Mediterraneo: il Mare monstrum. Sono 25.000 i morti in vent’anni - QdS

Mediterraneo: il Mare monstrum. Sono 25.000 i morti in vent’anni

Fabrizio Margiotta

Mediterraneo: il Mare monstrum. Sono 25.000 i morti in vent’anni

martedì 08 Ottobre 2013

Infuria la polemica sulla legge “Bossi-Fini”, in particolare sul reato di immigrazione clandestina. I fatti di Lampedusa del 3 ottobre la punta dell’iceberg: 1.700 decessi solo nel 2012

LAMPEDUSA (AG) – Tre ottobre 2013: un’alba di distruzione, di morte, di tragedia, lambisce le coste di Lampedusa. Un’alba di pianto incessante e di rabbia. Cancellare quelle immagini dalla nostra mente è impossibile, così come è impossibile togliere dal cuore l’insostenibile peso di chi si sente in qualche modo responsabile di questo estremo, irrazionale, inconcepibile sacrificio: nel momento in cui si scrive i morti accertati sono 195, i dispersi ancora un centinaio.
 
E mentre a Roma si discute, Sagunto viene espugnata. Forse Tito Livio non poteva immaginare la grande fortuna che questa frase della Storia avrebbe avuto nei secoli, ma il successo di questa proposizione sta nel fatto che l’inerzia dei governi ha sempre costituito un paradigma inquietante. E così, mentre a Roma si sperimentano nuovi equilibri politici, in un gioco assurdo di contrasti, alleanze e ripensamenti, Sagunto viene espugnata. Non da Annibale, non dal temibile esercito cartaginese, ma dall’indifferenza assordante di chi ha sempre rifiutato di trattare in modo serio e definitivo il problema dell’immigrazione.
 
Una tragedia, quella di Lampedusa, che risveglia (a pochi giorni dai tredici morti di Scicli) la caccia furibonda alle responsabilità e le inopportune strumentalizzazioni politiche, i prodotti più genuini della politica made in Italy. Niente di nuovo: basterà qualche settimana per dimenticare tutto, per immergersi ancora una volta nella solita indifferenza. Coloro che non dimenticheranno sono i tanti siciliani che hanno prestato soccorso e hanno ascoltato, ancora una volta, l’urlo lacerante di centinaia di anime in pena, in fuga dalla guerra, dalle carestie, dalle dittature. Tragedie annunciate? Non proprio, addirittura già sperimentate.
Il Coordinamento mediterraneo dell’Organizzazione internazionale delle migrazioni (Oim), per bocca del direttore José Angelo Oropeza, parla di 25 mila morti nel Mediterraneo negli ultimi vent’anni, duemila solo nel 2011 e 1.700 l’anno scorso. Numeri che fanno rabbrividire e confermano la realtà più triste: il Mare nostrum è un cimitero. Sorge allora una domanda semplice: di cosa ha bisogno l’Italia? Attualmente il corpus normativo italiano in tema di immigrazione poggia su quattro leggi principali, considerate piuttosto tardive rispetto alle gravi situazioni di emergenza che già dai primi anni ’70 cominciarono a interessare le grandi nazioni europee.
Il primo intervento fu la legge 943/86, in materia di collocamento e trattamento dei lavoratori extracomunitari immigrati, considerata da più parti una normativa di base, che limitava il proprio intervento al lavoro subordinato e ad alcune essenziali condizioni per l’espulsione, definendo con un grado di dettaglio minimo le politiche migratorie. I diritti della persona, così come le prescrizioni sul lavoro autonomo, entrarono nella nostra legislazione solo nel 1990, con la legge n.39, che si occupò per la prima volta di asilo politico, di lavoro autonomo e di assistenza sociale.
 
La vera svolta, tuttavia, si ha solo con la legge 40/1998, che si mostra più consapevole nei confronti del fenomeno migratorio, cominciando a considerare lo straniero come persona desiderosa di avviare un vero progetto di vita nel nostro territorio e non come mero lavoratore utile alla nostra economia.
 
Quest’ultimo aspetto non andrebbe comunque sottovalutato, considerando che l’Italia ha bisogno di immigrati per dare respiro alla propria economia e per rilanciare i livelli di natalità, purtroppo ridotti al minimo. La legge del ’98, la cd. Turco-Napolitano, prevede dunque delle innovazioni importanti: la carta di soggiorno, un documento che permette di rimanere a tempo indeterminato dopo 5 anni di permanenza con regolare permesso di soggiorno, il perfezionamento delle modalità di ricongiungimento familiare, parità di trattamento con i cittadini per ciò che riguarda l’assistenza sanitaria e altri diritti, tutela dei minori, lotta alle discriminazioni.
Quasi tutte le disposizioni a favore dei migranti hanno subito dei cambi di rotta drastici con la legge 182/02, meglio nota come legge Bossi-Fini, che ha reso gli accessi più difficili, le espulsioni più semplici e ha posto ostacoli al diritto d’asilo. Inoltre ha introdotto il reato d’immigrazione clandestina, il che induce gli scafisti ad abbandonare i migranti a parecchi chilometri dalla costa. Non sono casuali i numerosi interventi di censura operati dalla Corte costituzionale nei confronti di questa legge, chiaramente influenzata da precisi indirizzi ideologici. Da questo rapido excursus nella normativa italiana, siamo in grado di affermare che il nostro Paese ha conosciuto tutte le possibili modalità di intervento sui fenomeni migratori: dall’indifferenza alla tutela dei diritti, dal contenimento ragionevole alle politiche più dure.
Le attuali proposte del ministro Kyenge, a dir la verità non ancora condensate in disegni di legge omogenei, non sembrano in grado di dare una risposta definitiva ai tanti problemi che l’immigrazione pone, così come non lo sono stati gli interventi precedenti di diverso tenore. Il richiamo allo jus soli, che rappresenterebbe un unicum in Europa, a prima vista potrebbe risultare inopportuno in chiave di contenimento dell’immigrazione massiccia. Il Consiglio europeo, intanto, continua a richiamare l’Italia per l’inadeguatezza delle proprie misure legislative: l’opzione europea sarebbe quella di monitorare le coste (non le nostre, ma quelle nordafricane, senza superare i limiti delle acque territoriali) per frenare a monte le “incursioni” dei barconi.
 
Soluzioni fantasiose piuttosto lontane dalla realtà e, a dire il vero, tipiche di chi propone senza conoscere e lascia agli altri il lavoro sporco. L’Italia e soprattutto la Sicilia e Lampedusa non possono essere lasciate sole. Ciò che è successo la mattina del 3 ottobre 2013 non è un problema solo italiano o siciliano. L’Isola è la porta d’Italia, ma è anche la porta d’Europa.

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