La funzione sociale dell’informazione - QdS

La funzione sociale dell’informazione

Carlo Alberto Tregua

La funzione sociale dell’informazione

martedì 31 Dicembre 2013

Primaria responsabilità dei giornalisti

In questi giorni di consuntivi pensavo all’incontro che ebbi nel 1983 con Sandro Pertini, in una delle prime interviste-forum di una collana che ha superato in questi giorni le 2.600 unità.
Pertini era un uomo integerrimo e mi ricordò, anche in quell’occasione, che lui aveva stima solo dei giornalisti con la schiena dritta. Infatti, anche in quei tempi, c’erano i giornalisti a quattro piedi o con la mano tesa a chiedere favori ai potenti di turno.
Pertini mi intrattenne anche sulla Funzione sociale dell’informazione, cioè uno strumento essenziale perché i cittadini conoscano e capiscano. Uno strumento essenziale anche per la loro formazione.
Formazione e informazione vanno di pari passo, a condizione che quello che si scrive sui giornali e che si dice nelle televisioni consenta di offrire ai lettori e agli ascoltatori un quadro completo e obiettivo, senza alcuna compiacente omissione e, meno che mai, senza alcuna falsità che tenda ad intossicare chi legge.

In questo ultimo editoriale dell’anno (3.748°), intendo soffermarmi brevemente sul titolo indicato: La funzione sociale dell’informazione. Come fanno i cittadini a capire cosa accade? E soprattutto come fanno a capire quali siano le cause degli effetti che vedono ogni giorno? Chi siano i responsabili di quegli effetti, nel bene e nel male? 
I giornalisti, dunque, hanno la primaria responsabilità di spiegare in modo semplice gli eventi, così chi ascolta o chi legge è in condizione di farsi una propria opinione e di comportarsi di conseguenza.
Non basta, i cittadini dal loro canto, debbono essere parte attiva dell’informazione. Non solo riceverla, ma andarsela a cercare. Dove? Sulla carta stampata in primis, che mantiene inalterato il suo fascino e la sua utilità perché resta nelle case, nei salotti, negli studi professionali, nelle imprese, nelle pubbliche amministrazioni. E poi nei siti web e in quei canali radiotelevisivi che la riproducono 24 ore su 24.
Questo può sembrare noioso, ma non si diventa bravi cittadini se non si è consapevoli di quello che accade intorno a sé e se non si individuano i responsabili della Cosa pubblica, ma anche i lobbisti e tutti gli altri che fanno muovere le cose in vicende spesso poco commendevoli.

 
I quotidiani hanno una primaria responsabilità nell’informazione. Purtroppo in questi ultimi dieci anni si sono trasformati in contenitori la cui informazione proviene da agenzie, da siti web ed altre fonti.
Ma vediamo pochi giornalisti che consumano la suola delle scarpe e il dito indice, necessario a suonare i campanelli, con l’intenzione di andarsi a cercare le informazioni con gli opportuni approfondimenti, mediante l’indispensabile investigazione giornalistica senza della quale non è possibile formulare adeguate inchieste.
È proprio questo il cuore della faccenda: formulare inchieste giornalistiche che evidenzino i retroscena e facciano capire meglio ai cittadini le vicende trattate spesso in modo superficiale.
Solo facendo bene il proprio mestiere, con rispetto della Carta dei doveri del giornalista, si assolve il compito primario di far assumere all’informazione la funzione sociale che deve avere. Senza di essa, la Comunità è priva di elementi di valutazione.

Con oggi, anche il 2013 se ne va. Crediamo che il 2014 sarà migliore di questo, anche per la elementare ragione che peggio dell’anno che muore è difficile che ve ne sia un altro.
Tutto il Paese è in condizioni di imbarcarsi sul treno della ripresa, a patto che si facciano, nei prossimi sei mesi, le riforme indispensabili a mettere in moto l’economia, destinandovi adeguate risorse.
Da dove prenderle, visto che il perimetro della spesa pubblica è invalicabile? La risposta ormai è sulla bocca di tutti: tagliare i privilegi di corporazioni e caste, che per molti decenni hanno consumato indebitamente risorse pubbliche. Ogni casta che subirà i tagli dirà sempre che essi debbano partire da altre caste. Ognuna di esse si lamenterà così di essere penalizzata.
Quale deve essere il metro che fa capire cosa è lecito tagliare e cosa no? La risposta è limpida: l’interesse generale. Per ogni taglio, occorre porsi la domanda: la spesa serve l’interesse particolare o quello generale? La risposta sarà evidente e senza equivoci. 
Auguri!

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