Raffaele Lombardo, dall'altare alla polvere - QdS

Raffaele Lombardo, dall’altare alla polvere

redazione

Raffaele Lombardo, dall’altare alla polvere

giovedì 20 Febbraio 2014

Ascesa e caduta dell'ex presidente della Regione siciliana a partire dal 2005, quando lanciò il Movimento per l'Autonomia. La condanna a 6 anni e 8 mesi sarà sospesa dall'appello contro la sentenza di primo grado

Dall’altare alla polvere: guardare la vicenda giudiziaria di Raffaele Lombardo è come riavvolgere la pellicola del film di Totò Cuffaro, suo predecessore alla guida della Presidenza della Regione siciliana e condannato in via definitiva a sette anni di reclusione per favoreggiamento alla mafia (che dal 2011 sta scontando nel carcere romano di Rebibbia).
 
Lontano, anzi lontanissimo, sembra quel 2005 in cui l’allora presidente della Provincia di Catania presentava il suo Movimento per l’Autonomia, partito che avrebbe avuto il battesimo del fuoco alle elezioni comunali dello stesso anno. Il successo delle liste autonomiste fu strepitoso, con un dato aggregato intorno al 20 per cento, e di fatto determinò la vittoria di Umberto Scapagnini ai danni di Enzo Bianco (che soltanto l’anno scorso è riuscito a tornare a Palazzo degli Elefanti).
 
Tempi d’oro, dicevamo, che aprirono al Movimento di Lombardo le porte delle Istituzioni che contano. Il partito in poco tempo si espande, fa incetta di amministratori locali sia a destra che a sinistra, proclamandosi equidistante dai due poli (“Non ci facciamo legare mani e piedi”, ripeteva come una mantra Raffaele alla stampa). Fino a quando nel 2008, per superare lo sbarramento elettorale, Lombardo cede all’abbraccio con la Lega Nord e Silvio Berlusconi. La coalizione vince con il 46,81% dei voti alla Camera e con il 47,32% dei voti al Senato e il Mpa manda a Roma una pattuglia di otto deputati e due senatori. È in predicato più volte di diventare ministro del governo Berlusconi.
 
Ma nell’aprile del 2008, ecco il colpo di scena, l’occasione che non ti aspetti: dopo le dimissioni di Salvatore Cuffaro per problemi giudiziari, Raffaele Lombardo diventa il candidato della coalizione del Centrodestra per la Presidenza della Regione (dopo il passo indietro di Gianfranco Micciché). E’ eletto presidente con il 64% delle preferenze, avendo la meglio sulla senatrice del Pd Anna Finocchiaro. In quattro anni vara diversi governi regionali. Nel settembre del 2010 cambia la maggioranza che lo sostiene, e forma un governo con 12 assessori tecnici e d’area del Pd. Il 31 luglio del 2012, indagato dalla Procura di Catania nell’inchiesta Iblis per presunti rapporti con esponenti di Cosa nostra che lo avrebbero appoggiato in cambio di voti, si dimette dall’incarico di governatore e successivamente annuncia il ritiro dalla vita politica.
 
Oggi.
Il Gup della Procura di Catania, Marina Rizza, ha condannato l’ex governatore a sei anni e otto mesi di reclusione per concorso esterno all’associazione mafiosa, che assorbe anche il reato elettorale con Cosa nostra, e proscioglimento per l’ipotesi di voto di scambio con il clan Cappello.
 
Il Giudice per le udienze preliminari ha anche disposto per Raffaele Lombardo le pene accessorie: un anno di libertà vigilata e l’interdizione perpetua dai pubblici uffici, oltre il pagamento delle spese processuali. La condanna a sei anni e otto mesi e le pene accessorie saranno sospese dall’appello che gli avvocati hanno annunciato presenteranno contro la sentenza, che per diventare esecutiva deve essere definitiva.
 
"Sono di una serenità infinita – ha dichiarato Lombardo dopo la lettura del dispositivo – mi aspettavo questa sentenza, non ne aspettavo una diversa perché non pensavo che una persona, il giudice, oltre che onesta, per bene, imparziale, indipendente, potesse avere un coraggio sovrumano da schierarsi con una sentenza di assoluzione".
 
"Che pure – ha continuato l’ex presidente – sarebbe stata aderente ai fatti, anche contro una Procura che con il 50% dei suoi componenti della Dda è venuta anche plasticamente a dimostrare la sua posizione nel processo, contro la grande stampa, che chiaramente ha determinato un giudizio preventivo nell’opinione pubblica, contro un sistema politico i cui interessi torbidi ho intaccato". 
 
Di tutt’altro avviso Giovanni Salvi, procuratore di Catania: "Oggi è avvenuto un fatto storico – ha detto il magistrato – si ha per la prima volta la condanna per concorso esterno in associazione mafiosa per un presidente della Regione siciliana. Frutto di un lavoro importante che ha avuto anche collaboratori importanti a sostegno dell’accusa".
 

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