La giornata della donna è passata, i problemi delle donne restano - QdS

La giornata della donna è passata, i problemi delle donne restano

Antonia Cosentino

La giornata della donna è passata, i problemi delle donne restano

martedì 11 Marzo 2014

L’Italia è al 74° posto nel mondo per gender gap, preceduta da Repubblica Domenicana, Vietnam e Ghana. I tanti eventi non possono cancellare le violenze: nel nostro Paese sono stati 128 i femminicidi nel 2013

CATANIA – Una giornata ricca quella catanese dell’8 marzo, con tanti appuntamenti, troppi per citarli tutti, all’insegna della lotta contro ogni discriminazione e della memoria.
Nella mattinata “Una mimosa per la città” organizzato da Open Mind Glbtq, che ha donato un albero di mimosa alla Villa Bellini, dedicando la giornata a Sizakele Sigasa, lesbica sudafricana e attivista per i diritti LGBT, vittima di “stupro correzionale”, pratica criminale molto diffusa nel suo Paese. Torturata e stuprata da 10 uomini e uccisa con un colpo di pistola alla testa, il suo corpo è stato ritrovato legato ad un palo e ricoperto da un indumento intimo pieno di escrementi.
Subito dopo un folto corteo contro ogni violenza e militarizzazione dei luoghi e dei corpi ha sfilato lunga la via Etnea. Tante le associazioni che hanno raccolto l’invito della Ragna-Tela a dedicare questo 8 marzo alle donne migranti e alle mamme No Muos.
Nel pomeriggio Palazzo Platamone ha ospitato, invece, la presentazione del libro di Serena Maiorana sulla storia di Stefania Noce: “Quello che resta”.
A organizzare l’incontro Amnesty international con il patrocinio del Comune di Catania. Un’occasione per ricordare Stefania Noce, studente femminista uccisa insieme al nonno nel 2011 dall’ex fidanzato a Licodia Eubea, e tutte le donne vittime di femminicidio, 128 nel solo 2013.
A chiudere la giornata, presso La Lomax, il concerto delle Malmaritate, il cui ricavato sarà devoluto al Centro antiviolenza catanese Thamaia.
Appuntamenti diversi per natura e pubblico, ma tutti all’insegna della celebrazione non di una festa, ma di una giornata di lotta per l’inclusione delle donne in una cittadinanza reale che sembra ancora lontana.
L’Italia è al 74° posto nel mondo per gender gap, preceduta da Repubblica Domenicana, Vietnam, Ghana, Malawi, Romania e Tanzania.
Nel nostro Paese le donne sono pressocché escluse dalle posizioni di comando, faticano ad entrare nelle liste elettorali e quindi nelle istituzioni con ruoli di direzione. Nel lavoro sono pagate meno rispetto ai colleghi uomini, pur svolgendo le stesse mansioni. La legge le vuole in servizio fino a 67 anni, dimenticandosi che a loro spetta ancora quasi sempre anche il lavoro di cura dei genitori, dei figli e dei nipoti, oltre che della casa che mai è stato loro riconosciuto. La legge 194, che consente loro di abortire gratuitamente quando non desiderano una gravidanza è di fatto inapplicata essendo obiettori in Italia l’80% dei medici, anestesisti, infermieri.
Il femminicidio è la prima causa di morte, un fatto culturale dalle proporzioni spaventose. I media, televisione su tutti, le vogliono quasi sempre veline, showgirls, corpi nudi e soprattutto muti.
Basti pensare alle pubblicità, tra le forme di persuasione più forti, in cui il corpo delle donne è ridotto a merce in uno schema comportamentale per cui donna equivale a sessualità, piuttosto che a intelligenza, creatività, cultura, forza, coraggio, autorevolezza. La lingua stessa non fa che tacere su di esse, nel suo sessismo intrinseco e nel suo uso sessista, cucendo loro addosso il suffisso in -essa, spregiativo laddove non ironico, o cancellandone la presenza in un generico singolare maschile: perché i diritti dell’uomo e non i diritti dell’umanità?
Cosa c’è da festeggiare? Forse nulla, mentre tante sono ancora le ragioni per lottare, a cominciare dalla sottrazione di questa giornata ai riti consumistici che l’hanno ridotta a occasione di cene tra amiche, spettacoli di striptease e di distruzione di migliaia di piante di mimosa.

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