Ezio e Vittorio hanno ragione - QdS

Ezio e Vittorio hanno ragione

Carlo Alberto Tregua

Ezio e Vittorio hanno ragione

martedì 01 Settembre 2009

Basta ipocrisie, scrivere i fatti

La parola escort non esiste nel dizionario italiano, neanche in quello più aggiornato. Proviamo a guardare in quello inglese: escort significa accompagnatrice, ma anche scorta. Una escort che si accompagna ad un uomo nel suo letto si definisce in italiano in altro modo. Si tratta di una palese ipocrisia del giornalismo italiano che non scrive con chiarezza i fatti. Tuttavia, essi ci sono e ha fatto bene Ezio Mauro, direttore di Repubblica a pubblicarli. Si può opinare sull’opportunità di insistere per mesi e mesi in una campagna stampa, ma la libertà di informazione, protetta all’articolo 21 della Costituzione, è sacra e inviolabile.
Ognuno si difenda come vuole e se Berlusconi ha ritenuto di querelare Repubblica e minaccia di querelare i giornali stranieri, ne ha altrettanta libertà. Nessuno scandalo in tutta questa vicenda, anche perché alla fine della filiera chi giudicherà se ha ragione Mauro e il suo patron Carlo De Benedetti, oppure Berlusconi, sarà il Tribunale in prima istanza e la Cassazione in ultima.
Dunque, piena libertà di iniziativa, piena libertà di informazione e remissione al giudice su chi abbia torto o ragione.
 
Pari libertà ha utilizzato Dino Boffo, direttore dell’Avvenire, il giornale dei vescovi, nell’opinare sulla moralità di Berlusconi. Sbaglia, però, quando interferisce nella politica dello Stato italiano di cui presumibilmente non fa parte, essendo un cittadino dello Stato politico del Vaticano.
La Chiesa cattolica ha tutto il diritto di diffondere nel mondo, ed anche in Italia, i suoi principi religiosi, ma non quello di occuparsi della politica degli Stati, compreso quello italiano.
Qui bisogna rispettare i principi etici che sono ben anteriori a quelli della religione cattolica, cui deve ispirarsi la politica italiana, senza ipocrisia e falso moralismo.
La politica è un’attività seria e deve avere la capacità di trovare soluzioni di alto profilo per i problemi dei cittadini e per conflitti fra di loro, in modo che prevalga sempre l’interesse generale su quello particolare.
 
Altrettanta libertà aveva Vittorio Feltri, appena ritornato alla direzione del Giornale. La libertà di scrivere fatti come quello riguardante la sentenza di patteggiamento presso il Tribunale di Terni. Che poi vengano fuori questioni collaterali su un’informativa che c’è o non c’è, non inficia la questione principale prima indicata. Non importa se il fatto relativo al patteggiamento sia emerso per suo conto o se Feltri sia andato a cercarlo. Importante è che c’era e, come tutte le notizie, di qualunque genere  e tipo, noi giornalisti abbiamo il dovere di pubblicarle.
Desidero esprimere solidarietà a ciascuno dei tre direttori, ma non voglio difendere la nostra categoria, tuttavia è indispensabile ribadire per l’ennesima volta, che il direttore di un quotidiano (o di un periodico) ha il diritto di operare liberamente e, allo stesso modo, il suo editore ha il diritto di licenziarlo liberamente.

Nella questione che trattiamo oggi risulta che l’ingegnere De Benedetti supporti pienamente l’azione di Mauro, che il cardinal Bagnasco, editore dell’Avvenire, supporti quella di Boffo, e Paolo Berlusconi non smentisca e quindi tacitamente confermi l’azione di Feltri.
Dissentiamo totalmente con chi auspica che i tre direttori facciano una sorta di gentlemen’s agreement per evitare la prosecuzione di queste azioni. Dissentiamo perché è importante che esse siano avvenute e continuino, al di là dei toni, perché in questo modo i cittadini vengono a conoscere fatti che diversamente i poteri forti tendono a nascondere.
Vorremmo che questo modo di fare giornalismo, cioè quello di scrivere tutti i fatti che conosciamo e soprattutto quelli che ci andiamo a cercare, fosse praticato anche da tutti gli altri quotidiani regionali, perché così verrebbero alla luce questioni che un cattivo ceto politico, burocratico e imprenditoriale tende a nascondere.
Purtroppo non è così, tanto che quando qualche direttore scrive la verità viene definito coraggioso. Ma non è coraggioso, ha solamente e semplicemente fatto il proprio dovere. Oppure non faccia il direttore.

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