La lotta all’evasione fiscale riparta dalla cultura tributaria - QdS

La lotta all’evasione fiscale riparta dalla cultura tributaria

Patrizia Penna

La lotta all’evasione fiscale riparta dalla cultura tributaria

venerdì 10 Maggio 2013

L’attività repressiva da sola non serve: puntare all’adesione spontanea del cittadino agli adempimenti. Intervista al Garante del Contribuente per la Sicilia, Salvatore Forastieri

PALERMO – La crisi economica internazionale fa sì che il tema relativo all’evasione fiscale resti sempre di grande attualità. A livello europeo è stato stimato un mancato gettito annuale pari a mille miliardi. Il 1° gennaio di quest’anno, è entrata in vigore la direttiva 2011/16/UE che stabilisce norme più chiare e precise sulla cooperazione amministrativa fra i Paesi dell’Unione europea, ai fini dello scambio di informazioni nel settore fiscale. All’esito delle nuove norme si prefigura uno stop al segreto bancario tra i Paesi membri nei casi di presunta evasione fiscale.

La direttiva avrà risvolti positivi? Riuscirà a portare a galla la cosiddetta economia sommersa?

Lo abbiamo chiesto a Salvatore Forastieri, Garante del contribuente per la Sicilia.
“È ormai ben nota a tutti l’importanza di affrontare e risolvere il grosso problema dell’evasione fiscale. L’imposizione dei tributi, infatti, serve a consentire il soddisfacimento dei bisogni della collettività di ogni Paese democratico e, per quelli dove la democrazia non c’è, per garantire il potere di chi lo esercita. Far sì che tutti paghino i tributi, quindi, è un’esigenza assolutamente trasversale, seppure con motivazioni diverse e gradazioni di valore diversi. In America, infatti, l’evasione è considerata un grave reato. In altri paese, invece, come in Italia, fino a poco tempo fa era considerata quasi come un sistema normale per difendersi dall’eccessivo costo della vita. Ma da qualche tempo, anche grazie ad una nuova cultura sociale e ad un nuovo approccio dell’Amministrazione Finanziaria, la cultura del rifiuto dell’evasione ha fatto breccia in una quantità sempre crescente dei cittadini. In ambito europeo, la lotta all’evasione è ancora più importante, in quanto il fenomeno interferisce negativamente nella libera concorrenza del mercato, punto fondamentale dell’economia dell’Unione Europea. Da qui la necessità della cooperazione amministrativa che finora, in Europa, in materia di IVA, ha trovato concreta attuazione attraverso apposite disposizioni comunitarie come il Regolamento CEE n.1798/2003 riguardante i Sistemi CLO (Scambi di informazioni su richiesta, spontanei e automatici) e VIES, (Vat Information Exchange System, Sistema elettronico di scambio dati sull’IVA), nonché attraverso altre forme di adempimenti e responsabilità che coinvolgono tutti gli operatori. Recentemente, il Consiglio Europeo ha emanato la direttiva 2011/16/UE, per disciplinare la cooperazione amministrativa tra gli Stati membri con uno scambio di informazioni, almeno annuale, nel settore fiscale concernente la tassazione dei redditi e dei capitali, per evitare, anche incidendo ulteriormente nel segreto bancario, indebite “riduzioni d’imposta”. Anche in questo settore, infatti, la lotta all’evasione dei tributi sui redditi e sui capitali è fondamentale al fine di rendere più omogenea nei 27 Paesi membri non solo l’applicazione dell’IVA, ma anche quella dell’imposizione diretta”.
Ci sono stati nel tempo dei progressi, secondo Lei, nel rapporto cittadino-Fisco?
“Oggi il rapporto fisco contribuente è sicuramente diverso da quello di venti anni fa. Dobbiamo riconoscere, infatti, che nel corso degli ultimi anni, non solo le condizioni economiche e sociali del nostro paese sono cambiate (in peggio), ma è cambiata (questa volta fortunatamente in meglio) anche la cultura tributaria. è sparito nella cultura di oggi il vecchio convincimento che l’ufficio doveva imporre i tributi, i contribuenti dovevano cercare di pagarne quanto meno possibile, le sanzioni servivano a ristorare l’Erario non solo dell’evasione di quel momento ma anche di quella passata e di quella futura, poi c’era la riscossione che magari faceva affluire all’Erario una quota estremamente bassa delle somme che l’Ufficio aveva faticosamente accertato. Oggi, fortunatamente, nonostante tutto (mi riferisco ai tanti problemi che la quotidianità comporta) le cose sono cambiate. Forse è dall’inizio degli anni ‘90 (con la 241 del 1990) che il cambiamento ha avuto inizio. Fondamentale, comunque, è stato lo Statuto dei Diritti del Contribuente, la legge 212 del 2000, che ha messo bene in evidenza che il punto essenziale dell’imposizione fiscale non è tanto l’aspetto sanzionatorio e, quindi, la deterrenza delle conseguenze dell’evasione, quanto, invece, l’instaurazione di un rapporto di fiducia tra fisco e contribuente, in grado di convincere quest’ultimo sulla necessità sociale del pagamento dei tributi e, quindi, sull’utilità dell’adesione spontanea (la compliance), rendendo così meno necessario l’intervento autoritario dello Stato”.

Secondo Lei, al Nord c’è un rapporto diverso cittadino-Fisco rispetto a quello che c’è al Sud?Da noi il rapporto con le tasse si vive in modo diverso? Forse con più ostilità?
“Non credo che il rapporto fisco contribuente che c’è in Sicilia e, più in generale, nel Sud Italia sia tanto diverso da quello del Nord. L’intenzione di pagare meno tasse non mi pare conosca confini di qualunque genere ed i tentativi di difendersi dal fisco non sono tanto diversi da regione a regione. Spesso, peraltro, la reazione del cittadino nasce da considerazioni circa la corretta gestione della spesa dello Stato e da interpretazioni eccessivamente fiscali dell’Amministrazione Finanziaria. C’è da dire, comunque, che la condizione economica che, a prescindere dall’attuale crisi economica globale, caratterizza i paesi del Sud, rende i nostri contribuenti più reattivi. Molti di loro, infatti, si trovano a difendere non un conto in banca o, peggio ancora, un conto all’estero, ma una situazione economica che talvolta non è nemmeno sufficiente per il soddisfacimento dei bisogni primari delle loro famiglie. Lo dimostra il numero considerevole dei ricorsi in Commissione Tributaria, così come le istanze di “aiuto” rivolte al Garante del Contribuente”.

L’evasione fiscale accertata in Sicilia (secondo i dati della Guardia di Finanza in riferimento all’attività svolta su tutto il territorio regionale nel 2012) ammonta ad 1,4 miliardi di euro. Ma si tratta della punta dell’iceberg.
Secondo Lei, a parte intensificare i controlli, cosa si può fare per andare più a fondo?
“Non c’è dubbio che l’evasione accertata è notevolmente inferiore a quella effettiva, e non solo in Sicilia, ma anche nel resto del Paese. In Italia l’evasione stimata ammonta a circa 120 miliardi di Euro. Quella accertata nel 2012 ammonta a circa 12 miliardi, ossia appena un decimo dell’importo che, seppure attraverso una previsione, è risultato effettivamente sottratto al fisco.
Mi pare un dato molto significativo. Sui rimedi, è da anni che i nostri governanti si sfidano a suon di adempimenti, sanzioni e sistemi presuntivi di accertamento, come l’ultimo redditometro, senza tenere in debito conto, invece, la necessità di creare un rapporto diverso con i contribuenti, spingendoli verso la tax compliance. A mio avviso, infatti, è l’adesione spontanea verso gli adempimenti fiscali la vera soluzione del problema. L’attività repressiva è sicuramente indispensabile, ma prima ancora occorre mettere in grado il cittadino di potere adempiere ai propri obblighi fiscali in maniera semplice e chiara, evitando con ogni mezzo gli adempimenti inutili che, molto spesso, con il sano intento di colpire l’evasore, alla fine hanno l’effetto di colpire (con il costo che essi comportano e con le sanzioni alle quali si va incontro in caso di omissione o di altre irregolarità, spesso anche di natura meramente formale) i cittadini corretti”.

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