Torna l’antico e ricco business degli aborti illegali - QdS

Torna l’antico e ricco business degli aborti illegali

Liliana Rosano

Torna l’antico e ricco business degli aborti illegali

mercoledì 03 Luglio 2013

Molte strutture non garantiscono i diritti sanciti dalla legge 194/78, donne costrette a emigrare. Medici obiettori di coscienza: in Sicilia sono l’80,6% secondo il ministero della Salute

PALERMO – Porte sbarrate, cancelli chiusi e quel cartello con su scritto “Qui non si effettuano Ivg”. Parliamo degli aborti e dei ginecologi obiettori che aumentano sempre di più. In Sicilia, secondo gli ultimi dati del Ministero della Salute e del Ministero di Grazia e Giustizia, in Sicilia,nel 2012 l’80,6 per cento dei medici, si dichiara obiettore di coscienza.
Una percentuale in crescita che ha come conseguenza quella del ritorno alle pratiche di aborto clandestine, pratiche poco sicure che mettono a rischio la salute delle donne.
Ventimila gli aborti illegali calcolati dal ministero della Sanità con stime mai più aggiornate dal 2008, quarantamila, forse cinquantamila quelli reali. Settantacinquemila gli aborti spontanei nel 2011 dichiarati dall’Istat, ma un terzo di questi frutto probabilmente di interventi “casalinghi” finiti male. Cliniche fuorilegge, contrabbando di farmaci: sul corpo delle donne è tornato a fiorire l’antico e ricco business che la legge 194 aveva quasi estirpato. E dal governo qualcosa si muove. A parlare è la senatrice del PD Laura Puppato che ha presentato a Palazzo Madama una mozione.
“Un impegno straordinario del governo per garantire il rispetto e la piena applicazione della legge 194/78, alla luce dei dati dell’ultimo Relazione del ministero della Salute che illustrano una situazione in cui “non viene garantito, nei fatti, in modo omogeneo su tutto il territorio nazionale il diritto alla salute delle donne, nel riconoscimento della loro libera scelta. La mozione chiede all’Esecutivo un impegno tempestivo per far funzionare i consultori, investire sulla prevenzione e soprattutto “contemperare il diritto all’obiezione di coscienza dei medici con quello delle donne all’accesso all’interruzione volontaria di gravidanza”.
“L’ultima Relazione sullo stato di attuazione della legge 194 – spiega Puppato nella mozione – coi dati definitivi 2010 evidenzia che ben il 69,3% dei ginecologi del servizio pubblico ? obiettore di coscienza. In pratica quasi sette medici ginecologi su dieci è obiettore, in una tendenza che appare inoltre in continua crescita. Ad eccezione della Valle d’Aosta, dove i ginecologi obiettori sono solamente il 16,7%, le percentuali regionali non scendono mai al di sotto del 51,5%. Le Regioni dove l’obiezione è più alta sono le seguenti: Lazio 91%, Puglia 89%, Molise 85.7%, Campania 83.9%, Alto Adige 81.3% e Sicilia 80.6%. Eppure, l’obiezione di coscienza è infatti un diritto della persona ma non della struttura, che ha anzi l’obbligo di erogare le prestazioni sanitarie garantite dalla legge. Per questo chiedo al Senato di impegnare il governo a dare piena attuazione alla legge 194” conclude la parlamentare Pd.
Ma come si è arrivati a questo smantellamento progressivo di una legge dello Stato? È legale che interi nosocomi non abbiano più medici che applicano la 194, a trentacinque anni esatti dalla sua approvazione? Sicuramente non è legale e la situazione è omogenea in tutta Italia. Nel Lazio il 91% dei ginecologi è obiettore di coscienza, a Bari gli ultimi due medici che facevano gli aborti hanno deciso di abbandonare il reparto, a Napoli il servizio viene assicurato soltanto da un ospedale in tutta la città.Questo vuol dire che le liste d’attesa sono spaventose, e il rischio è superare il numero di settimane di gravidanza in cui è consentita l’interruzione. Ma la vera tragedia riguarda l’aborto terapeutico perché si tratta di un intervento a tutti gli effetti, per cui sono necessari medici interni all’ospedale, ginecologo, anestesista, infermieri, e non si può supplire con professionisti a contratto. Visti però i numeri dell’obiezione di coscienza è evidente che in tempi molto brevi nelle strutture pubbliche italiane questo tipo di aborti non si faranno più”.
E allora le donne emigrano. Svizzera, Inghilterra, Francia. Quattrocento euro per una Ivg entro il terzo mese, circa 3.000 per un aborto terapeutico (oltre la 22esima settimana) in clinica. Ma non tutte possono andare all’estero, e per quelle che restano la prospettiva è un calvario fatto di umiliazioni, e veri e propri maltrattamenti in ospedale.

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