Ingiusta detenzione, 50 mln di euro alle vittime della malagiustizia - QdS

Ingiusta detenzione, 50 mln di euro alle vittime della malagiustizia

Roberto Quartarone

Ingiusta detenzione, 50 mln di euro alle vittime della malagiustizia

mercoledì 04 Settembre 2013

Dal 2005 al 2012, il ministero dell’Economia ha contato oltre 1.500 ricorsi vinti in Sicilia. Liquidati in media 34 mila euro a chi è finito dietro le sbarre senza un perché

PALERMO – La giustizia è sulla graticola, non certo per le questioni personali di politici di primo piano, che riempiono le pagine dei giornali e fanno riflettere sulla vacuità del vero dibattito politico italiano. È sulla graticola perché è lenta, antiquata e, purtroppo, è stata condannata troppe volte per essere sommaria e superficiale. Nessun processo ai giudici, s’intenda, ma a tutta la filiera che negli ultimi anni ha registrato delle falle clamorose che sono costate milioni di euro di denaro pubblico in risarcimenti. In particolare, parliamo dell’ingiusta detenzione: quando gli errori giudiziari coinvolgono gli innocenti, costretti a scontare giorni, mesi e a volte anche anni chiusi in una cella al posto di qualcun altro.
“I dati sulla ingiusta detenzione – spiegava al QdS Salvo Fleres, garante dei diritti dei detenuti in Sicilia – confermano la grave crisi in cui versa il sistema giudiziario italiano e a poco vale il lieve ridimensionamento del fenomeno, che è possibile registrare dalle cifre in gioco”.
Le cifre in gioco, purtroppo, sono pesanti. Dal 2005 al 2012, l’Ufficio IX del ministero dell’Economia e delle finanze ha contato oltre 1.500 ricorsi vinti in Sicilia, costati oltre 50 milioni di euro. Il 2007 è stato l’anno in cui si è avuto il minor numero di importi liquidati (118 per 3 milioni), è del 2005 il picco più alto (270 per 8,2 milioni). Negli ultimi anni, dopo una stabilizzazione nei dati sui 7 milioni, si è avuto un certo calo. I casi siciliani rappresentano, più o meno, il 15 per cento del dato nazionale.
Nel 2012, in particolare, sono stati pagati 184 ricorsi vinti (prima volta sotto i duecento dal 2008), con una media per caso che si aggira poco sotto i 34 mila euro. Nel dettaglio, il maggior numero di richieste esitate per ricorsi vinti per ingiuste detenzioni si è registrato nelle Corti d’Appello di Catania e Palermo, con 70 casi e 1,9 e 2,7 milioni di euro versati dalle casse dello Stato ai malcapitati. La situazione è bilanciata nelle corti di Caltanissetta e Messina, che hanno registrato rispettivamente 23 e 21 casi.
 
L’importo liquidato nella corte nissena, tuttavia, ha fatto registrare una media di 49,5 mila euro. Come segnalava il presidente della corte d’appello di Caltanissetta, comunque, la media è innalzata da vecchie pendenze saldate in ritardo dall’amministrazione centrale.
“Poiché i casi di ingiusta detenzione – ha affermato ancora l’ex senatore Fleres al QdS –, purtroppo, si moltiplicano e le carenze di organico di magistrati e personale di cancelleria rischiano di rendere ancora meno certa l’azione giudiziaria, sarebbe opportuno introdurre alcune modifiche di legge che favoriscano le pene alternative e, nei casi più gravi, aumentino l’indennizzo, prevedendo anche la responsabilità civile dei magistrati”.
La questione dei costi è cruciale. Non soltanto per ciò che riguarda l’ingiusta detenzione già riconosciuta come tale, ma anche solo il periodo trascorso in carcere dall’innocente. In Italia, secondo i dati che cita lo stesso garante dei diritti dei detenuti, 21 mila persone restano in cella meno di tre giorni. Secondo il rapporto del Consiglio d’Europa sulla popolazione carceraria aggiornato al 2011, ogni giorno in carcere un detenuto costa 117 euro alle casse dello Stato (spese sanitarie escluse). Facendo due moltiplicazioni, ecco che altri 7,4 milioni di euro ricadono sulle spalle dei contribuenti quando si potrebbero trovare delle misure alternative che metterebbero al riparo il sistema giudiziario da altre ingiunzioni di pagamento.
Il Codice di procedura penale (art. 314, 1º comma) sancisce che la custodia cautelare è ingiusta quando un imputato all’esito del processo viene riconosciuto innocente per non aver commesso il fatto o perché il fatto non costituisce reato. Questa è la fredda giurisprudenza, ma c’è un altro aspetto non secondario: i diritti umani. Se n’è accorto il già citato Consiglio d’Europa, l’organizzazione internazionale che punta a tutelare i diritti dell’uomo. Nel 2012, ha affermato Salvatore Nottola, procuratore generale presso la Corte dei Conti nel giudizio sul rendiconto generale dello Stato, “l’Italia è stata condannata a pagare indennizzi per 120 milioni di euro, la somma più alta mai pagata da uno dei 47 Stati membri del Consiglio d’Europa”.
La riforma della giustizia, a questo punto, si rende sempre più necessaria. C’è chi sostiene la necessità dell’introduzione della responsabilità civile per i giudici (ma da più parti si ritiene che possa bloccare la maggior parte dei procedimenti, che non sarebbero nemmeno intentati per paura di ritorsioni), chi l’aumento del ricorso a pene alternative. La palla passa alla politica, quando tornerà a occuparsi dei problemi reali del Paese.

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