Diniego rimborso Iva per omessa presentazione del modello VR - QdS

Diniego rimborso Iva per omessa presentazione del modello VR

Salvatore Forastieri

Diniego rimborso Iva per omessa presentazione del modello VR

sabato 14 Dicembre 2013

Sul punto la giurisprudenza non è costante, mentre l’Agenzia delle Entrate è per l’interpretazione restrittiva. Cassazione: “Per la domanda basta la compilazione della dichiarazione annuale”

PALERMO – Il modello VR è attualmente uno dei tanti quadri della dichiarazione annuale Iva la quale, a sua volta, fa parte del modello Unico. In questo quadro il contribuente, che chiude l’anno con un credito d’imposta scegliendo di chiederne il rimborso, evidenzia il diritto alla restituzione dell’imposta con il conto fiscale ed attraverso l’agente della Riscossione.
Prima del 2011, il VR era un quadro separato, un modello apposito, che andava presentato non all’Agenzia delle Entrate, ma direttamente all’Agente della Riscossione.
Capitava spesso, così, che il contribuente, che alla fine dell’anno voleva chiedere il rimborso dell’Iva, pur avendo evidenziato chiaramente la sua scelta di ottenere il rimborso (e non la computazione in detrazione nell’anno successivo) nel rigo RX della dichiarazione annuale regolarmente presentata, dimenticava di produrre il modello VR.
Quando se ne accorgeva, consegnava all’Agente della riscossione il famigerato modello, ma l’Agenzia delle Entrate, se erano trascorsi più di due anni dalla presentazione della dichiarazione, negava il suo diritto al rimborso.
Il motivo del diniego da parte dell’Agenzia delle Entrate non nasce dal disconoscimento del credito in se, ma è legato a una discutibile interpretazione della disposizione contenuta nell’art.21, secondo comma, del D.lgs 546/94, ossia la normativa sul contenzioso tributario. Tale disposizione stabilisce che “il ricorso avverso il rifiuto tacito della restituzione di cui all’art. 19, comma 1, lettera g, può essere proposto dopo il novantesimo giorno dalla domanda di restituzione presentata entro i termini previsti da ciascuna legge d’imposta e fino a quando il diritto alla restituzione non è prescritto. La domanda di restituzione, in mancanza di disposizioni specifiche, non può essere presentata dopo due anni dal pagamento, ovvero, se posteriore, dal giorno in cui si è verificato il presupposto per la restituzione”.
L’Agenzia, quindi, considera il credito IVA risultante dalla dichiarazione annuale come un tributo indebitamente pagato, la cui restituzione può essere chiesta, però, a pena di decadenza, entro il termine biennale prima citato.
Tale interpretazione, però, non sembra corretta. Secondo la dottrina ed una grossa parte della giurisprudenza, infatti, nel caso del rimborso IVA nascente da dichiarazione, il credito non può essere considerato “imposta indebitamente pagata”, per cui per pagamento si applica soltanto il normale termine di prescrizione decennale previsto dal codice civile.
Il normale rimborso IVA, infatti, è quello che nasce attraverso il normale meccanismo impositivo dell’imposta, un sistema il quale, durante l’anno, può anche rendere dovuti dei versamenti e poi, al 31 dicembre, in sede di liquidazione annuale, fare emergere un credito, computabile in detrazione nell’anno successivo, compensabile oppure rimborsabile. In questo caso, pertanto, non si è assolutamente in presenza di un “pagamento indebito” che ricade nell’ipotesi del secondo comma dell’art.21 della normativa sul contenzioso tributario, bensì in un credito fisiologicamente generato dal sistema di detrazione dell’IVA.
C’è da dire, pure che, in base a quanto previsto dal secondo comma dell’art.6 della legge 212/2000, “l’amministrazione deve informare il contribuente di ogni fatto o circostanza a sua conoscenza dai quali possa derivare il mancato riconoscimento di un credito ovvero l’irrogazione di una sanzione, richiedendogli di integrare o correggere gli atti prodotti che impediscono il riconoscimento, anche parziale, di un credito.”. Quindi, piuttosto che ritenere il contribuente decaduto dal diritto al rimborso, l’Ufficio, venuto a conoscenza del credito IVA chiesto a rimborso in dichiarazione (Rigo VX – RX) e della mancata presentazione del modello VR, avrebbe dovuto informare il contribuente creditore interessato ed invitarlo a rimuovere l’ostacolo che impediva l’effettuazione del pagamento. Sarebbe stato questo il comportamento che l’Amministrazione Finanziaria avrebbe dovuto adottare, conforme ai principi previsti dallo Statuto dei diritti del contribuente.
È importante ricordare ancora che ostacolare il diritto alla detrazione dell’IVA per un motivo assolutamente formale, come quello che l’Amministrazione Finanziaria porta avanti, costituisce sicuramente una violazione del principio della neutralità dell’Iva, sancito e rigorosamente imposto dall’Unione Europea, principio che viene intaccato anche quando viene impedita, ad un soggetto passivo, la restituzione dell’imposta pagata “a monte”, ossia quella a lui addebitata in fattura dai suoi fornitori.
Come già detto, però, la giurisprudenza non è stata costante e qualche volta ha confermato l’interpretazione dell’Agenzia delle Entrate.
Ora, però, si registra un’altra sentenza della Corte di Cassazione, la n. 21993 del 25 settembre 2013, la quale, perfettamente in linea con altre precedenti sentenze della stessa Corte, si pone in maniera netta contro la tesi dell’Amministrazione Finanziaria sostenendo che “la domanda di rimborso dell’Iva o di restituzione del credito di imposta maturato dal contribuente debba ritenersi già presentata con la compilazione, nella dichiarazione annuale, del quadro relativo al credito, analogamente a quanto avviene in materia di imposte dirette”. Ciò comporta che “una volta manifestata in dichiarazione la volontà di recuperare il credito d’imposta, il diritto al rimborso, pure in difetto dell’apposita, ulteriore domanda, può considerarsi assoggettato al termine ordinario di prescrizione decennale”.
Speriamo che l’Agenzia delle Entrate si decida a cambiare il proprio orientamento in questa materia, evitando la prosecuzione di numerosissime controversie già instaurate e che, molto probabilmente, si concluderanno in maniera favorevole al contribuente dopo averlo costretto, però, a difendersi in Commissione tributaria con notevolissimi costi, non solo economici.

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