Ddl Ineleggibilità, suscettibile di errori di applicazione. Norme contestate: estremamente generiche e astratte - QdS

Ddl Ineleggibilità, suscettibile di errori di applicazione. Norme contestate: estremamente generiche e astratte

Roberto Quartarone

Ddl Ineleggibilità, suscettibile di errori di applicazione. Norme contestate: estremamente generiche e astratte

mercoledì 21 Agosto 2013

Il commissario Aronica ha fermato il provvedimento dell’Ars a causa di tre commi dell’art. 1, che restringono l’elettorato passivo in modo non chiaro. L’importanza dei termini: vaghi “funzionario, dipendente, socio, ente privato”, sulla mala gestio ci sono le leggi nazionali

PALERMO – Strombazzato da Crocetta, poi svuotato dall’Ars e spento dal commissario dello Stato: l’ex ddl Antiparentopoli, poi ribattezzato dalla stampa ddl Ineleggibilità, esce con le ossa rotte dall’analisi del commissario dello Stato, Carmelo Aronica, che ha stralciato alcune norme del provvedimento approvato dall’Aula lo scorso 12 agosto. Il ddl 51-38 bis viola infatti gli articoli 3, 51 e 97 della Costituzione. Il testo è stato giudicato vago in alcuni aspetti e anche ridondante rispetto alla legislazione vigente.

I “confini generici ed elastici”

“L’iniziativa legislativa – scrive Aronica – seppure apprezzabile nell’intento, non è, ad avviso del ricorrente, esente da censure di ordine costituzionale”. Nelle motivazioni, il commissario dello Stato ha spiegato che l’ineleggibilità a una carica pubblica, nuovo cuore del disegno di legge, è solo “l’eccezione”. Alcune sentenze della Corte costituzionale (tra cui la 571/1989) hanno considerato un diritto inviolabile la possibilità di essere eletti: affinché una persona non sia eleggibile la ragione dev’essere di un importanza di “rilievo costituzionale”.
Il problema rilevato è la creazione di una situazione di incertezza che potrebbe portare a “frequenti contestazioni e soluzioni giurisprudenziali contraddittorie”, ciò che la legge dovrebbe proprio evitare (l’ultima sentenza della C.C. al riguardo è del 364/1996). La Corte, scrive Aronica, “non può giustificare ragionevolmente la ineleggibilità una causa dai confini generici ed elastici tale da far ricomprendere in sede interpretativa le situazioni più diverse”. L’astrazione eccessiva è la pecca principale.

Le parti contestate

Le parti del ddl contestate sono la lettera c del comma 1 dell’art. 1, il punto 1bis del comma 2 e il comma 3. Sono solo le tre le categorie di persone prese in considerazione dal commissario e che hanno svuotato di ogni significato la legge approvata: funzionari, socio e dipendente. Il comma 3, in particolare, parlava della formazione professionale, ovvero la spinta iniziale del ddl Antiparentopoli, presentato dal governo Crocetta per limitare lo scandalo dei mesi scorsi.

Chi sono i “funzionari”?

Il problema rilevato da Aronica è che le norme si sovrappongono a quelle della Lr. 29/1951, la prima sulle incompatibilità, soprattutto per ciò che riguarda gli Enti regionali; inoltre anche la L. 154/1981 contiene le norme su ineleggibilità e incompatibilità. Si tratta quindi di un doppione. La novità stava nella specificità del settore considerato e nel maggior numero di destinatari, ma sta qui il problema. “L’estrema genericità della dizione ‘funzionari’ – spiega Aronica – non risponde al principio di tassatività prescritto per le cause di ineleggibilità. Essa infatti è estremamente generica, non circoscritta e polivalente e potrebbe dar luogo verosimilmente a perplessità circa il suo significato, con conseguenti errori di applicazione”.
La mancanza di una specifica spiegazione su chi siano questi funzionari e quale sia il reale motivo per cui non possono essere eleggibili (qual è il conflitto d’interessi per un funzionario qualsiasi? Come potrebbe orientare l’attività dell’Ente in modo da trarne un profitto?) rende quindi vano l’intervento del legislatore.

Quali sono gli Enti privati?

L’altro appunto che muove il commissario riguarda l’identità degli Enti di diritto privato di cui si parla nel comma 2. Si tratta di Enti che ricevono finanziamenti? Con che periodicità? O la Regione nomina solo i cda? Senza sapere quale sia il caso specifico, manca una chiarezza nella motivazione della restrizione dell’elettorato passivo.
L’aver introdotto anche i soci tra i soggetti non eleggibili si discosta inoltre dalle normative del resto del territorio nazionale. Se si volesse introdurre una norma del genere a livello regionale bisognerebbe ignorare la legislazione del resto del territorio nazionale. C’è un “limite del rispetto del principio di uguaglianza specificamente sancito in materia dall’art. 51 Cost.” che non può essere nemmeno bypassato dall’autonomia che garantisce lo Statuto regionale.
“Il legislatore siciliano – scrive Aronica – dovrebbe dimostrare che le introdotte difformità di trattamento rispetto alla legislazione nazionale, corrispondano a peculiari condizioni locali non esistenti nel rimanente territorio nazionale e che giustifichino una disciplina difforme da quella vigente nel resto del Paese in materia di diritti fondamentali del cittadino”.

Le leggi anticorruzione per il caso specifico della formazione

Quali sono le condizioni peculiari? Secondo Aronica, la mala gestione della cosa pubblica non è un’esclusiva della Sicilia e anzi indica le recenti norme varate dal Parlamento (L. 190/2012, Dlgs. 235/2012 e Dlgs. 39/2013) su corruzione, incandidabilità e decadenza.  Le leggi ci sono, quindi, e vanno solo applicate.
“L’estensione delle cause di ineleggibilità – conclude Aronica – a soggetti privi di poteri significativi all’interno dell’ente e/o società e di influenza all’esterno non rispetterebbe, ad avviso del ricorrente, il principio di razionalità”.

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