Quando la religione inquina la società - QdS

Quando la religione inquina la società

Carlo Alberto Tregua

Quando la religione inquina la società

giovedì 29 Agosto 2013

Egitto, Iran, Al Qaeda, Chiese

La separazione tra religione e Comunità nella gestione della Cosa pubblica è fondamentale, perché i principi religiosi fanno riferimento alla propria divinità, una o trina, che governa il campo dello spirito, non quello delle cose materiali.
Lo spirito non ha tempo e non ha spazio, non misura niente, almeno secondo le nostre conoscenze. Gli esseri viventi, invece, si danno convenzionalmente dei punti di riferimento per misurare qualunque fatto, adattandoli a quei meccanismi prodigiosi della natura che sono i movimenti, la nascita, la crescita e la morte di ogni cosa.
Va da sè che gli eterni principi morali cominciati a codificare da Salomone il giusto (1011-931 a.C.) devono informare le azioni materiali delle persone. L’equità, la solidarietà, il merito, la responsabilità, il rispetto verso il prossimo, la riservatezza e altri sono alla base del comportamento che ciascuno di noi dovrebbe tenere. Tali principi non sono esclusiva delle religioni, ma tutte le persone umane, per bene,  dovrebbero osservarli.
 
Al Qaeda, tentando di distruggere luoghi e di uccidere persone delle società avanzate, motiva le sue azioni con la religione. In Iran il capo supremo di quella nazione, di 77 milioni di abitanti, è niente di meno che un religioso, l’Ayatollah Khamenei. Il presidente di quella repubblica, Hassan Rouhani, eletto – si dice – a suffragio universale, deve dar conto al capo supremo per cui non può proporre e far approvare dal Parlamento quelle riforme che renderebbero più giusta, più equilibrata e più libera la società iraniana. Nella quale imperversano  corporazioni, aristocratici non necessariamente di sangue, caste religiose e tanti altri contrari al popolo, perché seguono l’interesse proprio anziché  quello generale.
Laddove gli islamici cercano di conquistare il potere e di imporre a tutta la popolazione i precetti della loro religione, c’è il caos. In Turchia, un Paese islamico moderato, il primo ministro, Recep Tayyip Erdoğan, riesce a temperare le esigenze del popolo con quelle religiose, tanto che lo sviluppo di quel Paese è notevole proprio perché l’influenza religiosa è molto limitata.
Si può quindi avere un equilibrio fra società civile e società religiosa, ma difficile da raggiungere.
 
In Tunisia, dopo la cacciata di Zine El-Abidine Ben Ali (nel 2011) le istituzioni non sono ancora riuscite a stabilizzarsi, perché c’è una prevalenza dell’Islamismo sulle istituzioni. Nel prossimo ottobre dovrebbe essere approvata una nuova Costituzione, democratica, cui succederanno nuove elezioni. Vedremo se quel Paese potrà finalmente ricominciare a crescere in maniera adeguata, nel bacino del Mediterraneo.
Nonostante l’instabilità politica, centinaia di imprese si sono insediate in Tunisia, e stanno muovendo la macchina economica con una certa solerzia. Dispiace che la Sicilia partecipi poco a questo insediamento, solo con qualche decina di imprese.
Un altro Paese del Mediterraneo è l’Egitto. Gli osservatori internazionali si dividono fra chi sostiene la legittimità dell’elezione dell’ex presidente Mohamed Morsi e altri che sostengono come egli, appena assunto il potere, abbia stravolto il meccanismo democratico introducendo principi religiosi che creano disparità e iniquità nella società.
 
Cosicché, Morsi è stato destituito ed arrestato. Il movimento islamico dei Fratelli musulmani – il cui capo supremo, Mohamed Badie, è stato arrestato – è stretto alle corde, perché intendeva applicare anche a tutta la popolazione laica i precetti del Corano, scritto da Maometto nel 650 e, secondo lui, dettato direttamente da Allah.
Ma non è possibile utilizzare regole religiose per tutti, perché atei,  agnostici o cittadini di altre religioni non debbono essere costretti, in qualunque democrazia, a subire i precetti di una religione dominante che ha poi riflessi concreti nella vita di tutti i giorni.
In una Comunità – sia chiaro – l’adesione a questa o a quella Chiesa, a questa o a quella religione, non deve avere alcuna refluenza nelle regole che governano la stessa Comunità. Nessuno deve avere la prepotenza o la tracotanza di parlare a nome di un Dio, comunque denominato, perché non risulta che il Padre abbia delegato qualcuno a rappresentarlo nella vita materiale di tutti gli uomini.
Le religioni curino lo spirito, che a curare il corpo ci pensano gli uomini.
 

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