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Altro che Disneyland, tutti i sogni infranti dei parchi divertimento in Sicilia

Carmelo Lazzaro Danzuso

Altro che Disneyland, tutti i sogni infranti dei parchi divertimento in Sicilia

mercoledì 12 Marzo 2014

Un approfondimento senza precedenti sulle strutture che sarebbero dovute sorgere nell'Isola, rimaste impantanate tra burocrazia e stretta creditizia. Ricchezza e occupazione - create a Parigi o in Spagna - restano miraggi

C’era una volta un albero, piantato, con una grande cerimonia, il 23 gennaio del 2007, nei pressi di un lago su un’Isola nel centro del Mediterraneo. Doveva essere il primo di un’enorme distesa di piante messe lì ad abbellire un luogo meraviglioso, pieno di bambini sorridenti e famiglie felici, giunte anche da molto lontano per passare giornate all’insegna del divertimento. Oggi, dopo oltre sette anni, quell’albero è ancora lì, ma è rimasto solo soletto, sulle sponde del lago di Pozzillo (provincia di Enna) e il suo sogno di poter essere il primo tassello del grande parco dei divertimenti di Regalbuto si è ormai infranto.
 
La storia di questo parco tematico sembra lo specchio di ciò che è diventata la Sicilia: la terra delle occasioni sprecate. Così, mentre in Italia, in Europa e nel mondo strutture di questo tipo producono ricchezza e occupazione, l’Isola (se si esclude il recente arrivo del Themepark di Etnaland, cui è dedicato un approfondimento) resta a guardare. Questa vicenda – fatta di promesse, progetti rivisti più e più volte, imprenditori esasperati e una classe dirigente quasi impotente di fronte a una burocrazia pigra e lenta – va raccontata, però, insieme a quella dell’altro sito che in Sicilia avrebbe dovuto ospitare un grande Parco tematico, vale a dire Fiumefreddo, in provincia di Catania.
 
DA PARCO DEI DIVERTIMENTI A PORTO CANALE – Se, come detto, l’ennese è andato molto vicino a veder realizzato quello che sarebbe dovuto diventare uno dei Parchi a tema più grandi d’Europa, lo stesso non si può dire della Sicilyland che avrebbe dovuto trovare posto alle falde dell’Etna.
 
Nonostante infatti nel 2005 sia stata addirittura creata una società per azioni con capitale sociale da 520 mila euro a partecipazione pubblica (60% privati, 30% Provincia di Catania e 10% Comune di Fiumefreddo) con lo scopo di progettare, realizzare e avviare all’esercizio un parco integrato a tema da realizzarsi nell’area dell’ex cartiera Siace, poco o nulla di concreto venne mai fatto per dare alla luce questo complesso dei divertimenti. “I privati – spiega il sindaco di Fiumefreddo Marco Alosi – non ritenendo più utile un’operazione come quella del Parco a tema, hanno addirittura proposto di stravolgere l’obiettivo iniziale, puntando alla costruzione di un Porto canale”.
 
L’iniziativa legata alla fantomatica Sicilyland è dunque sembrata sempre fumosa, anche perché, come confermato dall’attuale sindaco di Fiumefreddo, progetti dettagliati “non se ne sono mai visti”. Paradossale, vista la situazione, che la partecipata sia ancora operativa, nonostante i tentativi fatti dagli Enti pubblici per tirarsene fuori. Nel giugno del 2013 la Provincia di Catania ha pure messo in vendita tramite asta pubblica le proprie quote, pari a 156 mila euro, ma nessuno si è fatto avanti per rilevarle. Di Sicilyland, quindi, non è rimasto altro che una scatola vuota che pesa, anche se in minima parte, sui bilanci della Provincia di Catania e del Comune di Fiumefreddo. “Sul Parco c’erano grandi aspettative – conclude il sindaco Alosi – ma le cose non sono mai realmente andate avanti”.
 
IL SOGNO DI REGALBUTO – Di tutt’altra natura, invece, la storia del parco tematico di Regalbuto, improvvisamente sfumato quando la strada per realizzarlo sembrava ormai in discesa. Una struttura che, stando ai progetti, avrebbe dovuto occupare 2,5 chilometri quadrati per un investimento da 600 milioni di euro finalizzato alla costruzione di nove zone tematiche, settanta attrazioni, negozi, bar, ristoranti, discoteca e cinema. Il tutto per una capienza massima teorica di circa 360 mila persone. “La possibilità di realizzarlo – racconta Nunzio Scornavacche, sindaco di Regalbuto dal 1997 al 2007- si palesò all’inizio del nuovo millennio, quando in Comune fummo contattati da un intermediario della Atlantica Invest (newco costituita in Svizzera nel 2001 per promuovere il progetto, ndr). All’inizio le cose si mossero velocemente, tanto che firmammo in poco tempo un Protocollo d’intesa con l’allora presidente della Regione, Totò Cuffaro, ma poi la burocrazia iniziò a rallentare tutto”.
 
E sul progetto del Parco iniziò a sollevarsi un polverone. “Le malelingue – afferma Scornavacche – sostengono tuttora che dietro questo progetto non ci fosse nessuno, ma tutto ciò è falso. Lo sanno bene, per esempio, i regalbutesi che hanno ricevuto i soldi dell’anticipo per l’esproprio dei terreni. Chi voleva investire non ha preso un euro di denaro pubblico e, anzi, ci ha rimesso di tasca propria”.
 
Poi si levarono i dubbi sulla scelta dell’area, sostenuti soprattutto da chi riteneva il lago di Pozzillo deficitario dal punto di vista dei collegamenti. “Anche questo – precisa Scornavacche – è un falso problema. Basti pensare che la Regione si impegnò a utilizzare risorse ingenti proprio per il potenziamento della viabilità”.
 
Alla fine il progetto si arenò, secondo l’ex sindaco Scornavacche a causa dei “ritardi con cui la Regione lavorò le autorizzazioni utili a far partire i cantieri. Tutta questa faccenda – conclude – mi fa pensare che non conviene investire sulla nostra terra. Un’Isola dalle grandi potenzialità che la burocrazia sta lentamente uccidendo”.
 
BUROCRAZIA E CRACK FINANZIARIO – A scagionare, anche se parzialmente, il lavoro degli uffici della Regione è Gaetano Punzi, successore di Scornavacche come sindaco di Regalbuto (dal 2007 al 2012) e attuale direttore del Consorzio di bonifica di Enna. “In realtà – racconta – per quelli che sono in generale i tempi della burocrazia, riuscimmo a muoverci con una certa rapidità. Certo è che gli investitori interessati a costruire il parco erano abituati a realtà completamente diverse e probabilmente non si aspettavano rallentamenti”.
 
“Come Comune – spiega – riuscimmo a muoverci con velocità, anche perché, proprio in quel periodo stavamo lavorando sul Piano regolatore generale e riuscimmo a inserire subito il progetto nel documento in itinere. L’iniziativa era assolutamente valida: certo, c’erano delle difficoltà, ma erano ormai in via di definizione”.
 
Poi il brusco dietrofront, che infranse i sogni di molti. “Credo che gli investitori – aggiunge Punzi – abbiano fiutato con qualche anno di anticipo la crisi che stava per investire l’economia mondiale e, temendo che il loro investimento sarebbe rientrato soltanto dopo molti anni, decisero di lasciar perdere. Penso che il 90% del fallimento del progetto sia da attribuire alla crisi”.
 
Ma se autorizzazioni e permessi fossero arrivati prima, oggi si parlerebbe ancora di occasione perduta? “Forse – conferma Punzi – si poteva fare di meglio. Ma è tutto il sistema a non essere più adeguato ai tempi, sia a livello nazionale che regionale. Ci troviamo a dover competere con Paesi che quasi regalano i terreni ai potenziali investitori, mentre qui sembriamo soltanto capaci di farli scappare. Ci vogliono leggi nuove per convincere gli imprenditori a scegliere la Sicilia”.
 
IL PUNTO DI VISTA DEI PRIVATI – A raccontare la vicenda secondo la Atlantica Invest è invece l’avvocato Mario Cavallaro, legale incaricato della società. “Dopo lo stop al progetto del Parco tematico di Regalbuto – spiega – si sono dette tante cose, di cui la maggior parte assolutamente false. Fui contattato inizialmente nel 2001, dal procuratore speciale della società interessata all’investimento, per un parere legato a una variante al Piano regolatore generale per insediamento produttivo. Da allora iniziai a seguire la vicenda. Si è arrivati addirittura a dire che tutto è stato orchestrato affinché gli imprenditori potessero mettersi in tasca qualche soldo pubblico, ma la realtà è tutt’altra: chi credeva realmente in questa iniziativa ha solamente investito i propri soldi da privato e senza beneficiare nemmeno di un centesimo di aiuto pubblico”.
 
“Gli investitori che hanno sostenuto l’Atlantica Invest – aggiunge – tra acconti per l’esproprio dei terreni per circa 750 mila euro, stesura dei progetti e altro ancora, spesero complessivamente, solo in Sicilia, almeno due milioni di euro. E ci tengo a sottolineare che, anche dal punto di vista personale, lavorai per circa cinque anni ricevendo solo dei rimborsi per le spese effettuate”.
 
Denaro pubblico, insomma, non se ne vide sotto nessuna forma. Tanto che l’accordo di programma quadro siglato a Roma nel dicembre del 2006 prevedeva che, soltanto a opera ultimata, lo Stato avrebbe riconosciuto agli investitori circa 97 milioni di euro lordi più altri 26 milioni lordi che sarebbero stati gestiti dalla Regione per il miglioramento della rete infrastrutturale e la formazione del personale. Ovviamente però, visto che alla fine saltò tutto, dalle casse dello Stato non uscì il becco di un quattrino.
 
“A cancellare definitivamente il sogno del Parco tematico – spiega Cavallaro – fu l’improvvisa decisione delle banche coinvolte di non sostenere più gli investitori. All’inizio, era il 2007, non capimmo il motivo di questa decisione. Poi, quando nel 2008 la crisi del sistema finanziario venne fuori in tutta la sua forza, iniziammo a comprendere il perché di un così repentino dietrofront, avvenuto anche per numerose altre iniziative”.
 
Ma fu anche la tempistica a essere decisiva. “Furono la burocrazia nazionale – riprende Cavallaro – ma soprattutto quella regionale a penalizzare questa iniziativa più di ogni altra cosa. Emblematica, in tal senso, la vicenda legata ai cosiddetti Sic (Siti di interesse comunitario): solo una volta presentata alla Regione la richiesta per la Valutazione d’impatto ambientale (Via), fondamentale per avviare i lavori, gli uffici si accorsero che parte dell’area che avrebbe dovuto ospitare il Parco tematico ricadeva in uno di questi famigerati Sic, peraltro basato su valutazioni non realistiche e non rispondenti alla realtà dei luoghi. Tutto ciò rese necessario rivedere i progetti, con conseguenti perdite di tempo e denaro. Ci fu un momento, era il 2006, in cui le banche addirittura premevano affinché si sbloccassero rapidamente le procedure burocratiche per avviare i lavori, ma quelli erano i giorni in cui i documenti per il Parco rimbalzavano da una scrivania all’altra degli uffici di Palermo senza ottenere risposte. Un sistema efficiente avrebbe permesso di risparmiare mesi, se non addirittura anni, evitando di farci incappare nel peggiore dei momenti della crisi bancaria internazionale. Se così fosse stato adesso, con molte probabilità, starei raccontando un’altra storia”.
 
Così, del grande Parco tematico sul lago di Pozzillo restano soltanto un albero e tanti rimpianti. “Almeno a parole – conclude Cavallaro – l’appoggio a questo progetto non mancò mai, ma credo che alla fine la politica non abbia avuto la forza per smuovere una burocrazia che, purtroppo, agisce in maniera elefantiaca, in un groviglio di disposizioni, passaggi e paure. Una cosa è certa: questo sistema è capace di far fuggire quei pochi investitori interessati a scommettere sulla Sicilia”.
 
LA FINE DEL SOGNO – Quanto la popolazione ennese, e in particolare regalbutese, abbia creduto nel progetto, si capisce anche dalle parole di Giuseppe Monaco, ultimo presidente (dal 2008 al 2013) della Provincia di Enna. “Il Parco – racconta – è rimasto una promessa mai realizzata. Per il territorio sarebbe stata un’occasione importante, e a un certo punto sembrava davvero che tutto si potesse realizzare. Poi però tutto è sfumato, anche con qualche ripercussione negativa per il territorio”.
Oggi, che la pratica Parco tematico sia definitivamente archiviata si capisce anche dalle ultime decisioni prese dal Comune di Regalbuto. “Proprio di recente – spiega l’attuale sindaco Francesco Bivona – abbiamo varato le modifiche al Piano regolatore generale per riconvertire le aree nei pressi del lago di Pozzillo a uso agricolo”. “Per valorizzare quell’area – continua – servono investimenti infrastrutturali seri da parte di Stato e Regione. Soltanto così potremo attirare l’attenzione di investitori importanti. La nostra amministrazione, in tal senso, è disposta ad ascoltare proposte di ogni genere. Purché ci siano interessi reali e concreti”.
 
OCCHI SULLA PLAYA DI CATANIA – Interessi concreti che adesso sembrano essersi concentrati sul litorale etneo e in particolare sul viale Kennedy, dove nell’ambito del cosiddetto Pua la società Stella Polare punta a realizzare un grande centro polifunzionale. Il complesso avrà sede in un’area di circa 120 milioni di mq e tra le strutture sono previsti un palazzo dei Congressi, un acquario, un parco divertimenti e numerose strutture sportive.
 
Dopo il via libera dal parte del Consiglio comunale di Catania adesso la palla è passata alla Regione, ma in attesa di risposte da Palermo numerose associazioni locali hanno già manifestato il proprio dissenso, inviando al Consiglio regionale per l’Urbanistica e all’assessorato regionale Territorio e Ambiente una nota con cui chiedono “di non approvare la variante urbanistica Catania Sud” ritenendo il provvedimento “illegittimo”. Staremo a vedere.
 
LA SICILIA RESTA A GUARDARE – Ciò che è certo è che oggi, alla fine dei giochi, si torna sempre a quel povero albero sul lago di Pozzillo, tradito e deluso, così come chi crede ancora in una Sicilia in grado di produrre ricchezza, sviluppo e occupazione grazie al turismo.
 
E mentre i parchi di divertimento già esistenti continuano a espandersi e attrarre milioni di visitatori (da Gardaland a Disneyland Paris, da Rainbow Magicland a Europapark, passando per Mirabilandia), in tutto il mondo i grandi gruppi imprenditoriali investono nuove e ingenti risorse nel settore: ad Alhama de Murcia, in Spagna, nel 2016 aprirà i battenti il nuovo parco di Paramount pictures e Cbs; sempre per lo stesso anno è in programma l’apertura della nuova Legoland di Dubai, negli Emirati Arabi; senza dimenticare il quinto resort Disney nel mondo, la cui apertura è prevista nel dicembre del 2015 a Shangai, in Cina. E alla fine la nostra Isola, com’è ormai prassi, resta a guardare.
 

 
Valmontone nel giro di pochi anni è già alle spalle dei Musei vaticani
 
Nel resto d’Italia le potenzialità del settore sono state ampiamente comprese, e oggi sono tre i parchi di divertimento di livello internazionale. All’inizio venne Gardaland, realizzato appunto nei pressi del lago di Garda, cui seguì Mirabilandia, in provincia di Ravenna. Entrambe le strutture hanno oggi alle spalle due grandi gruppi operanti nel settore, rispettivamente la Merlin e la Parques reunidos, e negli ultimi tempi hanno confermato una tendenza di circa 3 milioni di visitatori annui, nel caso del parco lombardo, e 1,6 milioni per quello romagnolo.
 
Più recente l’esempio di Valmontone, in provincia di Roma, dove nel 2011, grazie a un investimento di circa 200 milioni di euro, ha aperto Rainbow magicland. In soli due anni il parco tematico (costruito tra l’altro vicino a uno degli Outlet più grandi d’Europa) ha già tagliato il traguardo di un milione di visitatori annui, divenendo, come dichiarato qualche mese fa dall’amministratore delegato del parco, Stefano Cigarini “la terza attrazione turistica di Roma dopo Colosseo e Musei vaticani.
 
E in Sicilia? Per il momento i grandi gruppi internazionali – e con essi gli investimenti maggiori – sono lontani e l’unico parco tematico presente è Etnaland, inaugurato nell’aprile del 2013. “Per puntare su un parco tematico qui in Sicilia – spiega il direttore Francesco Russello – occorre prima di tutto fare i conti con il bacino d’utenza a disposizione, poiché il 70 per cento circa dei visitatori di una struttura di questo genere deve essere composto dalla popolazione locale. Bisogna poi tener conto delle difficoltà nella ricezione dei visitatori che attualmente condizionano l’Isola: dagli aeroporti, che non sono in grado di supportare un traffico di un certo tipo, al modello turistico adottato dalla maggior parte degli operatori del settore, più interessati a spremere economicamente l’ospite piuttosto che a offrirgli servizi adeguati”.
 
Il parco a tema di Etnaland (da 112.500 metri quadrati, che arrivano a 280 mila includendo il parco acquatico) è riuscito comunque a vedere la luce, ma lo ha fatto anche grazie a preesistenti condizioni favorevoli. “Per avviare il Themepark – conferma Russello – che abbiamo deciso di affiancare all’ottima esperienza dell’Acquapark, sono stati investiti circa 50 milioni di euro, ma abbiamo potuto sfruttare terreni e strutture già presenti per via del parco zoologico. Se fossimo partiti da zero, come fatto per esempio a Valmontone i costi si sarebbero più che raddoppiati, se non addirittura triplicati. “Potenzialmente – aggiunge – la Sicilia avrebbe tutte le carte in regola per attrarre i grandi colossi dell’intrattenimento tematico, ma per realizzare qualcosa capace di competere con il resto d’Europa occorrerebbe un investimento enorme, parliamo di miliardi di euro, per intervenire anche su una condizione infrastrutturale deficitaria. E ci sarebbe bisogno soprattutto di una classe dirigente lungimirante, capace di comprendere le potenzialità del territorio e agevolare i grossi gruppi imprenditoriali intenzionati a investire in Sicilia”.
 
Per il momento, dunque, il Themepark di Etnaland resta l’unico parco tematico dell’Isola, e nei prossimi mesi inaugurerà la sua seconda stagione di attività. “Il primo anno – afferma Russello – è stato un po’ in sofferenza, principalmente a causa del maltempo che, dalla metà di agosto ai primi giorni di settembre, ha ridimensionato le nostre aspettative. Abbiamo raggiunto circa 350 mila ingressi e l’obiettivo per la prossima stagione è arrivare a 450 mila”. “Nel 2014 – conclude il direttore di Etnaland – apriranno dodici nuove attrazioni per l’area famiglie e ci saranno due novità per gli amanti delle emozioni forti, il tutto in sintonia con la tematizzazione caratteristica della nostra regione che abbiamo voluto dare al parco fin dall’inizio”.
 
E per chi avanzasse la teoria secondo cui i parchi di divertimento italiani sono già troppi e il Paese non potrebbe sostenere altre strutture è necessario citare i numeri dei grandi complessi dell’intrattenimento tematico degli Stati Uniti d’America. In California, per esempio, in un raggio di circa 160 chilometri sono presenti, tra gli altri, il Disneyland Resort, che comprende il primo parco a tema della compagnia, inaugurato nel 1955, gli Universal Studios e Legoland. Strutture dai numeri impressionanti (17 milioni di visitatori annui solo per quello della Disney).
 
Ancor più rilevante il dato della Florida, dove sempre Disney, Universal e Merlin (che gestisce i complessi Lego) hanno installato le proprie attività in un raggio di poco inferiore ai 70 chilometri. Anche qui la fa da padrone la casa di Topolino: basti pensare che il Walt Disney World Resort è il complesso di divertimenti più visitato al Mondo con circa 50 milioni di visitatori.
Sulle due coste Usa, insomma, sfruttando un clima in cui il sole è l’assoluto protagonista per la maggior parte dell’anno, i parchi tematici sono diventati quasi un’istituzione, attirando frotte di turisti, creando occupazione e favorendo lo sviluppo economico.
 

 
L’abilità del Governo francese di François Mitterrand capace di convincere la Disney a investire su Parigi
 
Per comprendere il tipo d’impatto che un grande parco dei divertimenti può avere sul tessuto economico di un territorio è sufficiente raccontare la genesi di Disneyland Paris, struttura che negli anni è divenuta la più importante di questo tipo nel vecchio continente.
Negli anni Ottanta del secolo scorso la Walt Disney Company, forte del successo dei due parchi americani (in California e in Florida) e del primo complesso d’intrattenimento per famiglie esportato fuori dagli Usa, vale a dire il giapponese Tokyo Disneyland (inaugurato nel 1983), decise di investire in una nuova struttura in Europa.
 
“Inizialmente – come scrive Giada Sponza nel libro Disneyland Paris-Un caso di globalizzazione dei consumi e omologazione culturale, edito da Lulu – vennero prese in considerazione Gran Bretagna, Italia, Germania, Spagna, Francia, Portogallo e persino Israele”. Ma grazie all’abilità dei politici francesi e dell’allora ministro del Commercio estero, Edith Cresson, nel 1985 venne annunciato che il parco europeo della Disney sarebbe stato realizzato a Marne-la-Vallée, nei pressi di Parigi.
 
Un accordo che impegnò non poco il governo del presidente François Mitterrand, visto che alla società americana vennero concessi benefici molto vantaggiosi pur di spingerla a scegliere la Francia: Iva ridotta, terreni venduti a prezzi stracciati, potenziamento della rete dei trasporti (viari e ferroviari) e altro ancora. Una scelta che non venne condivisa da tutti e, come scrive sempre Giada Sponza, “venne aspramente criticata” da molti francesi.
 
Ma quella che i transalpini più nazionalisti videro come una sorta di genuflessione di fronte agli arroganti americani ha portato nel corso degli anni notevoli benefici alla Francia, visto che nel tempo (nonostante le difficoltà finanziarie che hanno caratterizzato e in parte tuttora interessano il complesso di Disneyland Paris) il parco di Marne-la-Vallée è diventato la principale destinazione turistica europea, con quasi 15 milioni di visitatori nel 2013 (comunque diminuiti rispetto ai 16 milioni del 2012, quando è stato celebrato il ventesimo anniversario del Parco) e 250 milioni di ospiti dall’apertura del 1992 a oggi. Un’attività capace di dare lavoro, allo stato attuale, a circa 15 mila persone provenienti da tutto il Mondo, ma soprattutto a moltissimi francesi.
 
Oggi il complesso di Disneyland Paris (esteso per circa 20 chilometri quadrati) raggruppa due Parchi tematici, sette hotel con 5.800 camere, due centri congressi e un campo da golf da 27 buche. Senza dimenticare il Disney Village, quartiere di divertimento tra i più grandi della regione Ile-de-France con ristoranti, negozi e un cinema multisala.
 
È difficile immaginare come si sarebbe potuta sviluppare quella zona, a circa trenta chilometri a Est di Parigi, senza l’accordo tra Governo francese e Disney. Probabilmente non avrebbe prodotto tanta occupazione e di certo non tutti gli investimenti fatti negli ultimi trent’anni. Investimenti che ancora continuano.
 
Come si legge nella relazione annuale 2013 della Euro Disney Sca, infatti, nonostante una perdita netta pari a 78 milioni di euro (comunque diminuita di 22 milioni nell’ultimo anno fiscale grazie a un rifinanziamento dei debiti contratti), si continuano a impegnare ingenti risorse per la crescita del Resort.
 
Al 30 settembre 2013 il costo delle costruzioni in corso è pari a 152,2 milioni di euro contro i 98,9 milioni di euro del 2012. Un aumento che si spiega con la costruzione di una nuova attrazione ispirata al film d’animazione Ratatouille (con protagonista Remy, il topolino chef), situata nei Walt Disney Studios, la cui apertura è prevista per il 14 luglio prossimo. Previsti inoltre, sempre al 30 settembre 2013, “investimenti futuri per un importo di 41.400.000 euro per lo sviluppo del sito e per migliorare le attività esistenti”.
 
La ricetta per superare la crisi europea, che ha inevitabilmente investito anche Disneyland Paris, è ben definita: continuare a migliorare l’offerta. “Il 2013 – scrive Philippe Gas, Ceo di Euro Disney Sas, nel commento alla relazione annuale – è stato un anno impegnativo per l’industria del turismo e del tempo libero in Europa. E anche noi abbiamo subito questa tendenza. Tuttavia, nonostante la crisi economica, continua la nostra volontà di valorizzazione delle offerte del Resort”.
 
“Nel 2014 – aggiunge Philippe Gas – continueremo a investire sulla qualità, proseguendo il programma pluriennale per la ristrutturazione degli hotel e puntando sull’apertura della nuova attrazione basata sul film Ratatouille. Stiamo gettando le basi per un futuro positivo”. Insomma, come da tradizione, ancora una volta la Disney punta forte su un piccolo topo.
 

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