L’acqua sfruttata: l’Istat ha misurato il costo sull’ambiente siciliano delle imprese agricole e industriali - QdS

L’acqua sfruttata: l’Istat ha misurato il costo sull’ambiente siciliano delle imprese agricole e industriali

Chiara Borzi

L’acqua sfruttata: l’Istat ha misurato il costo sull’ambiente siciliano delle imprese agricole e industriali

venerdì 30 Agosto 2013

L’Isola mostra migliori percentuali rispetto alla media nazionale e altre zone del Mediterraneo, ma non ci si deve cullare. L’ultimo specifico rapporto dell’Istituto di statistica nazionale mette in evidenza il rapporto, a volte svantaggioso, tra produzione e territorio 

 Palermo – Negli ultimi anni, la consapevolezza di dove salvaguardare l’ambiente, conciliando il più possibile l’attività di sviluppo economico e di produzione, è aumentata. La parola e i progetti di sostenibilità hanno preso il sopravvento su politiche che una volta tendevano a sfruttare il territorio solo in funzione del bisogno immediato, senza pensare a cosa sarebbe rimasto a disposizione delle generazioni future. Anche in Sicilia questo desiderio di procedere verso una rivalutazione dei vecchi canoni sta prendendo piede, ma come afferma in merito il rapporto Istat sull’ambiente, le condizioni di arretratezza e di povertà economica presenti nel territorio non permettono ancora un’evoluzione. 
 
Le attività di produzione, agricola e imprenditoriale presenti in Sicilia si impostano, dunque, su condizioni del tutto particolari rispetto il resto d’Italia. Per misurare quel che è il loro impatto sul nostro territorio, l’Istat ha scelto di paragonare la Sicilia ovviamente al contesto nazionale, ma anche ai territori dell’Africa settentrionale e quelli del Medio Oriente. Il principio che sta alla base di questa decisione è principalmente legato alla geografia, al clima, alla superficie: sono fuor di dubbio, infatti, le similitudini esistenti per via della comune appartenenza alla zona Mediterranea. 
 
Osservando la misurazione spaziale fatta dall’Istituto di Statistica, scopriamo subito quale sono le fette di territorio siciliano dove lo sfruttamento è superiore alle capacità effettive. Distinguendo tra aziende agricole e imprese, si scopre ad esempio che le fasce in cui si sfrutta più terreno sono quelle interne della Sicilia, dove si pratica agricoltura di tipo estensivo. L’utilizzo di fitosanitari è invece registrata sopra la norma nel catanese, il siracusano-ragusano e il palermitano-trapanese-agrigentino. Eccessivo uso di acqua è fatto nelle stesse zone, ma è Licata in particolare ad evidenziarsi a causa di un’attività agricola basata molto sull’irrigazione. A questo sfruttamento eccessivo di beni naturali non corrisponde sempre un ritorno economico.
 
Guardando la rilevazione “Indicatori/vendite” notiamo infatti che le zone in evidenza, cioè quelle in cui si riscontra un elevato impatto in rapporto alla performance economica a prescindere dalle dimensioni, sono riscontrate ad Enna, al confine tra il sud-est catanese e il nord siracusano e il centro della provincia di Siracusa. Per capire invece quale sia l’impatto ambientale delle imprese, l’Istat ha osservato la spesa media delle imprese stesse fatta a protezione dell’ambiente e successivamente il suo rapporto con le vendite. 
 
Prevedibilmente, si scopre che le zone in cui questa cura è maggiore sono quelle in cui sono stabiliti poli petrolchimici e attività industriali, dunque: Gela, Siracusa-Augusta e Catania. Un elevato rapporto tra spesa e vendita si registra inoltre nelle zone di Cefalù, i Nebrodi e le Madonie, dove sono numerose le attività industriali di trasformazione dei prodotti alimentari, la estrattiva e la manifatturiera. 
 
La Sicilia si colloca invece nel contesto Mediterraneo in cui l’Istat ha scelto di inserirla secondo le caratteristiche che seguono. Le statiche sono fornite dalla Fao. Per superficie sfruttata l’Isola è più vicina alle percentuali nazionali (42,8% rispetto a 47,3%) che a quelle dei paesi Mena o africani. Riguardo lo sfruttamento dell’acqua per uso agricolo, la Sicilia mostra cifre molto inferiori sia rispetto l’Italia che le altre zone mediterranee considerate (19% contro il 44% italiano, il 76% del Medio Oriente e l’83% del Nord Africa). In merito all’utilizzo di acqua per uso agricolo, Italia e Sicilia consumano meno rispetto Africa e Medio Oriente (329 metri cubi contro 341). Infine, riguardo la meccanizzazione agricola (misurata osservando quante trattrici sono attive ogni cento chilometri), scopriamo che la Sicilia è per stime vicina solo alle zone del Sud del Mondo: secondo l’Istat le 1.151 unità presenti sul territorio sono da confrontarsi più con le 234 unità delle zone del Mediterraneo est, che alle 1.898 unità italiane (solo 747).
Il paragone in questo caso sembra non reggere.
 
La conclusione a cui si può giungere, però, rimane comunque attendibili per restituire un quadro veritiero dell’impatto che le attività agricole e le imprese industriali hanno in Sicilia: “Tutti i dati riportati confermano l’esistenza di un uso più esteso e intensivo delle risorse naturali nell’isola rispetto al resto del Mediterraneo; in confronto al resto d’Italia, invece, ci sono margini di miglioramento per un loro uso più efficace”.

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