Tremonti finge di combattere l’evasione - QdS

Tremonti finge di combattere l’evasione

Carlo Alberto Tregua

Tremonti finge di combattere l’evasione

giovedì 17 Settembre 2009

Revocare la banche nei paradisi fiscali

È un periodo che il ministro dell’Economia se la prende con il sistema bancario perché si rifiuta di comprare i Tremonti-bond, che costano il 7,5 per cento. Lamenta, Tremonti, che non finanziandosi con lo strumento statale la banca non abbia ossigeno finanziario per potere a sua volta sostenere la richiesta di credito da parte del sistema-impresa.
D’altra parte, le banche italiane hanno difficoltà a finanziarsi con il costo citato e impiegare a un tasso minore. Esse dimenticano che la disponibilità dello Stato italiano a fornire liquidità, seppur al tasso del 7,5% è conseguente ai “buchi” relativi alle insolvenze dei crack internazionali di cui gli istituti di credito italiani possedevano azioni e obbligazione.
Le insolvenze conseguenti hanno depauperato il capitale delle banche e, in attesa che nuovi utili lo ricostituiscano, è lecito aspettarsi che non venga stretto il collare dei finanziamenti a scapito della necessità delle imprese di fare nuovi investimenti e di aumentare il proprio volume di affari.

L’Agenzia delle entrate, condotta dal direttore generale Attilio Befera, e la Guardia di finanza, guidata dal generale Cosimo D’Arrigo, nostro conterraneo, hanno stretto le maglie sull’evasione, anche in collaborazione con le parallele strutture di Stati esteri, in modo da tentare di ottenere informazioni attraverso le rogatorie.
Tuttavia, a fronte delle iniziative internazionali, bisogna sottolineare che la polpa dell’evasione è in Italia. Notizia di questi giorni è che in Sicilia i consumi superano l’Iva (la distanza fra spese e redditi sfiora il 40 per cento), dimostrazione immediata e palese della forte evasione di questo tributo.
Se viene evasa l’Iva, significa che viene nascosto il volume d’affari e quindi vengono evase le relative imposte dirette (Ires, Irap e Irpef). C’è quindi materia imponibile da fare emergere in una quantità stimata da molti osservatori nella misura di cento miliardi di euro.

 
La maggiore evasione fiscale, però, non è nel Meridione. Per la semplice ragione che esso contribuisce al Pil nazionale per circa il 25 per cento. L’evasione è maggiore ove c’è un grande volume d’affari, e quindi in tutte le Regioni del Nord Italia. Sembra strano che la Lega su questo punto taccia, forse perché le conviene favorire gli evasori, che la votano anche per questo indebito vantaggio.
Se c’è nero nella vendita finale di componentistica, oggetti domestici, mobili e via enumerando, la filiera illegale comincia dalla fabbrica. Diversamente, nel punto terminale non esisterebbe. Come infatti non esiste nella produzione e distribuzione di autoveicoli, della loro assistenza e ricambistica. Una maggiore evasione è nei servizi, ove non ci sono oggetti materiali che devono essere trasportati, per non parlare della vendita al dettaglio, visto che non tutti i negozi marcano gli scontrini.
L’articolo unico più volte suggerito di fare inviare telematicamente in tempo reale copia delle fatture e degli scontrini emessi all’Agenzia delle entrate viene ignorato. E questo la dice lunga.

Ci chiediamo perché i vari Governi degli ultimi trent’anni abbiano ignorato il fenomeno della immensa evasione che tanti imprenditori e cittadini italiani possono conseguire con la connivenza delle banche della Repubblica di San Marino. Il sistema economico del Titano poggia proprio sull’evasione fiscale italiana.
L’evasione fiscale ha anche localizzazione nei cosiddetti paradisi fiscali. La stranezza è che le banche italiane, come Unicredit (presente nelle Isole Cayman o a Honk Kong) o Intesa San Paolo (nella Grand Cayman), hanno le loro filiali in tali paradisi fiscali. Né il ministero dell’Economia, né la Banca d’Italia hanno spiegato all’opinione pubblica il motivo per cui debbano avere lì le loro sedi. Sarebbe stato invece comprensibile che Tremonti e Draghi avessero obbligato tali istituti a chiudere le loro filiali nei paradisi fiscali.
In questo quadro interviene la Tremonti-ter, cioè lo scudo fiscale che consentirà il rientro in Italia di un importo stimato in cento miliardi di euro, con l’incasso di cinque miliardi per il ministero dell’Economia. Fanno bene, Guardia di finanza e Agenzia delle entrate, ad attivare una pressione perché l’operazione raggiunga il suo target.

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