Province, si va avanti per tentativi - QdS

Province, si va avanti per tentativi

Antonio Leo

Province, si va avanti per tentativi

venerdì 21 Febbraio 2014

Riepilogo di quanto è successo all'Assemblea regionale siciliana negli ultimi giorni. Gli articoli approvati fino ad ora, il destino delle Città metropolitane e il rischio di una riforma "mostro"

Soltanto due gli articoli approvati fino ad ora e tanta, tantissima confusione. La riforma delle Province regionali sta diventando una farsa, una sorta di sfida a scacchi tra l’opposizione e la non-maggioranza di Rosario Crocetta. Una partita in cui, fino a questo momento, gli unici sconfitti sono i siciliani.
 
Prima ci avevano detto – e mica a parole, con la legge regionale 7 del 2013 – che i vituperati Enti intermedi sarebbero andati in soffitta entro il 31 dicembre scorso. Poi, visto che la Giunta era in clamoroso ritardo rispetto alla tabella di marcia (l’Ars non si è potuta esprime su alcunché), è stato fissato un nuovo termine: il 15 febbraio. Se entro questo termine il Parlamento siculo non avesse approvato il testo governativo, sarebbero stati convocati i comizi elettorali per il rinnovo degli organi politici (in altre parole i cittadini sarebbero tornati al voto in tarda primavera per scegliere presidenti e consiglieri provinciali).
 
Scade anche il 15 febbraio e le Province sono ancora in piedi. Anzi, il Governatore – nonostante i deputati regionali abbiano bocciato a dicembre la proroga del commissariamento – firma i decreti di nomina dei nuovi commissari (proprio questa mattina si è insediato a Trapani l’ex pm Antonino Ingroia). Si torna a votare? No, “c’è ancora tempo”. Un mare di tempo, assicura l’assessore alle Autonomie locali, Patrizia Valenti. Fino al 15 aprile, in quanto per convocare le elezioni – qualora l’Assemblea regionale dovesse bocciare la riforma – basterebbero 60 giorni: così si andrebbe al voto il 15 giugno con eventuale ballottaggio il 30, “l’ultima data utile” per entrare in cabina elettorale. La sensazione è che le regole si interpretano di volta in volta.
 
Intanto, come dicevamo all’inizio, l’Ars va avanti a passo di lumaca, tra dispetti e blitz improvvisi. Crocetta non ha alcuna intenzione di tornare da Massimo Giletti a mani vuote (da lui, all’Arena, dichiarò entusiasta “Abbiamo abolito le Province!”) e ha addirittura minacciato di dimettersi, qualora il Parlamento non approvi il disegno di legge (e le dimissioni del presidente, in base alle leggi della Regione, significherebbero mandare a casa tutti e 90 gli onorevolissimi inquilini di Palazzo dei Normanni).
 
Al momento gli articoli approvati sono i primi due del testo crocettiano. Uno istituisce nove Liberi Consorzi in luogo delle attuali Province. Il secondo disciplina l’adesione a un Consorzio diverso da quelli “canonici”: in sostanza, entro sei mesi dall’approvazione della legge, i Comuni con delibera dei rispettivi Consigli (è prevista una maggioranza qualificata di due terzi) potranno stabilire di costituire un nuovo Libero consorzio purché rispetti il limite minimo di 180 mila abitanti.
 
Quest’ultima delimitazione, in realtà, sarebbe uno dei tanti sgarbi di cui sarebbe viziata la discussione e la votazione della riforma. Il Governo, infatti, aveva fissato il minimo a 150 mila abitanti, ma un emendamento – originariamente firmato da una manciata di deputati Pd – e poi fatto proprio da Santi Formica (Lm-Fi) lo ha innalzato. Il che potrebbe rendere difficile l’eventuale istituzione del Consorzio di Gela, patria del governatore che un pensierino per la sua città l’avrà pur fatto.
 
E un altro buffetto al testo concordato diversi giorni fa al Nazareno (sede nazionale del Pd) lo ha dato il Movimento cinque stelle, che ha ottenuto l’ok dell’Aula al referendum confermativo per l’adesione a nuovi Consorzi (cioè, in parole povere, la decisione delle assise cittadine non sarà definitiva e dovrà passare dal voto dei cittadini).
 
Incerto, invece, è il destino delle Città metropolitane. Tutti i giornali, compresi noi, avevano dato per cosa fatta l’addio alle nuove strutture di governo di Palermo, Catania e Messina (e dunque ai fondi comunitari per esse previste). In realtà ancora una possibilità c’è: è stato cancellato, infatti, solo una parte del comma 2 dell’art. 1 del testo governativo che disciplinava le modalità di istituzione delle “Metropoli”. Ancora in piedi, invece, è l’articolo 7 che ne prevede la costituzione. Giovanni Ardizzone, presidente dell’Assemblea regionale, conferma: “l’emendamento approvato dall’aula riguardava solo un aspetto relativo alla perimetrazione delle città. Su questo argomento l’Ars sarà chiamata ad esprimersi quando discuterà l’articolo 7: in quell’occasione ogni deputato potrà dire sì o no”.
 
È evidente ad ogni modo che si va avanti per tentativi, senza che la maggioranza (pardon, la non maggioranza) abbia un progetto chiaro, coerente, e la forza per farlo approvare. Il rischio di ritrovarsi alla fine con un testo disarticolo e disomogeneo è insomma altissimo.
 
“La legge sulla riforma delle Province – ha dichiarato ieri il sindaco di Palermo, Leoluca Orlando – assume sempre più l’aspetto di una norma informe, frutto di una sommatoria di singoli voti pro o contro il governo che non di una riflessione sul ruolo e le funzioni dei nuovi soggetti istituzionali”. Con un pericolo fortissimo, che alla fine quel tanto decantato risparmio dei costi non solo non si realizzi, ma addirittura aumentino i centri di spesa. “A conti fatti – ha spiegato Nino D’Asero del Ncd-Pdl – si potrebbe superare anche la soglia di 20 consorzi. Conseguenze? Moltiplicazione anziché riduzione degli organi della politica, dei costi, dello scollamento con i cittadini e con l’opinione pubblica”. Sarebbe l’ennesima beffa.
Il prossimo “round” è previsto martedì prossimo, alle 16, in Vietnam, cioè all’Ars.

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