Ultimi giorni per abolire le Province, quanto tempo sprecato - QdS

Ultimi giorni per abolire le Province, quanto tempo sprecato

Antonio Leo

Ultimi giorni per abolire le Province, quanto tempo sprecato

mercoledì 29 Gennaio 2014

Il 15 febbraio suonerà la campana per il governo Crocetta: se la riforma non verrà approvata dall'Ars si tornerà al voto. Cronistoria di nove mesi persi inutilmente

“Tutto il Paese guarda il modello politico della Sicilia e magari da qui ripartirà una nuova Italia”, dichiarava poco meno di un anno fa Rosario Crocetta all’Arena di Massimo Giletti. Negli studi televisivi della Rai il presidente della Regione aveva annunciato l’abolizione delle Province in Sicilia. In realtà la promessa potrebbe diventare una bugia, in quanto gli Enti intermedi sono rimasti là dov’erano, retti da commissari straordinari nominati a Palermo.
 
E ora i giorni a disposizione del Governo siciliano – e della traballante maggioranza che lo sostiene – per abolire le Province sono pochissimi. A dirla tutta, siamo già fuori tempo massimo dallo scorso 31 dicembre 2013.
 
Almeno così recita l’articolo 1 della Legge regionale 7/2013 che ha, per l’appunto, stabilito l’iter di conversione dei vituperati Enti in liberi Consorzi dei Comuni (nonché l’istituzione di tre Città metropolitane a Palermo, Catania e Messina).
“Entro il 31 dicembre 2013 la Regione, con propria legge, in attuazione dell’articolo 15 dello Statuto speciale della Regione siciliana, disciplina l’istituzione dei liberi Consorzi comunali per l’esercizio delle funzioni di governo di area vasta, in sostituzione delle Province regionali”.
 
La suddetta riforma, però, non è mai approdata al Parlamento siciliano, nonostante dalla pubblicazione della Legge regionale 7 nella Gurs (la Gazzetta ufficiale della Regione siciliana), avvenuta il 29 marzo scorso, alla fine dell’anno siano passati nove mesi (nove!).
 
Ritornano, dunque, le Province? Non ancora, forse no. Il Governo, infatti, ha una finestra di tempo fino al 15 febbraio, dopodiché sarà inevitabile la convocazione dei comizi elettorali per rinnovare gli organismi consultivi (presidente, giunta e consiglieri provinciali: istituzioni che, si badi bene, non sono state abolite, ma “commissariate” in attesa del nuovo assetto). Due settimane scarse per approvare un riforma strutturale, destinata a cambiare gli equilibri geo-politici dell’Isola. E tra l’altro in un momento tutt’altro che sereno: Rosario Crocetta e l’assessore all’Economia, Luca Bianchi, sono volati questa mattina a Roma per fronteggiare la bocciatura della Finanziaria da parte del Commissario dello Stato, in virtù della quale risultano bloccati oltre 550 milioni di euro con migliaia di dipendenti e pensionati regionali che rischiano di restare senza stipendi.
 
Cronistoria di una riforma impossibile.
 
Il primo testo deliberato dalla Giunta regionale, e depositato all’Ars il 17 settembre, prevedeva una soglia generica per la Costituzione dei Liberi Consorzi, che dovevano essere costituiti da un numero di Comuni tali per cui la popolazione “non possa essere inferiore alla soglia dei 150.000 abitanti e superiore ai 500.000 abitanti”. Il Consiglio dei liberi Consorzi, per farla breve, sarebbe stato composto da tutti i sindaci dei Comuni aderenti e da due consiglieri per Comune (di cui uno della minoranza). A sua volta il presidente sarebbe stato eletto tra i primi cittadini della “libera” assise. Onde evitare che i Consorzi si trasformassero in nuovi centri di spesa, nel primo ddl, era previsto anche la gratuità della carica.
 
Il 18 settembre la Giunta presentava anche un progetto per la costituzione delle Città metropolitane: in tutto tre, cioè Palermo, Catania e Messina. Quest’ultimo ddl fece scoppiare una marea di polemiche, perché la Giunta aveva stabilito "d’ufficio" i Comuni che inizialmente avrebbero fatto parte delle “metropoli”. Per esempio alla Città dell’Elefante sarebbe stata accorpata Acireale, cosa che ha fatto letteralmente sobbalzare dalle sedie molti cittadini dell’acese.
 
La discussione, nel frattempo, si è arenata fino a un nuovo ddl, presentato l’8 novembre, che non si discosta molto dal precedente.
Passa tempo e alla fine di dicembre, con l’acqua alla gola, la Giunta presenta all’Assemblea un testo per prorogare di sei mesi, fino al 30 giugno, il commissariamento delle Province. Richiesta respinta. E così si arriva ai giorni nostri: proprio in queste ore l’assessore alle Autonomie locali, Patrizia Valenti, sta discutendo in commissione Affari istituzionali dell’ultimo progetto di riforma.
 
La maggioranza a umori variabili che sostiene il Governo avrebbe trovato un accordo di massima per la costituzione di nove Liberi Consorzi in corrispondenza delle attuali Province e le tre Città metropolitane di Palermo, Catania e Messina. I Comuni minori, che gravitano attorno a questi grandi Centri, potranno dunque scegliere se associarsi in Consorzi oppure entrare nell’alveo metropolitano.
 
Il testo governativo concede, inoltre, ai Comuni di istituire nuovi Liberi Consorzi (in aggiunta ai nove) ma dovranno farlo entro 6 mesi dalla riforma. Questi Consorzi “eventuali” dovranno rispettare comunque un limite di abitanti tra 150 e 350 mila (limite superiori è stato dunque abbassato rispetto ai precedenti progetti). La riforma conferma l’elezione di secondo livello dei componenti dei Liberi Consorzi (un’esponente di maggioranza e uno di opposizione).
 
Ieri, intanto la prima commissione ha approvato due articoli, il 7 e l’8. Il primo riguarda l’istituzione delle tre città metropolitane di Palermo, Catania e Messina. Il secondo riguarda le modalità di adesione a una di queste “metropoli”. Sebbene Rosario Crocetta abbia subito parlato di “grandi passi avanti”, in realtà ancora non è stato fatto nulla. Il provvedimento, a meno di clamorose sorprese, passerà l’esame in Commissione. Ma la vera sfida sarà all’Assemblea regionale siciliana, dove il governo per la proroga dei commissari ha già incassato una sconfitta.
 
Ma c’è anche chi le vuole tenere in vita.
 
In merito alle Province, non c’è solo il disegno di legge governativo. Seppure abbia poche possibilità, lo scorso novembre Nello Musumeci e altri deputati dell’opposizione hanno presentato un testo che va in senso totalmente opposto. Il ddl Musumeci prevede, infatti, lo stop all’istituzione dei liberi Consorzi dei Comuni e il ritorno al voto, con il rinnovo degli organi elettivi delle Province da fissare tra il 15 aprile e il 30 giugno.
 
Per quanto riguarda i risparmi, secondo il disegno di legge presentato dal presidente della commissione Antimafia, nelle Province con popolazione inferiore ai 500 mila abitanti sono previsti 15 consiglieri e 4 assessori, in quelle superiori a 500 mila abitanti il consiglio sarà costituito da 20 componenti, mentre in Giunta potranno essere nominato solo sei assessori.
 
“L’indennità – ha spiegato Musumeci – è sostanzialmente un rimborso spese per di più legato alla partecipazione ai lavori del Consiglio provinciale”. In particolare il ddl Musumeci prevede per il presidente della Provincia un’indennità di carica 2.500 euro lordi mensili e per gli assessori di Euro 1.500,00. "I consiglieri provinciali", invece, "hanno diritto ad una indennità, stabilita con decreto del Presidente della Regione, da calcolarsi in rapporto all’effettiva partecipazione alle riunioni degli organi istituzionali di cui fanno parte".

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