Se la dichiarazione dei redditi è errata il contribuente può rettificarla - QdS

Se la dichiarazione dei redditi è errata il contribuente può rettificarla

Salvatore Forastieri

Se la dichiarazione dei redditi è errata il contribuente può rettificarla

mercoledì 02 Ottobre 2013

Il Dpr 322/98 prevede però un termine per effettuare le modifiche: l’anno successivo a quello interessato dall’errore. Per la Cassazione, senza questa possibilità, il prelievo fiscale sarebbe contrario alla Costituzione

PALERMO – Ormai è veramente pacifico. Lo dice la dottrina e la giurisprudenza: la dichiarazione dei redditi non è una manifestazione di volontà, ma una manifestazione di scienza e, come tale, non può avere effetti costitutivi simili a quelli di una confessione, giudiziale o extragiudiziale.
Da questo principio se ne può trarre una conclusione, e cioè che la dichiarazione dei redditi, frutto di un errore, di fatto o di diritto, dello stesso contribuente, tale da comportare l’assoggettamento a un tributo più gravoso da quello previsto dalla legge, è sempre emendabile.
Questo concetto lo ha affermato anche la Corte di Cassazione con la sentenza n.15063 del 25 ottobre 2002, ribadita da un altra sentenza della stessa Corte, la n. 5399 del 4 aprile 2012.
Con questa seconda sentenza la Cassazione ha affermato pure che, se la legge non prevedesse la possibilità del contribuente di rettificare un suo errore, si potrebbe giungere ad un prelievo fiscale contrario al principio di capacità contributiva sancito dall’art.53 della nostra Costituzione.
Ma in Italia, una legge che prevede la rettifica della dichiarazione esiste già, ed è il DPR 322 del 1998, il quale, all’art. 2, prevede, al comma 8: la presentazione della dichiarazione “non oltre i termini stabiliti dall’art.43 del DPR 29 settembre 1973 n.600 e successive modificazioni”; al comma 8 bis: la presentazione della dichiarazione “non oltre il termine prescritto per la presentazione della dichiarazione relativa al periodo d’imposta successivo. L’eventuale credito risultante dalle predette dichiarazioni può essere utilizzato in compensazione ai sensi dell’art.17 del D.Lgs. n.241 del 1997”.
Sulla base di tali disposizioni l’amministrazione finanziaria ritiene che:
A) la dichiarazione “a sfavore” del contribuente può essere presentata entro i termini di decadenza dell’azione accertativa dell’ufficio;
B) la dichiarazione “a favore”, quella cioè che comporta un maggior credito o un minor debito del contribuente, può essere presentata solo entro il termine di scadenza della dichiarazione dell’anno successivo a quello interessato dall’errore.
Si tratta di una interpretazione molto restrittiva, che limita estremamente il diritto del contribuente di essere tassato in base alla sua capacità contributiva, interpretazione, peraltro, contraria a quanto affermato dalla Cassazione con la sopra accennata sentenza n. 5399 del 4 aprile 2012. L’Agenzia non ammette la correzione nemmeno quando risulta, per esempio, che i ricavi sono stati dichiarati in misura mille volte superiore a quelli effettivi per il fatto che erroneamente non sono stati presi in considerazione, nella dichiarazione, i tre zeri prestampati nel modello. In questo caso, quindi, si impone al contribuente di pagare un tributo che, dallo stesso ufficio, viene riconosciuto sostanzialmente non dovuto, ma applicabile per via di una interpretazione eccessivamente fiscale del coma 8 bis.
Seguendo l’esempio fatto prima, il contribuente doveva dichiarare ricavi per 100.000 Euro ma, non tenendo conto dei tre zeri prestampati, dichiara 100.000.000, con una differenza in più di ricavi pari a 99.900.000 euro. A questa base imponibile, assolutamente inesistente, corrisponde un’imposta di 42.957.000 Euro (il 43%), e su questa imposta, considerandola “evasa”, il fisco applica la sanzione pari al 30% (quella per mancato pagamento) e gli interessi. Insomma, per avere sbagliato gli zeri e non avere corretto la dichiarazione entro l’anno successivo, secondo l’Agenzia delle Entrate quel contribuente dovrebbe pagare quasi duecento milioni di euro. Qualunque commento chiaramente è superfluo.
Sulla possibilità di emendare la dichiarazione anche oltre il termine di cui al comma 8 bis, anche la Cassazione si è mostrata favorevole, ritenendo che questo termine breve riguardi solo il caso in cui il contribuente voglia utilizzare il suo nuovo credito in compensazione. È un’interpretazione assolutamente condivisibile. Ma l’Amministrazione resiste ancora e resta ferma sulla sua posizione.
Una piccola apertura, però, l’Agenzia delle Entrate l’ha fatta di recente. Ha emanato, infatti, una circolare, la n. 31 del 24 settembre 2013, che rappresenta sicuramente uno spiraglio verso il superamento di quel “termine maledetto” del coma 8 bis. Ammette, infatti, che, in caso di errore in bilancio, derivante – però – da un’errata imputazione temporale dei componenti positivi e negativi di reddito, la rettifica può avvenire, anche oltre il termine breve di cui si discute, operando attraverso una procedura di correzione che investe tutti gli anni che vanno da quello interessato dall’errore a quello oggetto della dichiarazione più vicina al momento della rettifica.
In questo caso, e ciò è assolutamente corretto, i termini previsti per l’azione accertativa dell’Ufficio decorrono non dalla dichiarazione originaria, ma da quella rettificativa, onde evitare che il contribuente, attraverso la presentazione di una nuova dichiarazione, possa sottrarsi al controllo invocando poi l’avvenuta decadenza.
Si tratta, come si è detto prima, di una certa apertura, attualmente limitata ad una specifica situazione, ma che si spera possa essere estesa anche ai casi evidentissimi, come quello dell’esempio sopra riportato, dove, a causa di un mero errore, si potrebbe giungere ad una situazione veramente paradossale, contraria a qualunque regola, non solo fiscale ma anche etica, chiedendo al contribuente un tributo che non corrisponde alla sua capacità contributiva e che pochissimi ricchi del nostro pianeta sarebbero in grado di pagare.

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