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Palermo – Suolo pubblico: caos e polemiche. A rimetterci sono i commercianti

Gaspare Ingargiola

Palermo – Suolo pubblico: caos e polemiche. A rimetterci sono i commercianti

sabato 08 Febbraio 2014

Intanto continuano i controlli della Polizia municipale, ma sui sequestri è arrivato lo stop della Procura. Scontro tra Giunta e Consiglio comunale sul nuovo regolamento da adottare

PALERMO – Gazebo caos. L’aggiornamento della disciplina che regola l’occupazione del suolo pubblico a Palermo è ormai finito dentro un frullatore di novità e smentite, scontri istituzionali e interventi della Procura, sanzioni prima comminate e poi ritirate. A farne le spese sono i commercianti, che piangono l’incertezza normativa e hanno già avviato, dicono, i primi licenziamenti.
Tutto nasce dal durissimo scontro politico tra ormai gran parte del Consiglio comunale e l’assessore alle Attività produttive, Marco Di Marco. Scontro del quale non si riesce a venire a capo e che ha bloccato ancora una volta la trattazione della delibera a Sala delle Lapidi, rinviandola alla prossima settimana. Di fatto l’Assise non si decide neppure a prelevarla perché esistono in questo momento due bozze di regolamento, una predisposta dagli uffici comunali e una presentata dalla II Commissione presieduta da Paolo Caracausi (di Idv, il partito abbandonato dal sindaco Leoluca Orlando per fondare il Movimento 139), e attorno alle due proposte si è scatenato un braccio di ferro fra l’assessore e i consiglieri.
La bozza di Di Marco è più restrittiva e consente di sostituire i gazebo con i dehors per sei mesi l’anno con rinnovo annuale della concessione. Quella di Caracausi assegna concessioni triennali e dehors installati tutto l’anno. Qualcuno ipotizza che alla fine una sintesi si potrà trovare soltanto se le due parti faranno un passo indietro e accoglieranno il compromesso costituito da un terzo documento.
Non è la prima volta che Di Marco si trova al centro di un provvedimento controverso che provoca i malumori del Consiglio. Era già successo in occasione della famosa ordinanza sulla movida, con tanto di ricorso al Tar dei ristoratori, del regolamento sulle motocarrozzette, emendato a più riprese (anche qui, ricorso al Tar dei tassisti), e, più di recente, della nuova disciplina sulla pubblicità, che tanto ha fatto discutere quando una ditta ha piazzato i suoi cartelloni sul prospetto della Cattedrale ma che non è ancora arrivato in aula. Già alcuni gruppi, come l’Udc, chiedono le dimissioni dell’assessore, che dal canto suo auspica che “si arrivi alla soluzione di una delibera condivisa”.
Di fatto, però, un terzo regolamento allungherebbe i tempi mentre gli imprenditori aspettano una risposta e le multe ai loro danni fioccano. Non solo, anche la III Commissione, competente su Annona e Mercati, ha fatto richiesta di consultare il testo e di esprimere un parere, pur non essendo obbligatorio, e questo farà slittare ulteriormente i lavori.
A novembre è scaduta anche l’ultima proroga che il Comune ha concesso per dare il tempo ai titolari di smontare i gazebo, che un domani saranno sostituiti da sedie, tavolini e ombrelloni. La Polizia municipale ha già controllato una trentina di locali e ai trasgressori ha elevato le prime pesanti contravvenzioni (468 euro) e ha ordinato la conseguente chiusura per cinque giorni. In due casi ha perfino apposto i sigilli alle strutture esterne, ma due giorni fa si è registrato un vero colpo di scena: la Procura ha ordinato il dissequestro del gazebo di un locale di via San Lorenzo perché secondo i magistrati non c’è reato penale ma solo infrazione amministrativa. Sono valide le multe, sono validi i cinque giorni di chiusura, ma non si possono apporre i sigilli né ci sarà processo ed eventuale condanna. Questo per un motivo molto semplice: i gazebo erano stati autorizzati a suo tempo dalla precedente amministrazione e pertanto non c’è intento criminoso nella loro costruzione.
Proprio da questa contraddizione nasce il malcontento dei commercianti, che hanno occupato il suolo pubblico su precisa concessione e hanno assunto nuovi dipendenti grazie alla crescita dell’esercizio, anche se qualcuno si è allargato costruendo vere e proprie “casette”, già vietate per sentenza dal Consiglio di Stato. Ora è possibile che molti di loro, grazie all’interpretazione dei pm, facciano ricorso nella speranza di evitare dolorosi licenziamenti

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