseri dei segretari nazionali delle organizzazioni sindacali, perché continuano ad elencare i mali, sottolineando il diritto a quello o a quell’altro, evidenziando il malessere (che c’è) in vasti strati della popolazione a basso reddito.
Ma tutti questi signori non comunicano all’opinione pubblica la questione più importante: come fare a generare lavoro, non necessariamente dipendente, anche autonomo.

È ormai noto che per generare lavoro bisogna generare ricchezza (non finanziaria), frutto di attività economiche nella produzione di beni e servizi. Com’è noto, il settore pubblico non genera ricchezza, anche perché non è suo compito. Ciò non toglie che servizi efficienti ed efficaci, cioè con costi adeguati e non superiori alle necessità, sono il carburante necessario per fare funzionare le attività economiche.
Oggi, in Italia, accade il contrario. Le pubbliche amministrazioni frenano continuamente le iniziative economiche, anziché agevolarle, perché gestite da una classe dirigenziale irresponsabile e in parte corrotta, che agisce in base alla cultura del favore e non a quella del servizio, infischiandosene altamente dell’interesse dei cittadini che pagano loro lo stipendio.
Ribadiamo ancora che fra i dirigenti vi è una grande parte di persone oneste, corrette e professionali, che non hanno però la forza di sbarazzarsi dei loro colleghi malfamati.
La prospettiva di realizzare nuovo lavoro (dipendente ed autonomo) nasce dalla capacità del sistema-Paese di fare squadra e di sfruttare le sinergie di tutte le potenzialità immense di cui dispone, prima fra esse la genialità italiana.

 
Per contro, tanta gente non vuol far niente, non si aggiorna, non legge (non importa se nell’enciclopedia elettronica o in quella cartacea), non cerca di capire i meccanismi indispensabili dello stare insieme in una Comunità con reciproco rispetto.
L’ignoranza di ritorno è enorme: responsabili scuola e Università, che hanno fatto abbassare la cultura generale, in meno di un trentennio. Dalla maturità escono tanti giovani brillanti ma almeno altrettanti che sono asini. Dalle Università, versante scientifico e umanistico, escono talenti ma anche somari. Questo accade perché l’organizzazione di Università e scuola e la classe docente, nel loro insieme, non hanno fatto per intero il proprio dovere.
Dovere: questa è la parola chiave per ribaltare la situazione di crisi. Ma questa parola non l’abbiamo sentita in nessuno delle decine di discorsi pronunziate in Italia il primo maggio. Diritti, diritti e ancora diritti. Ma non esiste diritto se prima non si è adempiuto al proprio dovere.

Come generare ricchezza e lavoro? Ci vogliono competenze, spirito d’iniziativa e risorse finanziarie. Bisogna aprire centinaia di migliaia di cantieri per opere pubbliche, bisogna attivare le iniziative per la realizzazione delle infrastrutture e della logistica necessarie per far funzionare l’economia. Occorre che le pubbliche amministrazioni dimagriscano e diventino efficienti.
È inutile battere su un solo tasto: occorre suonarne tanti. Diversamente, la musica risulta stonata e incomprensibile.
È quasi noioso ripetere gli stessi concetti come andiamo facendo da quasi 40 anni. Vogliamo augurarci che questa grossa coalizione e un uomo intelligente, pacato, equilibrato e colto (parla anche correntemente due lingue) come Enrico Letta riesca nell’intento di realizzare le più volte citate riforme, indispensabili a ribaltare l’attuale situazione.
Il lavoro va festeggiato, ma soprattutto va prodotto con i fatti e le azioni, non con le vuote parole, emesse per dare fiato alla bocca da tanti politicanti e sindacalisti che hanno a cuore sé stessi piuttosto che i cittadini.

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