Le prime cinque bugie di Crocetta - QdS

Le prime cinque bugie di Crocetta

Antonio Leo

Le prime cinque bugie di Crocetta

sabato 31 Agosto 2013

 La rassegna dei più significativi titoli dei giornali con promesse e smentite. Dal Muos all’Irpef, dalle Province al salvataggio dell’Isola dal default, inclusa la riduzione dello stipendio

PALERMO – Uno spot lungo nove mesi. È questo fino a oggi il bilancio della rivoluzione di Rosario Crocetta, il presidente istrione della Regione siciliana che una ne fa e cento ne annuncia. Si deve piacere proprio tanto il governatore, attorniato com’è dalle luci della ribalta nazionale (e internazionale, viste le attenzioni che ormai spesso gli riserva il Washington post), sirene irresistibili che gli fanno accarezzare persino il sogno di correre alla Segreteria del Partito democratico. Oggi, domani, chissà: Palazzo Chigi. Ma a telecamere spente, andando a ragionare sul contenuto delle sue concioni, i colori lasciano spazio alle ombre. Con Crocetta, è un continuo rincorrersi di dichiarazioni e smentite, giravolte testimoniate dai virgolettati dei giornali di questi mesi.Oggi passeremo in rassegna le prime cinque “menzogne”. Altrettante saranno oggetto di una nuova inchiesta nelle prossime settimane. 
 
Muos: una valanga di chiacchiere.
A Niscemi devono aver perso il conto delle “fesserie” dette in questi mesi. Era l’11 gennaio quando Saro da Gela diventava paladino dei vari movimenti civici, antiamericani e no global, revocando l’autorizzazione per la costruzione del Muos (il mega radar satellitare destinato ad accelerare gli scambi di informazioni dell’esercito Usa). In quell’occasione, il governatore condì l’esigenza di tutelare la salute dei cittadini con un’insospettabile patriottismo siculo. Diverse le ragioni che addusse a sostegno della sua decisione. Intanto le autorizzazioni concesse dal suo predecessore, Raffaele Lombardo, sarebbero state, a suo dire, “tutte viziate da errori e carenze che ne determinano la nullità”. Ancora, sosteneva che mancasse “uno studio condotto al livello sanitario sui possibili rischi di chi viene a contatto con le onde elettromagnetiche” e un altro “sull’impatto che queste emissioni avrebbero sulla navigazione aerea di Comiso”. “Non vorremmo cadesse un aereo”, aggiungeva preoccupato il presidente. Di fronte alle pressioni del Governo, Crocetta era addirittura sprezzante: “Io sono un presidente autonomista, non chiedo autorizzazioni a Monti”. Standing ovation dei No Muos: “Saro uno di noi”. Ben presto avrebbero capito che si sbagliavano di grosso. Il 9 luglio, nel frattempo, il Tar dava ragione al Governo regionale, legittimando la validità della revoca. “Una grande vittoria”, si affrettava a dichiarare Crocetta agli organi di stampa. Un entusiasmo durato meno di 24 ore, visto che la mattina seguente l’ambasciatore americano, di fronte alla sua intemerata, abbandonava la cerimonia tenutasi a Gela per l’anniversario dello sbarco degli Alleati. Da quel giorno qualcosa è cambiato. Il 24 luglio, senza nemmeno aspettare la decisione della Corte di giustizia amministrativa (a cui aveva fatto ricorso il ministero della Difesa contro la decisione del Tar), Crocetta revoca “la sua revoca” in virtù di uno studio dell’Istituto superiore della sanità che ha negato la pericolosità del radar per la salute umana. “Il provvedimento – spiegava Crocetta – è venuto meno quando quello studio dell’Iss dice che le antenne sono una specie di Eden”. E i vizi nelle autorizzazioni? E gli aerei a rischio di precipitare? Quisquilie, tutto a un tratto. Il dossier, per la cronaca, è stato duramente criticato da Massimo Coraddu e Massimo Zucchetti, due tecnici incaricati dal Comune di Niscemi di preparare un’altra perizia sull’impatto del Muos. 
 
Nella frenesia di quei giorni, sotto le accuse dei manifestanti inferociti, Crocetta rivela anche l’esistenza di una penale da 18 miliardi di dollari, da saldare qualora l’antenna non fosse realizzata. Una cifra 36 volte superiore a quella prevista per la mancata costruzione del Ponte sullo Stretto (circa 500 milioni di euro). “Crocetta si è spinto oltre – ha affermato il Coordinamento regionale dei No Muos – dichiarando il falso. Non esiste alcuna penale”. E lo stesso incaricato d’affari ad interim dell’Ambasciata Usa, Douglas Hengel, in un’intervista rilasciata a “La Sicilia”, ai primi di agosto, non ha risposto nel merito della questione, contribuendo ad aumentare le perplessità sulla penale astronomica.
 
 
Il lungo addio alle Province
L’Italia intera ancora ricorda le dichiarazioni trionfanti dell’ex sindaco di Gela, che, ai primi di marzo, annunciava a Rai uno l’abolizione dei vituperati Enti intermedi: “Tutto il Paese guarda il modello politico della Sicilia e magari da qui ripartirà una nuova Italia”. L’annuncio di lì a pochi giorni si è concretizzato in una Legge regionale, la numero 7 del marzo scorso. Abolite, dunque, le Province? Sbagliato. Sono passati cinque mesi dalla pubblicazione nella Gurs della legge che ha “sospeso il rinnovo degli organi provinciali” (in pratica tutto il caravanserraglio di consiglieri, presidenti, assessori e consulenti a vario titolo) e introdotto l’iter per la trasformazione della Province, ma di Liberi consorzi di Comuni e di Città metropolitane non si vede nemmeno l’ombra. La deadline, però, si avvicina a vista d’occhio: la lr 7/13 ha, infatti, fissato al 31 dicembre 2013 il termine ultimo per istituire gli organismi di secondo grado. E mentre le lancette corrono, il governo se la prende comoda. “Non è stato fatto nulla, è solo una delle tante leggi spot”, ci ha confessato poco prima di ferragosto un deputato regionale dell’opposizione. Invero il tavolo tecnico organizzato dall’assessore alla Funzione pubblica, Patrizia Valenti, ha già realizzato una prima bozza di riforma, ma la sensazione è che servirà una proroga rispetto alla scadenza prevista dalla legge. Ipotesi recentemente non esclusa anche dalla stessa Valenti.
 
Operazione verità sullo stipendio del governatore
Il 20 marzo Rosario Crocetta ha dichiarato all’Ars di essersi ridotto “da quattro mesi l’indennità del 30%”, invitando i deputati a fare lo stesso. Ma una riduzione così netta è stata applicata veramente? Il QdS lo ha smentito nell’inchiesta del 19 luglio, a firma di Lucia Russo e Massimo Mobilia. “Guardando al Bilancio 2013 sembrerebbe in realtà di no. Nel capitolo 102001 – ‘Indennità di carica al presidente della Regione e agli Assessori’ –sia nel documento di bilancio dell’anno scorso che quest’anno, le due voci delle indennità del presidente della Regione e dell’assessore alle Autonomie locali sono unificate: così nel 2012 per presidente e assessore alle Autonomie locali erano stanziati 271 mila euro, quest’anno solo 3 mila euro in meno: 268 mila euro. Se consideriamo per Valenti lo stesso stipendio dei colleghi di giunta pari a 187 mila euro lordi l’anno ciascuno, a Crocetta rimangono 81 mila euro, ovvero circa 6.750 euro al mese. A guardare i numeri allora tra le ‘spese obbligatorie’ del bilancio il taglio del 30% di Crocetta non esiste, ma si aggira appena intorno al 10%, considerando che l’indennità del governatore, ai tempi di Raffaele Lombardo, era pari a 90 mila euro”.
 
Il tira e molla sull’Irpef
Il 26 luglio Rosario Crocetta dichiarava che no, mai lui avrebbe potuto mettere le mani nelle tasche dei siciliani, innalzando le aliquote dell’addizionale regionale all’Irpef (l’imposta sul reddito delle persone fisiche). Ma qui è entrato in gioco ancora una volta l’esecutivo nazionale, il quale ha messo la Regione con le spalle al muro: senza l’incremento dell’aliquota niente prestito statale da 1 miliardo di euro per aiutare le imprese in difficoltà (perché creditrici verso la Regione). A quel punto il presidente, solo due giorni dopo, ha dovuto fare retromarcia: “Il governo Letta non sembra disposto a consentire misure alternative all’aumento dell’addizionale Irpef. Non possiamo certo rinunciare a 1 miliardo di entrate destinate alle imprese siciliane e quindi al rilancio economico dell’Isola”. 
 
Il salvatore della patria (a parole)
L’ultima “sparata”, in ordine cronologico per questa prima rassegna stampa di bufale, è del 15 agosto scorso. “Ho salvato la Sicilia dal default, ma non smettono di attaccarmi”, ha titolato  il quotidiano “La Sicilia” la lunga intervista  al presidente Crocetta. “Appena insediato a Palazzo D’Orleans – ha affermato il governatore – ho dovuto lottare con una grave questione incombente. La Regione era a rischio default e di commissariamento. Oggi tutti gli osservatori sottolineano che la situazione è cambiata”. Tra gli osservatori ottimisti non pare esserci il suo assessore all’Economia, Luca Bianchi, che appena cinque giorni dopo, allo stesso giornale, ha dichiarato che “in Sicilia il default è un rischio ancora incombente”. E di certo tra gli opinionisti magnanimi con l’esecutivo regionale non c’è la Corte dei conti. I magistrati contabili, nella Relazione al rendiconto 2012 della Regione, hanno stabilito che ci sono 3,6 miliardi di crediti tributari divenuti inesigibili nonché 5,4 miliardi di debiti. In parole povere, ognuno di noi siciliani, inclusi i neonati, ha contratto un debito di 1.077 euro. Naturalmente, essendosi insediatosi alla fine dell’anno scorso, il governo in carica non ha grandi responsabilità di tale voragine. Ma da qui a dire che la Sicilia è salva ce ne passa. Anche perché la Corte non ha lesinato critiche alla squadra di Crocetta e ha espresso “una valutazione negativa circa l’adeguatezza della quantificazione operata sui fondi appostati in bilancio per sopperire ai rischi innanzi indicati, il cui impatto in effetti potrebbe seriamente compromettere in futuro i complessivi equilibri di bilancio”. Insomma, quella rivoluzione a cui molti hanno creduto sembra ancora lontana, molto lontana.

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