“Orange Fiber è un progetto che mira a sviluppare tessuti partendo da scarti o da sottoprodotti dell’industria agrumicola. Li realizziamo attraverso l’estrazione della cellulosa, atta alla filatura, da tali scarti. Va aggiunto che tramite le nanotecnologie riusciamo ad arricchire questo tessuto con delle microcapsule che contengono oli essenziali di agrumi. Quest’ultimi permettono così di avere un capo che è bello, ma al tempo stesso funzionale al benessere del consumatore”.
“Assolutamente no. Il tessuto rilascia delle sostanze naturali non invasive: al massimo senti la pelle più morbida, come se mettessi la crema la mattina. Il rilascio è graduale, praticamente microscopico, ma nutre la pelle”.
“Ancora no, in quanto ci stiamo concentrando a mettere a punto il tessuto. Per realizzare il prodotto finito dobbiamo anzitutto completare il prototipo. Non essendo una startup digitale, abbiamo dei costi più importanti da sostenere. Per portare a termine la ricerca e lo sviluppo, ci serve un investimento di circa 100.000 euro. Stiamo cercando un partner industriale”.
“Sì. È stato molto formativo partecipare a ‘Change makers’: abbiamo fatto due mesi di incubazione a Milano, durante i quali siamo entrati in contatto con tantissimi esperti di startup che ci hanno fatto da mentori. Attraverso il loro aiuto abbiamo sviluppato il nostro modello di business”.
“Ci ha dato una grossa mano il Politecnico di Milano. Lì ho esposto la mia idea per la prima volta e mi hanno aiutato a valutarne la fattibilità. Per quanto riguarda le nanotecnologie, abbiamo stretto degli accordi con delle aziende tessili che hanno sviluppato per noi la tecnologia. Adesso, stiamo brevettando l’innovazione”.
“In un modo abbastanza naturale. Studiando la moda, mi sono resa conto che c’è una tendenza verso la sostenibilità richiesta da quasi tutte le aziende. Anche nella moda c’è l’esigenza di essere sostenibili. C’è poi un problema di scarti industriali che vengono buttati in Sicilia: capendo che c’è una grande biomassa rinnovabile a disposizione, ho cercato di capire come sfruttarla”.
“Quando sono partita per Milano nella mia Catania non c’era alcuno sbocco: è stata una scelta obbligata per studiare ciò che mi interessa. Con Working capital vedo una grande speranza. Parteciperemo sicuramente al concorso 2013, con la speranza di ottenere il grant (un investimento a fondo perduto di 25 mila euro, nda)”.