Dai tagli finti ai tagli veri - QdS

Dai tagli finti ai tagli veri

Carlo Alberto Tregua

Dai tagli finti ai tagli veri

mercoledì 23 Ottobre 2013

Legge di stabilità inutile al Paese

Abbiamo letto le ottantasei pagine su cui sono scritti i ventisei articoli della Legge di stabilità, approvata dal Consiglio dei ministri il 15 ottobre e, quindi, scriviamo con cognizione di causa.
In primo luogo, non vi sono tagli alla spesa pubblica improduttiva, cioè agli apparati e non ai servizi sociali. Questo inganno dev’essere spiegato a voce alta ai cittadini perché, dietro le urla di chi dice che si taglia il welfare, si nascondono privilegiati e raccomandati che lucrano sulla cosa pubblica.
Il primo argomento usato, quando si parla di tagliare gli apparati, è: i posti di lavoro. Se la Pubblica amministrazione avesse come scopo principale inutili posti di lavoro, dovrebbe spiegare con quali risorse le pagherebbe. è vero il contrario: che i posti di lavoro sono conseguenti e non precedenti alla formulazione del piano aziendale, dal quale essi si evincono.
La Pubblica amministrazione esiste per creare servizi e non posti di lavoro inutili. Quindi, smettiamola di invertire l’ordine delle precedenze.

Sarebbe sufficiente stabilire il principio, con apposita legge, che ove vi siano esuberi nelle Pubbliche amministrazioni – statale, regionale e locale – vadano in una cassa integrazione alle stesse condizioni della cassa integrazione privata.
Nella legge in esame vi è una grossolana finzione: indicare le cifre del triennio. Per esempio, Letta ha detto che riduce il cuneo fiscale di cinque miliardi, ma in tre anni (2014-2016). Perché non diceva, per farsi più bello, di ridurre il cuneo fiscale di quindici miliardi, ma in dieci anni? Conta, invece, l’intervento nel 2014. è proprio su esso che si dovrebbero concentrare almeno dieci miliardi.
Da dove prenderli? La risposta è evidente: dal taglio della spesa pubblica, che alla fine dell’anno supererà di settecentotrenta mld, oltre circa ottantacinque per gli interessi. Non c’è dubbio che, non avendo paura delle categorie privilegiate, si possono tagliare trenta miliardi di spesa pubblica improduttiva, cioè di apparati e non, ripetiamo, di assistenza sociale che, anzi, dev’essere potenziata.
Con le risorse così recuperate, da cui sottratti i dieci mld per il cuneo fiscale, si potrebbe procedere come segue.

 
Riaprire i cantieri di tutte le opere pubbliche d’interesse nazionale, fermi per carenza di finanziamenti. Aprire i cantieri delle altre opere pubbliche con i progetti cantierabili: il Ponte sullo Stretto e le linee ferroviarie veloci fra Salerno-Reggio Calabria e Reggio-Bari. Per il Ponte bastano appena 2,5 mld pubblici, perché il resto è sostenuto da un pool di banche internazionali col project financing. Anche in questo caso, sentite tutte le autorità e tutte le istituzioni locali, è il governo che decide come ha fatto per la Tav Lione-Torino.
Vi è poi la questione del sostegno (e non aiuto) alle imprese esportatrici. E sostegno a quell’immenso tessuto di Pmi, oltre 5 milioni di unità, un tesoro unico al mondo.
A proposito di tesori, vanno finanziati i cantieri per il restauro dei beni culturali e paesaggistici, per metterli a reddito facendoli usufruire da milioni di turisti che, così attratti, verrebbero in Italia. Vi è poi l’apertura dei cantieri per la sistemazione idrogeologica del territorio e un piano finanziario che paghi gli interessi sui mutui destinati alla ristrutturazione antisismica delle costruzioni.

Di quanto precede non c’è nulla nella Legge di stabilità, per cui si potrebbe tranquillamente dire che essa è stabile ma non fa crescere, né fa produrre ricchezza e neanche crea lavoro vero, non quello inutile di gran parte delle Pubbliche amministrazioni.
Vi sono altre questioni che la Legge di stabilità non affronta. La prima riguarda il turismo. La città più importante del mondo cattolico, Roma, ha la metà di turisti di Parigi che ha un minor numero di abitanti. La Sicilia, con i suoi cinque milioni di abitanti, ha un numero di turisti doppio  della Repubblica di Malta che ha, però, un numero 12 volte inferiore di abitanti.
E veniamo al settore energetico. La più importante materia prima, gli Rsu (rifiuti solidi urbani), in due terzi del Paese è ammassata in discariche, anziché essere utilizzata in impianti di ultima generazione per la produzione di elettricità e teleriscaldamento, poi, manca un Piano per l’utilizzazione della linea del legno.
Ci fermiamo, augurandoci che il Parlamento sappia inserire quanto precede e non si perda in inutili diatribe.

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