I papà siciliani riscoprono il valore della genitorialità - QdS

I papà siciliani riscoprono il valore della genitorialità

Angela Michela Rabiolo

I papà siciliani riscoprono il valore della genitorialità

giovedì 19 Settembre 2013

Inps, dati 2011: disoccupazione e lavoro nero condizionano fortemente le dinamiche sociali. Sicilia terza regione per numero di congedi per paternità facoltativa

PALERMO – La crisi economica pare aver colpito tutti duramente, tutte le categorie e tutte le regioni, dal Nord al Sud di quello che una volta -quando c’erano i soldi, i turisti e la dolce vita- era il Belpaese. Nonostante il momento attuale sia difficile per tutti però, la recessione sembra aver fatto emergere prepotentemente le contraddizioni e le differenze interne alla nazione. Basta iniziare a grattare la superficie di qualsiasi realtà, basta far emergere dei dati, per avere una fedele rappresentazione dell’Italia odierna.
Per esempio, prendiamo in esame i numeri del congedo parentale. Il congedo spetta sia al padre che alla madre entro i primi 8 anni di vita del bambino per un periodo compreso tra i 2 e i 10 mesi, aumentabili a 11 qualora il padre lavoratore si astenga dal lavoro per un periodo continuativo o frazionato non inferiore a 3 mesi. Detto periodo complessivo può essere fruito dai genitori anche contemporaneamente e non si applica ai lavoratori a domicilio, domestici, disoccupati o sospesi.
Dal 2005 al 2011 il numero dei congedi è aumentato, seppur flebilmente, di anno in anno. Ciò a dispetto del tasso di crescita zero, fermo a 9,1 per mille abitanti (rilevazione Istat del 2011).
Gli ultimi dati disponibili forniti dall’Inps, relativi al 2011, quantificano in 295.691 il totale dei lavoratori e delle lavoratrici dipendenti (con contratto a tempo determinato e indeterminato) in congedo parentale su tutto il territorio nazionale; nel 2010 erano 288.994, nel 2009 278.311. Al contrario, il numero dei congedi richiesti dai lavoratori autonomi e dai contribuenti alla gestione separata è leggermente diminuito: nel 2011 sono state 2.414 le istanze pervenute dalla prima categoria e 1.365 quelle della gestione separata; nel 2010 erano rispettivamente 2.735 e 1.404; nel 2009, 2.945 e 1.336. I dati Inps indicano inoltre che la maggior parte dei congedi viene richiesto dai lavoratori dipendenti nella classe di età che va dai 35 ai 39 anni.
Le maggiori differenze emergono quando si analizzano i valori distinti per regione e area geografica. Dalle Isole sono arrivate infatti solo 14.349 domande di congedo nel 2011, contro le 104.305 del Nord-Ovest. Già nel 2010, confrontando il numero delle istanze provenienti dalla Sicilia con quelle del Piemonte (entrambe le regioni si attestano sui 5 milioni di abitanti), si notava un forte divario riconducibile alla maggiore presenza del lavoro nero e un maggior indice di disoccupazione -soprattutto femminile- nella nostra regione. Nel 2011 la situazione non è ancora cambiata ma si mantiene sostanzialmente stabile. In Piemonte sono state avanzate 24.231 richieste di congedo da lavoratori dipendenti (uomini e donne con contratto a tempo determinato o indeterminato), in Sicilia ne sono state registrate 10.504.
Rispetto al Piemonte però la Sicilia si distingue, in positivo, per numero di congedi richiesti dagli uomini. Se in Piemonte il totale si attesta sulle 1.850 richieste, in Sicilia si raggiungono le 2.820 istanze. La Sicilia è la terza regione per numero di congedi per paternità facoltativa, seconda solo a Lazio (5.779) ed Emilia-Romagna (3.348). Ciò significa che la Sicilia è povera, che c’è il lavoro nero e la disoccupazione, ma almeno i nostri papà si impegnano sempre più a condividere il lavoro di cura e crescita della prole non lasciando questo compito solo alle donne…
Può essere un effetto positivo della crisi?

La normativa – Le novità introdotte dalla legge Fornero
La legge Fornero (l.92/2012) ha inserito alcune novità nella disciplina dei congedi parentali. Il padre ha l’obbligo di astenersi per un giorno dal lavoro entro i primi 5 mesi dalla nascita del figlio. Se lavoratore dipendente può chiedere altri 2 giorni che verranno retribuiti al 100% ma solo in accordo con la madre e in sua sostituzione al fine del conteggio complessivo dell’astensione obbligatoria. Il congedo invece si può richiedere per i primi 8 anni del figlio con retribuzione al 30%, salvo particolari disposizioni previste per i genitori adottivi (congedo per i primi 8 anni dall’adozione indipendentemente dall’età del figlio) e per i lavoratori autonomi o della gestione separata.
Altra novità (in sperimentazione nel triennio 2013-2015) consiste nella possibilità di fruire di voucher in alternativa al congedo e per la durata di 11 mesi. I voucher vanno richiesti al datore di lavoro e devono essere impiegati per pagare baby sitter o comunque per fruire dei servizi per la prima infanzia.
Infine, la l.228/2012 ha reso possibile il frazionamento in ore lavorative del congedo parentale. La legge però rinvia ai contratti collettivi per le modalità di attuazione.


Penalizzata l’inclusione lavorativa delle neomamme
L’Italia ha uno dei tassi di crescita più bassi d’Europa. La media è di 1,4 figli per donna: 1,3 se italiana e 2,07 se straniera. I dati nazionali raccolti dall’Inps mostrano come il numero di donne in maternità obbligatoria sia diminuito, seppur di poco, nel triennio 2009-2011. Si passa dalle 379.813 richieste di maternità (totale delle istanze presentate dalle lavoratrici dipendenti con contratto a tempo determinato o indeterminato) del 2009 a 382.081 nel 2010 e 375.965 nel 2011. Lo stesso vale per le lavoratrici autonome e iscritte alla gestione separata.
Incrociando i dati sulla maternità obbligatoria e quelli sul congedo forniti dall’Inps, si scopre che l’età delle neomamme si attesta nella classe tra i 30 e 34 anni mentre si diventa papà mediamente tra i 35 e 39 anni. Tutti i numeri presentano un paese quasi allo sbando dove si evita di mettere su famiglia, se lo si fa c’è la corsa per partorire almeno entro i 40 anni e dove le donne devono saper gestire la vita lavorativa -quando sono così fortunate da avere una posizione riconosciuta alla luce del sole- con i doveri della famiglia.
Sempre secondo l’Istat infatti, 12 milioni di residenti italiani hanno più di 65 anni e di questi 2 milioni non sono autosufficienti. Inoltre, il 38,4% di chi ha tra i 15 e i 64 anni si prende cura di figli minori di 15 anni, di altri bambini coetanei, di adulti anziani, ammalati o disabili. Del totale generale, le donne sono il 42,3% e gli uomini sono il 34,5%. Questo, per la componente femminile, ha delle ripercussioni sulla partecipazione al mondo del lavoro. Il lavoro di cura quasi esclusivamente ricade sulle donne presenti nella famiglia anche se, sempre in misura maggiore, diventa un tipo di organizzazione che vacilla con il cambiamento delle dinamiche familiari e diventa un peso spesso difficilmente gestibile per la carenza dei servizi e per la crescita (sebbene molto lenta, in Italia) della presenza femminile nel mercato del lavoro. In questo, le pari opportunità sono ancora lontane dall’essere raggiunte in quanto il lavoro di cura e la maternità, perfino potenziale, penalizza fortemente l’inclusione lavorativa delle donne. “Il lavoro di cura è ancora oggi un fattore di forte depotenziamento dei diritti sociali delle donne, che risultano essere comunque penalizzate sul mercato del lavoro e discriminate in quanto potenziali madri” recita il nuovo piano nazionale della famiglia deliberato nella seduta del 7 giugno 2012 dal CdM.
Anche per quanto riguarda la maternità obbligatoria, che di solito comporta l’astensione per i 2 mesi precedenti il parto e i 3 mesi successivi, si possono notare delle differenze tra le aree geografiche del paese: dalle Isole provengono appena 25.635 richieste a fronte delle 117.756 presentate nel Nord-Ovest nel 2011. In particolare, 17.812 vengono dalla Sicilia. In Piemonte il numero di donne in maternità nel 2011 è di 29.446. La differenza è di nuovo spiegabile a causa della massiccia presenza di lavoro nero nel Meridione. Al Sud si registra infatti il maggior numero di unioni, che nazionalmente si attesta su una media di 4,2 matrimoni ogni mille abitanti, e il maggior numero di nati. Ci si aspetterebbe quindi un maggior numero di richieste di maternità ma ciò viene contraddetto dai numeri. Il problema non è solo la disoccupazione e il lavoro nero ma anche una mancanza generalizzata di servizi che consentano alle donne di essere madri e lavoratrici allo stesso tempo.
La Sicilia diventa anche cartina al tornasole per quanto riguarda la tipologia dei nuovi contratti: anche se di poco, sono infatti aumentate le richieste di maternità delle lavoratrici iscritte alla gestione separata, passate da 435 nel 2009 a 461 nel 2011. L’aumento contenuto delle istanze provenienti da iscritte alla gestione separata può essere imputato anche al fatto che la richiesta di maternità è sottomessa al pagamento di almeno 3 contributi mensili (negli ultimi 12 mesi) con l’aliquota maggiorata prevista dalla legge per finanziare le prestazioni economiche di maternità/paternità: e si sa che in tempi di ristrettezza è difficile tenere in ordine i conti.

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