Se i beni sottratti alla malavita siciliana cadono in pezzi prima dell’assegnazione - QdS

Se i beni sottratti alla malavita siciliana cadono in pezzi prima dell’assegnazione

Luca Insalaco

Se i beni sottratti alla malavita siciliana cadono in pezzi prima dell’assegnazione

venerdì 11 Settembre 2009

Burocrazia. Quella “rinascita” bloccata dalle carte.
Terre di Corleone. L’agriturismo affidato alla cooperativa Pio La Torre e inaugurato nel novembre scorso dal ministro Maroni attende ancora la certificazione di agibilità.
Bollette. Talvolta sono i conti a rendere proibitivo l’utilizzo degli immobili, specie nel capoluogo dove le abitazioni di provenienza mafiosa sono reclamate dai “senza casa”.

PALERMO – Sono 8.747 i beni confiscati alla mafia, la metà dei quali si trova in Sicilia.
Palermo è la provincia con il maggior numero di beni sottratti alla malavita, molti dei quali giacciono però inutilizzati. Al 30 giugno 2009, su 2.740 beni confiscati in tutto il territorio provinciale, 1.403 risultavano in gestione all’Agenzia del demanio, contro i residui 1.337 destinati a fini sociali o istituzionali. Quello palermitano è dunque lo specchio più fedele delle lungaggini burocratiche che appesantiscono il “cammino di liberazione” del patrimonio mafioso.
È emblematico il caso della Cantina Kaggio di Monreale, confiscata ben sedici anni fa a Totò Riina e Bernardo Brusca e assegnata solo nelle scorse settimane al Consorzio sviluppo e legalità che ne farà un centro per sperimentazione delle uve del territorio. Di anni dalla confisca definitiva ne sono “bastati” dieci, invece, perché l’amministrazione monrealese ricevesse il patrimonio sottratto al boss Antonino Zacco. Un appezzamento di terreno di oltre mille metri quadri con immobile di tre piani, nel frattempo vandalizzato e quindi inabitabile. È stato assegnato ma non ha ancora aperto i battenti l’agriturismo Terre di Corleone, inaugurato nel novembre dello scorso anno dal ministro degli Interni Roberto Maroni. Il bene, appartenuto al “Capo dei capi”, è stato affidato alla cooperativa Pio La Torre, che a distanza di quasi un anno aspetta ancora la certificazione di agibilità. Andata in fumo la stagione estiva, l’apertura ai turisti è rimandata alla prossima primavera. Burocrazia permettendo.
L’altra zavorra per il riutilizzo dei beni delle cosche si chiama ipoteca. L’ultimo caso conduce ancora a Monreale e la sua proprietà porta ancora il nome eccellente di Giovanni Brusca. Si tratta di un vasto appezzamento di terreno, ricadente in contrada Signora, dove l’Azienda delle foreste demaniali avrebbe voluto realizzare un percorso ambientale guidato per le scuole e un parco pubblico. Peccato, però, che l’assegnazione per finalità pubbliche e imprenditoriali sia stata bloccata da un vincolo ipotecario iscritto dalla Serit. A segnalarlo è stato Salvino Caputo, componente della Commissione regionale antimafia nonché vice sindaco di Monreale, con delega ai Beni confiscati alla mafia, che ha chiesto al direttore generale della società di riscossione di verificare le procedure per la cancellazione della garanzia patrimoniale dell’immobile.
“Si fa tanto parlare – ha detto – di ridurre i tempi per confisca e assegnazione dei beni, di rendere immediatamente fruibili i beni per assegnarli a pubbliche finalità e invece basta un mancato raccordo tra Enti pubblici per impedire l’utilizzazione di un bene di notevole importanza in quanto confiscato al boss Giovanni Brusca, che dopo avere materialmente ucciso Giovanni Falcone e la sua scorta ha ordinato il rapimento e la soppressione del piccolo Giuseppe Di Matteo”. Per il deputato regionale se da un lato urge “modificare la legge sui sequestri, le confisca e l’utilizzazione dei beni della criminalità organizzata”, dal punto di vista operativo occorre creare un’agenzia unica regionale per la gestione dei beni confiscati. “Bisogna organizzarsi – ha sottolineato Caputo – al fine di poter utilizzare tutte le misure a sostegno del recupero dei beni confiscati previsti dal Pon sicurezza e dal Por Sicilia 2007-2013 per gli enti locali che gestiscono beni confiscati alla mafia. Il vero problema che impedisce agli amministratori di utilizzare i beni confiscati è la mancanza di risorse finanziarie per la ristrutturazione e il successivo utilizzo”.
Quando gli immobili sono ristrutturati, talvolta sono le bollette a renderne proibitiva la fruizione. Specie nel capoluogo, le abitazioni di provenienza mafiosa vengono speso reclamate per arginare l’emergenza senza casa. Se non fosse per i vertiginosi costi di conduzione. Lo sanno bene i gestori della Bottega della legalità, il locale che sorge nella centralissima piazza Castelnuovo. Dopo avere sostenuto i costi di un massiccio intervento di ristrutturazione, i ragazzi di Libera oggi si trovano a pagare 400 euro al mese tra condominio e utenze varie. Cifre decisamente fuori dalla portata delle famiglie indigenti.

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