Aumentano i papà in congedo, ma Sicilia ancora lontana dall’Ue - QdS

Aumentano i papà in congedo, ma Sicilia ancora lontana dall’Ue

Liliana Rosano

Aumentano i papà in congedo, ma Sicilia ancora lontana dall’Ue

martedì 11 Febbraio 2014

La chance è fruibile dai genitori naturali entro i primi 8 anni del figlio per un periodo massimo di 10 mesi. Inps: nell’Isola sono meno di 1 su 3 coloro che beneficiano di questa possibilità

PALERMO – Una volta erano goffi e imbranati tra pannolini e carrozzine. I papà del nuovo millennio ci hanno messo un po’ per riscattarsi dallo stereotipo che li vedeva impauriti e sprovveduti alle prese con i propri bambini.
Oggi sono sicuri e si destreggiano con nonchalance portando fasce bebè e spingendo carrozzine al parco.
Sarà perché l’uomo cambia faccia o identità ma reinventandosi si riscopre mammo.
A tracciare questa evoluzione socio-antropologica ci aiutano gli ultimi dati Inps 2012 sui congedi parentali.
In Sicilia, sono stati tremila i papà che hanno deciso di rimanere a casa e occuparsi dei piccoli su un totale di 10 mila congedi parentali richiesti. Dati significativi anche se in Italia i papà-sitter più numerosi sono quelli laziali (con oltre cinquemila richieste di congedi parentali e quelli della Lombardia).
Una evoluzione lenta ma che sembra essere destinata a crescere.
In Italia, se nel 2008 ai maschi è andato solo il 7% dei congedi parentali, nel 2012 la percentuale è salita al 10%. Certo non basta: quasi sempre, cioè in 9 casi su 10, sono le donne a chiedere il congedo, rinunciando così a buona parte del proprio reddito.
Siamo però lontani dalla media europea che è del 30 per cento. Per non parlare della Svezia dove si arriva al 69% e della Finlandia con il 59%. A chi spetta il congedo parentale? Secondo l’Inps alla madre lavoratrice dipendente, per un periodo continuativo o frazionato non superiore a 6 mesi; al padre lavoratore dipendente, per un periodo continuativo o frazionato non superiore a 6 mesi, elevabile a 7, dalla nascita del figlio, se lo stesso si astiene dal lavoro per un periodo non inferiore a 3 mesi; al padre lavoratore dipendente, anche durante il periodo di astensione obbligatoria della madre (a decorrere dal giorno successivo al parto), e anche se la stessa non lavora.
In poche parole, il congedo parentale compete, in costanza di rapporto di lavoro, ai genitori naturali entro i primi 8 anni di vita del bambino per un periodo complessivo tra i due non superiore a 10 mesi.
Per i primi 3 anni di età del bambino per un periodo massimo complessivo (madre / padre) di 6 mesi, l’importo del congedo sarà pari al 30% della retribuzione media giornaliera calcolata considerando la retribuzione del mese precedente. Dai 3 anni e un giorno agli 8 anni di età del bambino, nel caso in cui i genitori non ne abbiano fruito nei primi 3 anni, o per la parte non fruita, il congedo verrà retribuito al 30% solo se il reddito individuale del genitore richiedente risulti inferiore a 2,5 volte l’importo annuo del trattamento minimo di pensione.
Intanto anche in America le cose stanno cambiando. Alcune settimane fa, il New York Times ha dedicato un approfondimento al fenomeno dei papà che rimangono a casa lasciando le donne a lavorare. Non proprio congedo parentale ma una decisione radicale di lasciare il proprio lavoro e rimanere a casa lasciando alle moglie l’arduo compito di diventare businesswoman. Crisi d’identità, evoluzioni della specie? Diverse le scuole di pensiero. Una cosa è certa. I papà sembrano a loro agio in questa nuova veste.

Istruzioni per l’uso: la domanda va fatta all’Inps prima del periodo richiesto

Per chi vuole iniziare l’avventura del congedo parentale, è necessario inoltrare la domanda attraverso il sito dell’Inps o attraverso i patronati che vi assisteranno nella compilazione on line.
La domanda telematica va inoltrata prima dell’inizio del periodo di congedo richiesto; qualora sia presentata dopo, saranno pagati solo i giorni di congedo successivi alla data di presentazione della domanda. Per le lavoratrici e i lavoratori dipendenti, l’indennità è anticipata dal datore di lavoro tranne in casi particolari in cui è pagata direttamente dall’Inps (operai agricoli a tempo determinato, lavoratori stagionali a termine, lavoratori dello spettacolo a tempo determinato). Per le lavoratrici e i lavoratori iscritti alla Gestione separata e per le lavoratrici autonome il pagamento è effettuato direttamente dall’Inps.
Se l’Inps non provvede al pagamento entro un anno dalla fine del periodo indennizzabile, il diritto si prescrive; il termine di prescrizione si interrompe se il richiedente presenta all’Inps atti scritti di data certa (richieste scritte di pagamento, solleciti e così via).

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