Evasione fiscale, per la Corte dei Conti lo spesometro è ancora insufficiente - QdS

Evasione fiscale, per la Corte dei Conti lo spesometro è ancora insufficiente

Salvatore Forastieri

Evasione fiscale, per la Corte dei Conti lo spesometro è ancora insufficiente

venerdì 08 Novembre 2013

Il timore che il sistema venga percepito come una sorta di accertamento di massa, incutendo nei cittadini la paura di spendere. I vecchi “elenchi clienti e fornitori” hanno dimostrato di essere più efficaci degli strumenti odierni

PALERMO – Dopo la conclusione di un’indagine sull’attività di controllo fiscale posta in essere dall’Agenzia delle entrate e dalla Guardia di finanza, la Corte dei Conti ha recentemente bacchettato il legislatore sulle scelte operate nella previsione degli strumenti idonei a contrastare adeguatamente l’evasione fiscale.
Secondo i Giudici contabili (tra i quali, con funzione di relatore, c’era anche il vecchio direttore dell’Agenzia Massimo Romano), infatti, l’attuale sistema delle indagini fiscali, basato principalmente sui controlli incrociati e, segnatamente, sullo “spesometro”, non è sufficientemente adeguato, visto che i vecchi “elenchi clienti e fornitori”, più di una volta istituiti e poi abrogati, hanno dimostrato di essere più efficaci di quanto lo siano gli strumenti di oggi avendo determinato, nei periodi in cui gli stessi erano vigenti, un aumento di volume d’affari dichiarato prima del 9,84% (anno 2006) e poi del 6,30% (anno 2007), un trend che ha invertito il senso di marcia dopo la soppressione degli elenchi con una diminuzione del volume d’affari, nel 2010, dell’11,86% rispetto all’anno precedente.
In pratica, secondo la Corte dei Conti, nel periodo in cui c’erano gli elenchi clienti e fornitori l’adesione spontanea dei contribuenti è aumentata e, quindi, diminuita l’evasione, probabilmente per il timore dei contribuenti di essere scoperti. Ma c’è dell’altro. Secondo i Magistrati, infatti, il frequente mutare delle disposizioni normative fiscali, come quelle riguardanti gli elenchi di cui parliamo, comporta anche aggravi di costi di gestione, e non solo per i contribuenti, ma anche per l’Amministrazione finanziaria, tutti obbligati a modificare frequentemente software e strategie per adeguarsi ai sopravvenuti adempimenti.
Sulle osservazioni e le conclusioni cui perviene la Corte dei Conti, evidentemente, chi scrive, il quale – peraltro – è stato in passato un grande fautore degli elenchi clienti e fornitori “vecchia maniera”, principalmente come strumento per evitare le frodi Iva, non ha la possibilità né di confermare né di smentire.
Non si può comunque non constatare che, quello attuale, è un periodo di svolta epocale, i cui esiti, in termini sia di gettito che di compliance da parte dei contribuenti, non sono ancora esattamente valutabili.
Si parla, evidentemente, della svolta rappresentata dall’entrata in funzione del “redditometro” e di tutti gli strumenti che sono stati individuati dal legislatore per consentirne un efficace funzionamento. Tra questi, oltre allo “spesometro”, che, come è noto, rappresenta una versione forse più sofisticata dei vecchi elenchi clienti e fornitori ai quali la Magistratura contabile ha fatto riferimento, c’è il monitoraggio costante dei conti correnti di tutti i cittadini (attraverso le comunicazioni degli operatori finanziari in scadenza proprio in questo giorni) che permetterà la formazione di una lista di situazioni sospette meritevoli di ulteriori indagini.
Ci sono poi le diverse segnalazioni obbligatorie riguardanti, per esempio, i contratti di somministrazione di energia elettrica, di servizi idrici e del gas, che vengono incrociati con i dati catastali dell’immobile al quale si riferiscono, altre informazioni che giungono dai Comuni riguardanti richieste di titoli abilitativi per la costruzione o la ristrutturazione edilizia, oppure richieste di certificati di agibilità, nonchè altri dati riguardanti, per esempio, le ristrutturazioni edilizie, i contratti di appalto delle pubbliche amministrazioni, le concessioni autorizzazioni e licenze, le iscrizioni, le variazioni e le cancellazioni da albi e registri, il possesso di navi e imbarcazioni da diporto, la stipula di contratti di assicurazione.
Una svolta, quella alla quale si faceva prima cenno, che, evidentemente, avrà il suo peso, sia nella lotta all’evasione, ma anche nelle abitudini dei cittadini, serrati in questo modo in una tela fiscale abbastanza stretta a cui, probabilmente, sottrarsi non sarà cosa facile, nemmeno per i contribuenti in regola in capo ai quali sarà ribaltato l’onere di provare la regolarità di molte delle attività che, normalmente, il cittadino comune compie ogni giorno.
Se da un lato, infatti, è abbastanza normale, ed evidentemente giusto, che il contribuente spieghi come abbia potuto effettuare acquisti in misura enormemente superiore al reddito dichiarato, dall’altro, appare eccessivamente pesante, per il cittadino corretto, essere chiamato a dare giustificazione di qualunque movimento di denaro “sospetto”, magari corrispondente ad un bonifico fatto o ricevuto a titolo di liberalità dal genitore o dal figlio, oppure all’acquisto di un bene voluttuario.
C’è il timore, in pratica, che questo nuovo strumento possa diventare una sorta di accertamento di massa, capace di colpire anche le minime ed innocenti incongruenze che, nella vita corrente, assumono carattere di assoluta fisiologia.
Potrebbe costituire un problema anche la “paura di spendere”, ossia il timore di alcuni cittadini di esporsi troppo col fisco, circostanza che può determinare una significativa contrazione dei consumi e, conseguentemente, un ulteriore ostacolo alle crescita economica del Paese.
Chi scrive, comunque, ritiene che in una situazione di crisi come quella attuale, trovare il giusto equilibrio tra pressione fiscale, contrasto all’evasione e misure per la crescita, non è cosa facile.
Per questo è auspicabile che, superata una prima fase di rodaggio e valutati i primi risultati di questa attività, vengano apportati i necessari correttivi volti a rendere maggiormente adeguata questa nuova forma di controllo, senza che si trascurino le altre forme di accertamento, principalmente quelle volte alla scoperta delle grandi evasioni.
Occorre confidare, comunque, nella capacità dell’Agenzia delle entrate di applicare il redditometro con grandissima attenzione e professionalità, cercando di percepire anche fattori che vanno anche al di là della documentazione esibita e di tenere sempre in debito conto della necessità di modulare la pretesa erariale caso per caso, specialmente in presenza di situazioni particolarmente gravi, sicuramente più frequenti in Sicilia ed in tutto il meridione d’Italia, dove da molto tempo si registrano elementi negativi come il pesante aumento della disoccupazione, la forte depressione dei consumi ed il sensibile aumento di sintomi di vera indigenza e povertà negli strati sociali meno abbienti, ma anche in quelli medi.

Il paradosso: i contribuenti più ricchi sfuggono più facilmente al fisco
Un paradosso del sistema attuale è che i contribuenti con volumi di reddito più alti possono sfuggire più facilmente alle incongruenze di valore relativamente non significativo. Per chi ha redditi molto elevati, infatti, l’acquisto “in nero” di un bene o di un servizio non determinerà alcuna incoerenza e, quindi, nessuna segnalazione, se il suo valore riesce comunque ad essere “coperto” dall’ammontare complessivo dei redditi dichiarati. Farà, invece, scattare la segnalazione se effettuato da un altro soggetto, meno facoltoso del primo perchè avente redditi effettivi bassi, per il quale anche un importo relativamente modesto è in grado di manifestare l’insufficienza di quanto dichiarato rispetto a quanto speso. In pratica, se un comune mortale compra una Ferrari potrebbe essere oggetto di attenzione del fisco; se la Ferrari la compra invece un altro contribuente, con redditi a sei zeri, l’acquisto probabilmente non farà scattare alcun sospetto, anche se quel signore “con sei zeri” ha evaso redditi altrettanto alti.
 
Salvatore Forastieri
Garante del Contribuente per la Sicilia

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