La stabilità è inerzia ci vogliono le riforme - QdS

La stabilità è inerzia ci vogliono le riforme

Carlo Alberto Tregua

La stabilità è inerzia ci vogliono le riforme

sabato 07 Settembre 2013

Renzi, basta col Giaguaro

Ho trovato interessante la performance di Matteo Renzi alla festa del Pd di Genova. Matteo ha sicuramente una grande capacità di comunicare, ha la battuta facile e fulminante, non arretra mai di fronte a qualsiasi domanda, anche penetrante. Mi ha deluso, però, perché dietro al fuoco d’artificio delle argomentazioni che ha utilizzato per circa un’ora, non ho sentito progetti concreti, neanche riguardanti le riforme urgenti di cui abbisogna il Paese.
Quello non era il luogo, forse, per illustrarle. Ma è bene che il giovane sindaco di Firenze si prepari a diminuire l’aspetto comunicativo e aumentare quello programmatorio.
Renzi sta trovando barriere elevate dentro il suo partito, perché le correnti, gli apparati, soprattutto quelli degli ex comunisti di sinistra-sinistra, a cominciare da Fassina, non sono d’accordo sulla sua linea di riforme, che significa abbattere privilegi di consorterie e favoritismi degli amici degli amici. 

Comincia ad affacciarsi l’idea che se Renzi diventasse primo ministro seguirebbe una linea politica di riforme come fece a suo tempo Tony Blair in Gran Bretagna, il quale non spostò di una virgola quella di Margaret Thatcher, la figlia del fornaio, che sosteneva: I pasti non sono mai gratis.
Blair, da uomo di sinistra, continuò in una politica di riforme che oggi hanno consentito all’United Kingdom di avere una moneta (la sterlina) più forte dell’euro, un’economia in crescita e una disoccupazione a livelli americani.
La perfida Albione, come la definì  il teologo francese Jacques BénigneBossuet (1627-1704), oggi governata dai conservatori di Cameron, continua nella sua politica di espansione economica, che vede in Londra una città multietnica, senza paraocchi.
Ma torniamo in Italia. Enrico Letta sta facendo il possibile, come a suo tempo fece Mario Monti, benché la strana maggioranza italiana non abbia nulla a che fare con la Grosse Koalition tedesca che ha tirato fuori quel Paese dalle secche di una recessione formidabile.
Probabilmente, fra poco meno di tre settimane, anche la Merkel vincerà le elezioni con ampio margine e potrà continuare per altri quattro anni una politica espansionistica che consente a quell’apparato economico di pagare stipendi alti con un cuneo fiscale basso.

 
Ed è proprio dal cuneo fiscale che Letta dovrebbe ripartire, perché è inconcepibile che, fatto 100 lo stipendio netto che va in tasca a un dipendente, pubblico o privato, al suo datore di lavoro costi 220: roba da terzo mondo. è vero che per ridurre di 10 punti tale cuneo occorrono 10 miliardi, ma questo metterebbe in moto il sistema delle piccole e medie imprese e il mercato dei consumi.
Per fare riforme che incidano ci vuole coraggio, anche il coraggio dell’impopolarità. Letta prenda delle decisioni impopolari, vada in Parlamento e sfidi chi voglia ancora tutelare gli interessi delle corporazioni contro l’interesse generale. Anche così potrebbe attirare di nuovo gli elettori disgustati e arrabbiati, che non vogliono più sentir parlare della vecchia partitocrazia.
La prova del nove ci sarà non tanto dopodomani, con l’inizio della discussione nella commissione del Senato sulla decadenza di Berlusconi, ma se questo scoglio dovesse essere superato, con la redazione della Legge di stabilità 2014.

Renzi ha detto una cosa saggia: smettiamola di voler smacchiare il Giaguaro (il Cavaliere), il che significa: occupiamoci dei problemi veri cui dare opportune soluzioni, cioè le riforme. Fra esse è urgentissima quella della pubblica amministrazione e l’altra non meno urgente di togliere gli aiuti di Stato a chi non li merita e istituire, invece, sostegni al sistema delle imprese perché esse possano svilupparsi in settori nuovi e competere meglio all’estero.
Poi, serve dare molta più forza all’Autorità garante per la concorrenza e il mercato, presieduta dall’ottimo Giovanni Pitruzzella, che però ha ancora le mani legate. La competitività deriva dalla concorrenza, perché nel mercato si immette il merito: avanti quelli bravi, indietro gli approfittatori. Il mercato non deve essere protetto: una cosa è fare socialità, altra è assistenzialismo. La prima è positiva, il secondo è negativo.
è inutile perseguire la stabilità in quanto tale, perché è solo inerzia. è indispensabile, invece, fare riforme, riforme, riforme. Ora e subito.

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