Riscoprire il valore dell’agricoltura - QdS

Riscoprire il valore dell’agricoltura

Anna Maria Verna

Riscoprire il valore dell’agricoltura

venerdì 31 Maggio 2013

Forum con Giuseppe Politi, presidente nazionale Cia

Oggi l’agricoltura, in molti paesi a forte innovazione come gli Stati Uniti, sta diventando un settore trainante con incremento di posti di lavoro e PIL. Qui da noi?
“Oggi finalmente si sta riscoprendo il valore dell’agricoltura. Fino al 2006-2007 si diceva che potevamo fare a meno di finanziare attività libere perché tanto il cibo poteva essere importato. Poi, purtroppo, ci si è accorti che il cibo non era sufficiente e alcuni Paesi hanno bloccato le esportazioni. Ora si è riscoperta l’importanza dell’agricoltura e dell’agroalimentare. Quasi tutti i G20 che si sono tenuti dal 2009-2010 in poi hanno messo al centro il valore dell’agroalimentare e dell’agricoltura. La stessa Expo di Milano del 2015 ha come slogan “Nutrire il pianeta – Energia per la vita” che anche noi abbiamo ripreso per la nostra prossima conferenza. La riconsiderazione del valore strategico dell’agricoltura deve lottare anche contro un pregiudizio culturale che la vede un settore minore, retrogrado, di scarso interesse. Ora bisogna superare questa remora di carattere culturale e considerare l’agricoltura, un settore primario di nome e di fatto capace di produrre ricchezza tanto quanto gli altri settori, se non addirittura più. In questo momento di crisi il Paese deve valorizzare i suoi punti di forza come la cultura, il territorio, il made in Italy, il mare e le bellezze naturali; di certo non le fabbriche, le macchine e l’industria manifatturiera. L’agricoltura non va considerata come un settore di nicchia. Il made in Italy è la nostra ortofrutta, il nostro vino, ciò che viene prodotto e che va all’estero, non solo la produzione di nicchia”.
Su quali binari muoversi?
Abbiamo rappresentanze in Province, Regioni e a Bruxelles. Complessivamente sul libro soci abbiamo 820.000 persone; circa 300.000 sono aziende agricole. Sono piccole, medie ma anche grandi aziende. Ognuno deve fare la sua parte ma bisogna anche agire congiuntamente con le grandi organizzazioni come la nostra, lasciando cadere gli steccati di carattere ideologico. Gli interlocutori con cui ci si interfaccia sono sicuramente le istituzioni ma sono anche quelli che si incrociano nella filiera come commercianti e industriali. Al momento c’è una frammentazione che non è giustificabile. Bisogna andare a raggiungere quelle intese necessarie che riescano a portare l’agricoltura al centro delle decisioni da parte della pubblica amministrazione. Non penso solo a richieste di soldi ma anche proposte concrete su politiche, scelte e strategie”.
Avete una sorta di intesa fra le grandi organizzazioni che si occupano dell’agricoltura?
“Le principali sono Coldiretti, Cia e Confagricoltura.  Insieme puntiamo a rafforzare la posizione dell’agricoltura davanti alle Istituzioni, ma anche a promuovere progetti incentrati sull’aggregazione. Un esempio è la costituzione di Agrinsieme che è il coordinamento fra Cia, Confagricoltori e Alleanza delle cooperative agroalimentari. L’aggregazione oggi è fondamentale. Bisogna evitare la concorrenza interna, proporsi uniti, con un messaggio unico. Al momento non c’è molta chiarezza su questo. Ognuno può fare sostanzialmente quello che vuole ma, se vogliamo promuovere i nostri prodotti all’estero, dobbiamo anche avere in testa un progetto chiaro e un preciso quadro di riferimento normativo”.
Avete qualche progetto specifico che spinga il prodotto italiano all’estero?
“In Italia ancora manca un ente che si interessi della produzione dei prodotti agricoli e che metta insieme diverse organizzazioni ed associazioni che vogliono portare il loro prodotto all’estero. Stiamo lavorando, soprattutto all’interno dell’Ice, perché venga riconosciuto il valore all’agroalimentare. Miriamo a progetti specifici che coinvolgano l’intera rappresentanza delle federazioni nazionali di prodotto per proporci con forza anche sui mercati esteri. Oggi vengono fatti progetti pubblici finanziati dall’Unione europea però, quando si va sul mercato con questo tipo di progetti, non si può parlare più di prodotto italiano”.
 
Il settore agricolo potrebbe diventare un settore primario coinvolgendo i produttori locali nella produzione di energia verde?
“Molti agricoltori già producono questo tipo di energia per essere autosufficienti nella loro azienda ma anche per metterla sul mercato. Anche noi ci stiamo organizzando per sfruttare quest’opportunità. Finalmente è stato accettato il principio che non bisogna bruciare cibo ma solo le rimanenze dell’agricoltura. Non bisogna nemmeno sprecare terra, quindi no ai pannelli solari per terra, ma sui capannoni. All’inizio è partita una campagna per il fotovoltaico che ha tolto ettari ed ettari di terreno. Vedremo quando dovremo poi risanarli cosa succederà… Comunque l’energia verde rappresenta una grande opportunità nell’agricoltura. La legislazione precedente pensava solo a grandi progetti. Adesso si guarda più alle piccole aziende e c’è un interesse maggiore anche da parte degli agricoltori. Inoltre è stata considerata attività connessa all’agricoltura, quindi defiscalizzata. In tal senso l’energia è sicuramente un’attività assai conveniente per l’agricoltore”.
Per quanto riguarda la rotazione degli alberi come fanno negli Stati Uniti?
Abbiamo il problema ma non abbiamo un territorio in grado di garantire questo. Tuttavia dove si può fare bisogna farlo. Ci sono stati negli anni passati diversi progetti di forestazione, più che di ciclo di rotazione, ma è stato solo perché c’è stato un fortissimo incentivo da parte dell’Unione Europea; poi tutto è finito”.
 

 
Importante promuovere organizzazioni di produttori
 
Alla fine della filiera vi trovate davanti la Grande distribuzione organizzata. Avete un dialogo con la Gdo?
“Abbiamo promosso recentemente una collaborazione sull’olio d’oliva con un prodotto che si chiama Assieme. Già si trova in tutta la catena della Coop e vede un’intesa fra le nostre associazioni e la Gdo per produrre un olio al 100% italiano, garantito dai soci della Cia e dalle organizzazioni aderenti al Cno. E’ un prodotto che guarda anche all’etica con una più equa ripartizione del valore aggiunto tra i diversi soggetti della filiera”.
La Gdo compra all’estero o al Nord perché uno dei problemi del Meridione è la mancanza di puntualità e di omogeneità dei prodotti?
“Ormai pure il singolo agricoltore deve capire che da solo non va da nessuna parte. Per noi è strategico proporre le Organizzazioni dei Produttori. Servono a commercializzare il prodotto e a dettare norme comuni di produzione per raggiungere l’obiettivo di un prodotto omogeneo ma che conservi la sua tipicità. Per l’ortofrutta abbiamo un’aggregazione forte in Regioni come l’Emilia, ma debole in Sicilia e in Puglia, lì vige ancora un forte individualismo. Il nostro impegno, con Confagricoltura e le altre centrali operative, è proprio quello di promuovere concetti per convincere gli agricoltori e rendere conveniente stare all’interno di un’OP, creando anche un quadro legislativo favorevole basato su incentivi ma anche su disincentivi.
Lo Stato non può essere neutro rispetto a quello che avviene all’interno delle filiere anche perché, soprattutto nel Mezzogiorno, nei grandi mercati ortofrutticoli ci sono inquinamenti non da poco… Noi abbiamo segnalato alcuni anni fa alcune situazioni. Personalmente ho avuto denunce per aver detto che c’era la malavita a Fondi, a Padova e a Bologna. Cosa, in seguito, accertata come vera”.
 

 
Obiettivo: portare i giovani nell’agricoltura tradizionale

Come garantire la qualità dei prodotti italiani?
“Ognuno deve fare la sua parte. Gli agricoltori devono svolgere il loro ruolo che è quello di produrre qualità, in maniera sostenibile, nel rispetto del territorio e dell’ambiente, in sicurezza. Il prodotto deve essere tracciato e la sua storia deve essere portata a conoscenza del consumatore che poi sceglie, senza contraffazioni”.
E il concetto del chilometro zero per accorciare la filiera?
“Questa è una delle opportunità che devono essere colte. A me piacerebbe non vedere i miei agricoltori costretti a fare chilometri per vendere un chilo di cipolle. L’iniziativa ha, però, bisogno di essere ben organizzata. Comprensibilmente alcuni sindaci hanno posto un freno a tutela delle associazioni dei commercianti, cui non giova questa iniziativa. E’, tuttavia, un tipo di organizzazione che potrebbe risolvere alcuni degli attuali problemi.
Dobbiamo fare anche una riflessione fondamentale. L’agricoltura italiana ha un grosso problema che è quello del ricambio generazionale. Il primo obiettivo è portare i giovani dentro. Attualmente c’è un’attenzione anche da parte dei giovani verso tali settori. Però, giustamente, loro vanno verso i prodotti o le attività che ritengono più innovative e remunerative come la produzione dei vini, l’agriturismo, l’agricoltura biologica… Invece bisogna pensare a produrre anche gli alimenti essenziali. Non possiamo rischiare tra qualche anno di non avere più prodotti agricoli di base, di avere il vino ma non i seminativi o il latte. Su questo dobbiamo stare molto attenti. Il vino si riesce a portarlo all’estero e fa fare reddito, lo stesso l’agriturismo. Con gli ortaggi no, con il seminativo meno. Perciò rischiamo di vendere sempre più pasta, simbolo del made in Italy, e produrre sempre meno grano duro”.

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