Il Parco dell'Etna invaso dalle discariche: patrimonio mondiale... della monnezza - QdS

Il Parco dell’Etna invaso dalle discariche: patrimonio mondiale… della monnezza

Antonio Leo

Il Parco dell’Etna invaso dalle discariche: patrimonio mondiale… della monnezza

mercoledì 21 Agosto 2013

Aree naturali protette ma solo sulla carta. La presidente dell’Ente, Mazzaglia non risponde alle domande del Qds per nascondere la sua inazione

CATANIA – Sarà anche diventato patrimonio mondiale dell’Unesco, ma di certo non sembrano considerarlo tale i siciliani. Basta fare un giro sull’Etna e nel suo grande Parco per constatare quanta inciviltà e degrado si annidino lungo le sue strade e i suoi sentieri, tra le ombrose fronde di alberi centenari e in mezzo alle cavità scolpite dalla pietra lavica. “In queste condizioni, sarebbe stato meglio non diventare mai patrimonio dell’Umanità – dichiara al QdS il presidente di Legambiente Catania, Renato De Pietro – per non rischiare l’umiliazione di vederci tolto questo titolo. I riconoscimenti non sono a vita e questo in particolare è sottoposto a periodica verifica”.
 
L’associazione ambientalista etnea, nel suo ultimo censimento, ha stimato la presenza di oltre 200 discariche a cielo aperto, noi in mezza giornata ne abbiamo contate almeno 50: si tratta di quelle più visibili, orrori che potrebbero restare indelebili nella mente dei turisti venuti da ogni parte del globo per ammirare il nostro tesoro fresco di “laurea honoris causa”. I soggetti preposti alla tutela della Montagna, passata la sbornia dei festeggiamenti, sembrano incuranti del problema. “Dal Parco ai Comuni, passando per gli Ato – continua De Pietro – c’è una sottovalutazione del fenomeno, nonostante le molteplici conseguenze negative. Anzitutto da un punto di vista ambientale e sanitario: molte di queste microdiscariche diventano spesso un ricettacolo di sostanze altamente tossiche, come manufatti di amianto. Al tempo stesso vi è un problema di tipo economico, in quanto andare a rimuovere questi rifiuti ha dei costi notevoli per la collettività”.
Siamo saliti dalla parte Nord del Vulcano per poi spostarci verso Sud: un viaggio scandito dall’alternanza tra il sublime e il grottesco, in cui lo stupore per la bellezza dei luoghi attorno al Vulcano lascia spazio all’incredulità per quanto poco vengano rispettati da chi li frequenta. Prima ancora di entrare a Zafferana etnea, un cartello prova a rassicurarci: “Benvenuti nel Parco dell’Etna. Qui la natura è protetta”. Appena qualche chilometro e diversi cumuli di sacchetti di immondizia sono le prime avvisaglie di una situazione ben diversa. Superato Milo, in direzione Sant’Alfio, ecco due microdiscariche, 50 metri l’una dall’altra a occhio e croce. A pochi passi dal ciglio della strada principale fa “bella” mostra un bazar di cavi elettrici, bottiglie di plastica e generi alimentari lasciati lì a marcire da chissà quanti giorni. Non basta, proprio lì accanto, l’asfalto è delimitato da un muretto che sporge su un dirupo: la curiosità ci spinge ad affacciarci e scopriamo un’alternanza di ciottoli neri e rifiuti, per lo più lattine, cocci di vetro e cartacce come se piovesse.
Proseguendo verso Linguaglossa, continuiamo a registrare altri mucchi di scarti qua e là, fino a quando, arrivati all’incrocio vicino al Santuario di Santa Maria della Vena, ecco qualcosa che ha dell’assurdo: due sanitari, semi distrutti, sulla destra della carreggiata principale. Forse qualcuno con un spiccato, quanto inopportuno, senso dell’umorismo voleva rendere alla comunità un bagno pubblico all’aperto. Ma tant’è.
Giro largo, scendiamo verso Santa Venerina, attraverso un paradiso di campi adibiti alla viticoltura. Proseguiamo, dunque, verso Randazzo e per un bel tratto ci dimentichiamo delle oscenità viste poc’anzi. Risaliamo. La segnaletica stradale ci indica che continuando lungo la via si arriva fino al rifugio Citelli, uno dei più noti della Montagna. Ricomincia l’incubo tra materassi sventrati, vecchie televisioni abbandonate sul limitare della via maestra, pneumatici bucati.
Intanto sullo sfondo il paesaggio è cambiato: non più fresche frasche, alberi di castagno e pini, ma una distesa lunare che lascerebbe perfino un’astronauta a bocca spalancata. È questa la via che ci porta verso la zona Sud. Una curva dopo l’altra, lungo guardrail malconci o addirittura devastati in alcuni punti, saliamo verso il Rifugio Sapienza. A un tratto, sulla destra, proprio accanto a una pietra con l’incisione (sfregiata dai writers) “Parco dell’Etna”, ecco un’altra discarica selvaggia: copertoni, piatti di plastica, sacchetti, mucchi di fazzoletti. E sempre qui è possibile “ammirare” il degrado in cui versa un piccolo box stradale, con i vetri e le porte scassate, che porta il marchio della “Provincia regionale di Catania”.
Poco più sopra si erge una struttura abbandonata, il campo di Tiro a volo “V. Lombardo Alonzo”. Quello che probabilmente doveva essere uno spogliatoio o forse un ripostiglio è diventato un ricettacolo di immondizia di ogni genere. Qui, parecchia gente si ferma per ammirare, pur tra il fiume di sporcizia e la pericolosa assenza di recinzioni, un panorama mozzafiato. Il patrimonio mondiale davanti, la miseria dell’uomo dietro.
“Umano poco umano” è anche quello che vediamo continuando il nostro tour tra Pedara e Trecastagni. Frigoriferi, lavatrici, elettrodomestici e tutto l’occorrente per arredare casa lo si può trovare nei dintorni della più grande pattumiera di cui l’Umanità abbia mai abusato. In alcuni casi, come fosse una colata lavica, la spazzatura invade perfino una corsia stradale. Ma, a differenza delle eruzioni, non c’è nulla di spettacolare. Sic transit gloria mundi.

Rifiuti: diffidare i privati e installare le telecamere

CATANIA – Chissà cosa penserebbe quell’ambasciatrice francese, che in Cambogia, commentando il verdetto definitivo per l’iscrizione dell’Etna nella “World Heritage List”, ha esclamato “Un tripudio!”. Chissà cosa direbbe se vedesse lo stato in cui versano alcune zone del Vulcano. Il pericolo che il titolo ci venga tolto con la stessa velocità con cui è stato attribuito, esiste. “Eliminare le discariche dovrebbe essere la cosa basilare – spiega Renato De Pietro – ma anche ridare decoro a tutte le vie d’accesso al vulcano, avviare un’attività di riqualificazione dei centri storici”. Legambiente ha lanciato una serie di proposte agli Enti competenti – dal Parco ai Comuni – tutte rimaste inascoltate. “Anzitutto bisognerebbe avviare un’azione di coordinamento tra le forze dell’ordine, in primo luogo i vigili urbani, per presidiare costantemente il territorio. In secondo luogo – continua il presidente dell’associazione ambientalista etnea – abbiamo indicato la necessità di diffidare i proprietari privati quando le discariche ricadono nei loro terreni. La legge dice che, se la discarica è nel terreno di un privato, deve essere il Comune a inviare una diffida affinché costui la rimuova e ponga in essere delle recinzioni. Per quanto ne so, non è stato fatto nulla fino ad oggi”. Altro suggerimento è quello di mettere delle videocamere: “Quando noi facciamo queste proposte, ci viene subito detto che costano molto. Ma noi non diciamo di comprarne mille: ne basterebbero 10 per ogni Comune. Ciò avrebbe un immediato effetto deterrente e oltretutto con i soldi delle prime sanzioni sarebbe possibile ripagare il costo delle telecamere. È un problema di volontà politica: molto spesso nei Comuni e nell’Ente parco si sta nel proprio posto di lavoro comodamente, tanto lo stipendio alla fine del mese viene incassato lo stesso”.

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