Tasse: in vent’anni cresciute del 500% - QdS

Tasse: in vent’anni cresciute del 500%

Antonio Leo

Tasse: in vent’anni cresciute del 500%

sabato 27 Luglio 2013

Nel 1992 iniziava la strada del decentramento amministrativo, il risultato: le impostate locali sono cresciute da 18 a 108 miliardi di euro. Irap regionale, Imu e e Irpef: la Sicilia quarta regione d’Italia per variazione dei tributi

PALERMO – Federalismo, cioè tasse più tasse. È questo il risultato prodotto dal decentramento amministrativo iniziato nel 1992: doveva servire ad abbattere la tassazione a livello centrale in cambio di maggiori entrate “dirette” per gli Enti locali, ma in realtà non ha fatto altro che moltiplicare i balzelli. Secondo l’ultimo rapporto di Confcommercio, negli ultimi vent’anni le imposte statali sono aumentate del 95% (da 186 a 362 miliardi), mentre quelle riconducibili alle amministrazioni locali sono cresciute da 18 a 108 miliardi, con un eccezionale incremento di oltre il 500%.
 
Un effetto domino che oggi si ripercuote sulle tasche, ormai sempre più vuote, dei cittadini. Il motivo della proliferazione, secondo l’associazione degli esercenti, è uno: “non si trovano tracce di compensazione fra i livelli locali e centrali, prevalendo invece una tendenza alla duplicazione di spese ed entrate”.
Analizzando le uscite degli Enti locali e della macchina centrale dello Stato si comprende facilmente perché si può parlare, a ragione, di fallimento della riforma federale.
Per quanto riguarda le spese, tra il 1992, quando sono stati avviati i primi decreti sul decentramento amministrativo, e il 2012, le uscite primarie correnti delle amministrazioni locali sono salite da 90,5 a 205 miliardi, con una variazione cumulata del 126%. Nello stesso periodo la spesa delle amministrazioni centrali è passata da 225 a 343,5 miliardi, con un incremento del 53%. Nel complesso la spesa corrente delle Amministrazioni pubbliche, inclusiva anche delle spese sostenute dagli enti di previdenza, è passata da 413 miliardi a 753 con un aumento dell’82,5% nonostante l’apporto negativo fornito dalla spesa per interessi (-12% pari a circa 12 miliardi).
Ma “a fronte dell’aumento della spesa sostenuta a livello locale – spiega lo studio di Confcommercio – i trasferimenti provenienti dalle amministrazioni centrali sono aumentati in misura molto contenuta passando da 72 a 86 miliardi di euro, +20% in 20 anni”.
L’analisi prende in considerazione anche le vistose differenze nella tassazione locale. Irap, Imu, addizionali regionali e comunali sull’Irpef hanno un peso molto diverso a Catania piuttosto che ad Aosta. La Sicilia è tra le regioni che pagano il conto più salato: è al quarto posto (dopo Molise, Campania e Calabria) per incidenza dei sopracitati balzelli locali.
Tra Irap regionale e Imu, le imprese sicule sono tenute a pagare un’aliquota del 5,88%, che è quasi il doppio di quanto deve sborsare un’azienda di Bolzano (3,74%). E inserendo come parametro di paragone tra le regioni le addizionali regionali e comunali all’Irpef la musica non cambia. Quinto posto per l’Isola e un’addizionale che complessivamente arriva al 2,53% (addirittura in questo caso è oltre la metà di quanto viene applicato a Trento e Bolzano, su cui rispettivamente grava l’1,23 e l’1,10%). “Spese e imposizione fiscale su base regionale e locale – tuonano i commercianti – appaiono il frutto di scelte casuali e disorganiche, al massimo dettate dal tentativo di recuperare gettito al fine di migliorare i saldi di finanza pubblica”. Tanto a pagare sono i cittadini.
 

 
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PALERMO – Aprire un’azienda o una succursale al Sud non conviene e così spesso i grandi investitori preferiscono puntare su quelle regioni dove il fisco è meno pressante. Un’assurdità se si pensa che il Mezzogiorno avrebbe bisogno di recuperare un gap notevole con il resto del Paese. Sulle differenze nella tassazione locale, motivo che incide nella scelta della localizzazione delle imprese, è intervenuta recentemente la Corte dei Conti. Nel “Rapporto sul coordinamento della finanza pubblica” del maggio scorso ha evidenziato come “[…] si tratta di un divario che, a fronte di un medesimo livello di reddito, comporta a carico del singolo contribuente una forte differenza di prelievo complessivo (Irpef+addizionali), soprattutto in corrispondenza dei più bassi livelli di imponibile. È quanto emerge confrontando due realtà territoriali che si collocano agli antipodi quanto ad incidenza delle addizionali Irpef: Catanzaro con il 2,83% e Bolzano con l’1,10%. A parità di reddito, lo stesso contribuente è assoggettato a un maggior prelievo (Irpef+addizionali) che si commisura al 29,6%, 12,5% e 5% a fronte di un imponibile pari rispettivamente a 0,7, 1 e 3 volte il reddito medio da lavoro dipendente (circa 30 mila euro lordi)”. (aleo)

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